“Scrivere è un mestiere come un altro. Il falegname costruisce mobili. Lo scrittore costruisce storie con cui diverte il lettore nel tempo libero”. Così Kurt Vonnegut.
Allora sarebbe tutto qua?
Lo scrittore, secondo lui, era “a canary in a coal mine”. Un canarino in una miniera di carbone.
I minatori usavano un metodo particolare per evitare di rimanere asfissiati dai gas che a volte si sprigionano nel sottosuolo: si portavano dietro, quando andavano al lavoro, un canarino. Quando la bestiola cadeva stecchita sul fondo della sua gabbietta, era meglio darsela a gambe levate.
La gabbia di Vonnegut, ha scritto qualcuno, non ricordo chi, era l'America. Ovvero i grandi Stati Uniti d'America. Gli Stati Uniti dello spreco insensato, della violenza gratuita, dell'indifferenza istituzionalizzata. Ma forse la gabbia era invece proprio la società umana. Di ogni dove (e di ogni tempo: perché, on his opinion, tutto è, è sempre stato e sempre sarà). Mica è stata chiamata in causa solo la società del ricchissimo Occidente, dunque.
Non ho mai conosciuto uno scrittore tanto serenamente stupefatto davanti all'assurdità del nostro stare al mondo e alla violenta incomprensibilità dell'esistenza. Tanto Candido (notata la maiuscola, si?). Capace anche di ridere dello spettacolo macabro dell'impotenza umana davanti alla violenza del potere. Gallows humor, direbbero gli anglosassoni. Ma senza ombra di esibizionismo nella parola e senza calcoli di sorta: con la consapevolezza, sempre presente, che l'innocenza del punto di vista è vitale per la sopravvivenza, come ben sapeva uno dei suoi maestri dichiarati, Mark Twain.
Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale e fu preso prigioniero. Durante il periodo della prigionia venne trasferito a Dresda, dove fu costretto a lavorare in una fabbrica che produceva sciroppi. La notte del 13 febbraio 1945 un bombardamento rase al suolo la città e uccise più di 135.000 persone.
Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale e fu preso prigioniero. Durante il periodo della prigionia venne trasferito a Dresda, dove fu costretto a lavorare in una fabbrica che produceva sciroppi. La notte del 13 febbraio 1945 un bombardamento rase al suolo la città e uccise più di 135.000 persone.
Kurt Vonnegut riuscì a salvarsi nascondendosi nel sotterraneo di quel mattatoio che finirà per dare il titolo ad uno dei suoi romanzi migliori. Scrive appunto Mattatoio n.5 e arriva a dire che l'unica persona a beneficiare di quella violenza insensata e agghiacciante era stato in fondo proprio lui, visto l'enorme successo che arrise al libro. Sapeva essere (soavemente) spietato. Pure con sé stesso, all'occorrenza. Una volta gli chiesero come facesse a continuare a sorridere dell'assurdità del mondo. Rispose che la risata è una risposta fisiologica. Come le lacrime.
Kurt Vonnegut è morto a New York mercoledì 11 aprile. Aveva 84 anni. Mi mancherà tanto. Così va la vita.
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