lunedì 31 marzo 2008

Engagement



Nell'aula magna del liceo Visconti di Roma, mercoledì scorso, è stato presentato un documento dal titolo «Scuola: un partito trasversale del merito e della responsabilità». Cerco di farvela breve il più possibile: trattasi di una (classica...) lettera aperta ai partiti e ai candidati alle prossime elezioni politiche realizzata da un gruppo di docenti universitari e di intellettuali a cui piacerebbe raccogliere un largo consenso trasversale (leggi, da destra a sinistra. Ma non si aspettano un cazzo, immagino, dalle anime belle della Sinistra Arcobaleno a cui, si sa, non garbano le cose trasversali. Il loro eletto elettorato si dice non le capisca e perciò non le tolleri punto. E' proprio per questo motivo, accidempolina, che la Sinistra Arcobaleno ha fatto una scelta di parte) sulla necessità che quel camposanto bombardato (rubo l'immagine a una vecchia canzone di Fabrizio De Andrè) che è da tempo la scuola italiana esca dalla crisi in cui si trova ispirandosi "ai criteri di merito e di responsabilità" e, nel contempo, prendendo decisamente le distanze da decenni di falso egualitarismo e di buonismo decisamente ebete.
Qui di seguito i nomi dei firmatari dell'appello alla politica (del tutto assente all'iniziativa perché impegnata in campagna elettorale...): Giovanni Belardelli, Giulio Ferroni, Ernesto Galli Della Loggia, Giorgio Israel, Mario Pirani, Lucio Russo, Sergio Givone, Salvatore Veca, Sebastiano Vassalli, Giorgio De Rienzo, Aldo Schiavone, Gian Luigi Beccaria, Giovanni Sartori, Remo Bodei, Piero Craveri e Giorgio Allulli. Bei nomi decisamente (affinché non si dica che non ci sono più gli intellettuali engagé di una volta. Ma certo che ci sono: magari, ecco, si occupano di cose un po' prosaiche, come il miserrimo stato in cui versa la scuola pubblica in Italia in questo merdosissimo inizio di millennio, e non di massimi sistemi come andava di moda nei favoloooooosi anni Settanta. Però, poverelli, ci sono) che sono scesi in campo (da un po' di tempo si usa, nevvero?) al fianco di un gruppo di professori fiorentini che ancora insitono ad amare il loro lavoro.
Qualche dato, dai: tanto per capire de que hablamos.
Sui banchi delle scuole italiane siedono 7 milioni e 700 mila studenti.
Il 44 per cento degli alunni che nell'anno nuovo si portano sulle spalle un debito formativo dovrebbero recuperare in matematica.
Mario Pirani ha ricordato i dati (ormai famigerati) dell'indagine Pisa-Ocse secondo cui la percentuale dei giovani che non riescono ad intendere il senso del testo che leggono negli ultimi anni è passata dal 44 al 50,9 per cento.
Oggi su la Repubblica Pirani scrive: “Questo l'esito di un ventennio di riforme ispirate dalla demagogica sostituzione del principio sacrosanto del diritto allo studio con il diritto al “successo” nello studio, che ha impedito fino a ieri di bocciare anche chi riportava tre o quattro insufficienze gravi o aveva trasformato le aule in palestra di bullismo”.
Fino a ieri. Prima del ministro Fioroni e della sottosegretaria Bastico (a cui, da insegnante, va il mio ringraziamento. Perché forse non hanno avuto tutte le risposte, ma almeno si sono fatti le domande giuste).
Sorvolando sulle cagate che, sulla scuola, stanno scritte nel programma di Berlusconi, preoccupa molto che in quello del mio partito, il PD, sia di nuovo proclamato l'obbligo di “assicurare il successo educativo a tutti i ragazzi fino ai 16 anni”: quando sento il verbo “assicurare” io metto mano al mio revolver (o, tanto per essere giusto un po' meno hardcore, mi viene in mente il grandissimo Clint Eastwood: “Se vuoi una garanzia, comprati un tostapane").


