sabato 21 giugno 2008

Il correlativo oggettivo

Ci son stati casini alla Maturità, lo sapete.
Ai candidati è stato proposto di analizzare ed interpretare una poesia di Eugenio Montale, Ripenso il tuo sorriso, tratta da Ossi di seppia (la cui prima edizione è del 1925): si chiedeva loro di sviluppare il tema del ruolo salvifico e consolatorio della figura femminile. Secondo la traccia ministeriale, “il ricordo della donna” (della donna...) sarebbe “condensato nel suo viso e nel suo sorriso”.

In realtà Ripenso il tuo sorriso, ehm, è dedicata ad un uomo, il ballerino russo Boris Kniaseff.
Su Il Piccolo di ieri, venerdì 20 giugno, la professoressa Marina Sbisà (che insegna Filosofia del linguaggio alla facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Trieste) si è detta scioccata dalla svista. E sentite un po' cosa ha scritto.
“E' stato un po' uno choc venire a conoscenza della traccia di Analisi del testo per il tema d'italiano della maturità. La persona di cui parla la poesia “Ripenso il tuo sorriso” di Montale è di genere maschile anziché femminile. Come invece la traccia presupponeva. Questo non è un dettaglio fattuale da scoprire nella biografia del poeta o di cui chiedere conferma a chi l'ha conosciuto bene in vita; è una semplice questione di grammatica italiana”.
E bastava saper leggere (o aver letto attentamente...) il testo.
Continua la professoressa Sbisà: “Recita la seconda strofa: “Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano, / se dal tuo volto s'esprime libera un'anima ingenua... “: ragioniamo un attimo, “o lontano” può essere solo un vocativo, perché “o” chiaramente in questo contesto non può (unica alternativa!) voler dire “oppure”; ma se è un vocativo, il poeta si rivolge a un essere di genere maschile. Non dovrebbero esserci su questo dubbi o illazioni di sorta. Fa parte del millantato “contenuto informativo” del testo che pure la traccia chiede ai ragazzi di riassumere. Il destinatario dell'appello è maschile”.
Eh, già... Ma la professoressa ci è arrivata, come ha scritto lei stessa, perché si è fermata a ragionare un attimo. Chi ha scelto il testo, col cacchio che l'ha fatto.
“I lettori d'oggi sono frettolosi, frettolosi assai, compresi quelli ministeriali. Si comprende, o crede di comprendere, per assonanze, per associazioni mentali. Per stereotipi. Tipo: solo le donne sorridono (?). Oppure: se qualcuno è paragonato a una palma è una ragazza. Nossignori, non è così che funziona. C'è la grammatica, e pure la logica. Senza quelle, niente comprensione”.
La professoressa Sbisà si è perciò sentita presa in giro, e pure io (nel mio piccolo. Nel mio infimo).
“Le conseguenze da trarre da questo episodio incredibile, che non è questione di responsabilità individuale bensì portato di un diffuso malcostume, sono molteplici. Alle commissioni le conseguenze pratiche nella valutazione dei temi. A noi tutti, giovani e adulti, fermarci un attimo a meditare quali danni, quali arbitrii possa generare l'incapacità di lettura. E imparare a leggere. Davvero.”
Chapeau
alla Sbisà. E comunque, a proposito di responsabilità individuale, già ieri l'altro è stata rimossa, dalla titolare del Ministero dell'Istruzione Mariastella Gelmini, la coordinatrice dell'équipe di selezione delle prove d'esame, professoressa Caterina Petruzzi.
Che si difende come può dalle accuse di incompetenza che le son piovute addosso e a me non pare il caso di infierire. La Petruzzi è un epifenomeno. Perché Marina Sbisà ha ragione: il problema è che leggere è una cosa molto difficile (molto più difficile che scrivere...) e i lettori d'oggi van molto di fretta. Si crede di comprendere per associazioni mentali, per stereotipi. Ma non è così che funziona.
Avete mai sentito parlare del correlativo oggettivo?
Secondo T. S. Eliot, ”l'unico modo per esprimere un'emozione in forma d'arte consiste nel trovare un correlativo oggettivo; in altre parole, una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che costituiranno la formula di quella particolare emozione, cosicché, quando siano dati i fatti esterni che devono concludersi in un'esperienza sensibile, l'emozione ne risulti immediatamente evocata" (da un saggio del 1919, Amleto e i suoi problemi).
Capito? Il correlativo oggettivo è un procedimento stilistico che un poeta decide di utilizzare per poter esprimere anche i concetti e i sentimenti più astratti, quelli che sono difficili da raccontare. Concetti e sentimenti che vengono dunque messi in relazione con degli oggetti concreti, precisi e ben definiti.
Quella di Eliot è una poetica analoga a quella del Montale de Le Occasioni (la sua seconda raccolta di poesie, edita per la prima volta – altre edizioni seguiranno e mò non vi sto a dire – nel 1939). Nell'Intervista immaginaria del 1946 Eugenio Montale così definì tale poetica: “Ammesso che in arte esista una bilancia tra il di fuori e il di dentro, tra l'occasione e l'opera-oggetto bisognava esprimere l'oggetto e tacere l'occasione-spinta. Un modo nuovo (...) di immergere il lettore in medias res (nel mezzo dell'argomento), un totale assorbimento delle intenzioni nei risultati oggettivi”. Meno chiaro, adesso? Ma no, dai.
Il poeta ligure conobbe la poesia di Eliot probabilmente tra il 1929 e il 1930 (Eliot, quindi, aveva già pubblicato The Waste Land, che è del 1922): in quel periodo tradusse A Song for Simeon (Canto di Simeone) e La figlia che piange, e certi critici letterari si sono spinti a parlare di queste traduzioni montaliane come dell'inizio di “una lunga convivenza” ideale tra i due poeti.