Al liceo Visconti, il buon Pirani ha ricordato pure (e spero nessuno dei presenti abbia riso, perché non c'è proprio un cazzo da ridere) lo strafalcione “l'addove” in uno degli elaborati del concorso sostenuto da 5000 candidati per entrare in magistratura “dove 53 posti sui 380 previsti non sono stati assegnati per l'ignoranza degli aspiranti”.
Accanto a lui il docente di matematica all' università La Sapienza Giorgio Israel ha prima ricordato che “non si può educare alla vita pensando che a scuola non si deve faticare e che il parametro di riferimento è ormai l’ultimo della classe”, poi che sarebbe il caso di restituire ai docenti un minimo (un minimo...) di dignità professionale, visto che “ormai gli insegnanti sono considerati dei semplici facilitatori, quasi degli operatori per le feste pomeridiane”. E ha continuato rammentando ai presenti che la semplificazione eccessiva nella scuola “ha portato alla scomparsa delle discipline e delle competenze classiche del docente favorendo un insegnamento di tipo olistico: una visione del docente totalitaria, quasi di ispirazione sovietica, che ha spianato la strada ad un processo di apprendimento ormai fortemente ritardato”: e buono per dei ritardati, aggiungo io.
Sarebbe forse ora di ritornare all'autorevolezza del ruolo del docente, smettendola con le menate sulla scuola-azienda. Ancora Israel: “La scuola non è un'azienda perché non fornisce pomodori pelati o servizi postali: il giudizio di un insegnante non può essere commisurato a quello che si attua verso un utente. E' ora di finirla di pensare che gli studenti siano utenti, perché in questo modo si favorisce l'egualitarismo e l'atteggiamento tollerante delle famiglie”.

E infatti: se la scuola è un'azienda, di tale azienda gli studenti non sarebbero forse i clienti? E il cliente, per definzione, non ha sempre ragione?
Il problema della scuola italiana secondo i galantuomini firmatari del documento?
Sta appunto nell'ideologia demente della scuola-azienda, nel “pedagogismo più efferato” (quello dei pedagogisti servitori dei due padroni che più hanno contribuito a devastare, da ministri dell'istruzione, la scuola italiana, ovvero Luigi Berlinguer e Letizia Moratti. Porca puttana: i medesimi consulenti avevano, 'sti due geni della stirpe!), nella cultura (...) del "sei" garantito (vi ricordate, si, cosa diceva Eastwood a proposito delle garanzie?) “ereditato dal Sessantotto” (e, ostia! Quest'anno non ti va a ricorrere proprio il quarantesimo anniversario del mitico Sessantotto?).
E qui c'è un po' l'idea, che io condivido in pieno, che l'antiautoritarismo quasi congenito in una classe dirigente (?) formatasi generalmente negli anni Sessanta abbia indebolito molto oltre il lecito, nella scuola e prima ancora nella società, ogni principio di autorità. Principio però necessario come il pane, nell'Italia di oggi: alla facciaccia della nostra sinistra (arcobalena) da operetta. Perché in una società senza regole forti si vive male (specialmente i più poveri, ovviamente, vivono male) e si cresce pure peggio.

Intanto, in campagna elettorale, si discute amabilmente dell'età dei candidati.

domenica 30 marzo 2008

Back to the Eighties... (omaggio a Ginger. E ai miei golden days)


Questa bella signora ultraquarantenne si chiama Ginger Lynn.
E' stata una presenza fondamentale nella mia adolescenza.
Un'indimenticabile, ehm... Massì: attrice!
Uh, che magone!

venerdì 28 marzo 2008

Topo Gigio e la Svizzera

Mi piacerebbe (non sapete quanto) avere le prove del fatto che il pezzo firmato ieri da Gino Castaldo su la Repubblica, Torna Vasco, “La realtà fa schifo, ma non so chiedere aiuto”, sia solo una squallidissima marchetta (ovvero, sapere per certo che la casa discografica del Vasco nazionale ha pagato la Repubblica perché una pagina intera del giornale fosse dedicata all'ultima fatica del fatidico rocker di Zocca: strategie promozionali, la pubblicità che è anima del commercio e la musica bisogna pur venderla... Cose così, insomma).
Si, mi piacerebbe un sacco poterlo scrivere, senza rischiare querele, che la Repubblica si prostituisce (e pure per quale cifra, ovvio).
Ma ci pensate ai fiumi di pipì che farei fuori dal vaso? Mi ci vedo. Tic: il Woodward dei blogger!
Purtroppo, però, non ho niente in mano. Sensazioni, solo sensazioni: nulla più.
Credo comunque che Gino Castaldo abbia scritto certe cose obtorto collo.
A naso (eh: solo a naso, purtroppo!) mi pare di poter dire che gli dev'essere costato non poco essere, per lo spazio di qualche colonna (infame...), la puttana della casa discografica di Vasco Rossi. E questo suo fastidio (un soprassalto di dignità?) salta fuori chiaramente, secondo me, provando un po' a leggere tra le righe.
Avvertenza: non di esercizio ermeneutico trattasi, ma di pura divinazione. Buona giusto per compatire il povero giornalista (per la serie: cosa tocca fare, a volte, per campare...).

Sembra che alla presentazione dell'opera, intitolata Il mondo che vorrei (esce oggi nei negozi), sia stato allegato un video in cui l'Artista (maiuscolo, come si confà a Vasco) spiega la sua vision (come si usa dire oggigiorno, nevvero?), la sua Weltanschauung (ostia di un ostia), il suo pensiero nient'affatto debole (sentite un po': “La realtà mortifica le aspirazioni umane, non si può solo spingere l'acceleratore, bisogna anche frenare, bisogna accontentarsi, ma a me questo non piace, l'uomo deve accontentarsi, ma l'Artista no - su la Repubblica la parola artista era scritta in minuscolo: ma, dico io, si può lesinare sulle lettere maiuscole, al cospetto del rocker di Zocca? Eh? Si può? Brutti micragnosi! La maiuscola, perciò, ha dovuto mettercela il vostro tic, n.d.r. - non può accontentarsi”. Spero abbiate avvertito tutti il rombo del pensiero del Vasco. Vrooooooom! Vrooooooom! Vrrrrroooooom!).
E ora leggete un po' qui cos'è arrivato a scrivere Castaldo: “Nelle canzoni e nei commenti filmati Vasco dispensa pillole di saggezza (si, proprio così c'è scritto: “dispensa pillole di saggezza”. Frase fatta e strafatta, frase omnibus. Ma non come, che so?, quel famigerato luogo comune giornalistico per cui “la macchina è slittata sull'asfalto reso viscido dalla pioggia”. No. Peggio, molto peggio: “dispensa pillole di saggezza” suona solo come una irridente presa per i fondelli. Sensazioni, eh... Ma... Ve lo vedete, cotanto guru, mentre dispensa? n.d.r.) e torna sempre al tema della realtà brutta, triste, che non concede nulla al sogno”. Ocio che adesso arriva il pezzo forte, ocio: “Ma se accettiamo che Vasco sia una specie di idiot savant, allora dobbiamo cercare di cogliere verità importanti anche da frasi apparentemente innocue tipo: “ora che non c'è più Topo Gigio, che me frega della Svizzera”, oppure “e adesso che non ho più il mio motorino che cosa me ne faccio di una macchina”, da E adesso tocca a me. Sbagliato cercare eccessi di metafora. Vuol dire proprio quello che dice”.
Traduzione dal castaldese: “Vasco Rossi dice cazzate senza senso per tutto il suo ultimo disco”.