Il correlativo oggettivo, però, secondo qualcuno, si può trovare già in Ossi di seppia (prima edizione, 1925), raccolta poetica che trabocca di oggetti e di fenomeni del paesaggio ligure (quello di Monterosso, nelle Cinque Terre, in particolare): e quindi ecco i limoni, gli scogli, le scaglie di mare viste da lontano, i pruni, gli sterpi, le alghe, le petraie, il sole che abbaglia. E naturalmente gli ossi di seppia, simbolo di una poesia scabra ed essenziale.

Provate un po' a pensare a come in Montale trovi espressione il “male di vivere” e vedrete che la capirete bene, 'sta cosa del correlativo oggettivo.
Conoscete, nevvero? “Spesso il male di vivere ho incontrato:/ era il rivo strozzato che gorgoglia, /era l'accartocciarsi della foglia/ riarsa, era il cavallo stramazzato.”
E in Meriggiare pallido e assorto (dai, che conoscete pure questa: è molto famosa) la vita e il suo travaglio trovano il loro correlativo in quella muraglia “che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.
Tutti oggetti-simbolo che Montale spiega. Letteralmente.


Ne Le Occasioni, secondo Cesare Segre (e io a 'sto punto mi inchino, sapete?), “Montale cerca qualcosa di nuovo”: ad una lirica pura non pensava, “ma piuttosto a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiattellarli”. Esprimere l'oggetto e tacere l'occasione-spinta, si era detto. Per Segre, la poetica degli oggetti, del correlativo oggettivo si ritrova perciò di più nella seconda raccolta di poesie di Montale che nella prima. E vabbé. Montale (però) nell'Intervista immaginaria prima citata affermò di non credere che la teoria eliotiana “del “correlativo obiettivo” (sic) “esistesse ancora, nel '28, quando il mio Arsenio fu pubblicato”. In realtà Eliot enunciò la sua teoria, lo abbiamo visto, nel 1919, ma comunque Arsenio, poesia composta nel 1927 e pubblicata nello stesso anno su Solaria, entrò nella seconda edizione degli Ossi di seppia (1928). Nella poesia in questione l'arrivo di un temporale che sconvolge improvvisamente la natura costituisce il correlativo oggettivo della possibilità di rompere la catena delle ore uguali che lega il protagonista ad un'esistenza che si trascina nel vuoto e nell'abitudine.
Ora, perché vi ho raccontato tutto ciò? Perché sono un pedante rompicoglioni?
Beh, si: è vero, lo confesso... Sono un pedante rompicoglioni.
Però voglio farvi notare che per scrivere quello che ho scritto sul correlativo oggettivo (e non ho scritto cazzate, vi assicuro) non ci ho messo più di un'oretta. Il tempo di tirar fuori qualche libro dalla mia biblioteca per verificare qualche data (quella dell'Intervista immaginaria, quella del passo di T.S. Eliot, quella dell'anno in cui fu composta Arsenio), di controllare bene (bene) le citazioni e poi mi son buttato a scrivere.
Un'oretta.
Non ce l'avevano un'oretta, quelli del Ministero, per leggersi con attenzione Ripenso il tuo sorriso e per buttare un occhio a qualche testo critico?
Ma cazzarola di una cazzarola! Stavano preparando, i signori, una prova d'esame nazionale...
E termino. Cazzeggiando. Come al solito.
Qual è, secondo voi, il correlativo oggettivo dell'avverbio “pressappoco”? (vedi anche “Il Paese del pressappoco” di Raffele Simone: mi sembra cada decisamente a fagiolo)

E il correlativo oggettivo del sostantivo "incompetenza"?
E il correlativo oggettivo di quell'incapacità di lettura ormai sempre più diffusa di cui parlava Marina Sbisà?






P.S.
Già che ci siamo, e viste le ultime splendide uscite del nostro premier (anzi, del premier de noantri), questo qui sotto, secondo me, è il correlativo oggettivo del signor Silvio Berlusconi.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Grande Tic. Stai diventando uno dei miei opinionisti di riferimento.
(In più citi un libro che ho letto di recente anch'io, entusiasmandomi e parlandone sul mio blog: IL PAESE DEL PRESSAPPOCO).
Mi è piaciuto assai quando dici che (per scrivere il tuo post, pur dotto e intelligente e pieno di citazioni) ci sei stato un'oretta. Ma il punto è che (per ottenere QUEL risultato (che può anche essere copiato, intendiamoci) uno deve sapere cosa cercare, dove farlo e come unire i pezzi eventualmente trovati. Insomma, copiare è un'arte che non ha nulla a che fare con la barbarie da post-analfabeti del becero e semplicistico "copia-incolla". Ma purtroppo la scuola italiana (quelle estere non so) non è in grado di insegnare l'artigianato della citazione, il gusto della ricerca, il piacere del collegamento. Oscilla invece tra nulla e scopiazzamientos. Mentre dovrebbe fornire mappe e bussola per sapersi muovere nel mondo della cultura (in senso ampio) e collocare con discreta precisione ciò che non si conosce direttamente.
Ad esempio, io non ho mai letto l'Ulisse di Joyce (ho tentato ma faccio fatica). Eppure sarei in grado di parlarne per un paio di minuti, dicendone delle cose decorosamente accettabili. E non perchè io sia un fenomeno ma perchè la scuola (finita nel 1973) e le successive letture e interessi mi hanno dato mappe e bussola. E così posso collocare nel mondo e nella storia anche cose che non conosco direttamente.
(Operazione che ovviamente sai fare anche tu. Ma è proprio questo che la neodestra e il neocapitalismo NON vogliono. Perchè gente come noi è infida, difficilmente manipolabile, o almeno più difficilmente della stragrande maggioranza del video-pubblico consumans)
Insomma, per il potere la cultura è pericolosa. Sempre stata e sempre sarà.
(Mi perdoni se faccio "copia e incolla" e ne traggo un post?) http://lucianoidefix.typepad.com/

Anonimo ha detto...

E sticazzi quanta cultura!
E poi uno si butta a destra...

tic. ha detto...

Va là che, quanto a cultura, pure lei non scherza, caro filosofo...

Fai pure, Lucià: ne sono onorato!

Zimisce ha detto...

Il correlativo oggettivo dell'Italia oggidì:

un cartone del latte con impressa data 05-03-2006

lo so perché prima ho bevuto un bel sorso da un cartone con data simile e ho pensato "ma guarda, mi sento come se avessi visto il TG1".

è l'unica Tic, prenderli per il culo.

si discuteva prima con l'adespoto, del fatto che lo sghignazzare di cose altrimenti tristi è uno dei privilegi dell'esser parte di una società in decadenza. sguazziamoci, quindi.

Anonimo ha detto...

Sadness.

barone von furz ha detto...

concordo diogene...uno non ce la fa a leggere tutto e magari a causa di qualche correlativo oggettivo si butta a destra dove i concetti sono prima eseguiti e poi, forse,espressi...concordo...tic è uno dei mali della sinistra...

tic. ha detto...

Temo sia vero...

Ma è pure vero il contrario, caro barone: e cioè che la sinistra è uno dei mali di tic.
Forse l'unico male di tic.


P.S.
Non diceva quello, tra l'altro, che "la sinistra è un male che solo la presenza della destra rende sopportabile"?

barone von furz ha detto...

tic a dire il vero ha un'altra malattia...ma qui non si può dire

tic. ha detto...

Pure lei ne soffre un pochino...