Sbaglia, tic? Legge male? Non intende? Mah...
Sostiene Castaldo che il rombante (vroooom! Vrroooom! Vrrrrooom!) rocker “poi raggiunge quello che forse è davvero il suo ideale, dire tutto (o niente che poi è la stessa cosa) col minimo sforzo testuale possibile. Ho bisogno di te è praticamente composta da un solo verso, quello del titolo”. Tutto o niente è (poi) la stessa cosa? Dai, su...
Cioè, io anche mi sforzo, di capire. Davvero. Sostiene Simon Frith che “una canzone non esiste per esprimere il significato delle parole. Le parole esistono per esprimere il significato della canzone”, e mi sta bene. Son d'accordo.
Però (perciò) mi chiedo e chiedo: che cazzo di significato potrà mai avere una canzone (badate: una canzone. Non sto chiedendo del significato di un testo, o di un verso, ma proprio del significato di una canzone) in cui si dice: “ora che non c'è più Topo Gigio, che me ne frega della Svizzera”? Eh?
Tra parentesi: ho chiesto a mia moglie E. che ne pensasse di parole così enigmatiche, avvertendola però che secondo Gino Castaldo sarebbe stato sbagliato cercarvi degli eccessi di metafora. Lei mi ha risposto che il collegamento tra Topo Gigio e la Svizzera, forse, è una bella forma di Gruviera.
Povero Castaldo, critico musicale di un autorevole quotidiano nazionale, costretto a vedere l'impossibile in una ciofeca qualsiasi solo perché c'era qualche svanzica in ballo.
Sarà andata così?
Ah, poterlo provare!
Intanto, il nuovo album di Vasco Rossi è “già disco di diamante con 350.000 copie in prenotazione nei negozi”.
Come cantava l'Artista (vrrrroooooom! Vrooooom! Vrooooom!)?
Senza parole?
Ecco.

(nella foto sopra, lo scelto pubblico di Vasco Rossi in preda ad incontenibile entusiasmo per l'uscita de Il mondo che vorrei; in quella sotto una fan, chiaramente erotizzata dagli EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEIIIII che il rocker di Zocca sparge a piene mani, tra il lusco e il brusco, in tutto il disco)

mercoledì 26 marzo 2008

Parole celebri dalle mie parti (n.4)


"Da duemila anni Gesù si vendica su di noi per non essere morto su un divano."

(Emile Cioran)

martedì 25 marzo 2008

El leon che se magna el teron

Ah, ma questa è stupenda: stu-pen-da!!!
Francesco Caruso.
Lo avete presente, si, povero diavolo?

Caruso, dai: l'ex Disobbediente di Benevento, l'uomo (?) che nella mente (?) di Fausto Bertinotti rappresentava un po' il trait d'union tra il Partito della Rifondazione Comunista e i mitici movimenti (sticazzi, sticazzi, sticazzi: son tutto un brivido...) e che proprio per questo venne candidato - in quota Partito della Rifondazione Comunista, naturalmente - alle elezioni politiche del 2006 e portato in Parlamento, a furor di Popolo (maiuscolo, Popolo) a dare un po' di colore (perché i movimenti son sempre coloratissimi, ostia. E che, no?) a quell'aula orribilmente (sorda e) grigia (ehm...).
Caruso, insomma. Quel Caruso lì. Proprio lui.

Bene.
Quel Caruso è stato ricandidato al Parlamento. Ma non dal Partito della Rifondazione Comunista, stavolta. Bensì dalla Sinistra Arcobaleno: tutta un'altra roba, lasciatevi servire.
Solo che ai suoi vecchi compagni Disobbedienti la cosa non sta bene. E gliel'hanno voluto dimostrare, a quel Caruso.
Dovete sapere che qualche giorno fa al ristorante veneziano Nono risorto la Sinistra Arcobaleno presentava la sua ricca lista, capeggiata da Nicola Tranfaglia al Senato (tra l'altro, bella 'sta cosa di presentare liste nei ristoranti e di far politica tra una portata e l'altra, tra una forchettata e l'altra, con un grato ciac ciac di ganasce al lavoro in sottofondo. Mi piace un sacco, in generale. E pure perché, in questo preciso momento, mi fa andare col pensiero - ed è sempre un bel viaggiare - al mio amatissimo Raymond Queneau: “La mangiatoia tira sempre. Quando gli affari sono prosperi, ci si abbuffa perché si è contenti, e quando non gira più, ci si abbuffa per consolarsi”. Amen e così sia). C'era pure quel Caruso che, ha scritto Concetto Vecchio su la (solita) Repubblica, “stava dicendo peste e corna del governo Prodi” quando è entrato un tizio in passamontagna che gli ha sparato una torta in faccia.

Questo il commento di Luca Casarini, leader dei Disobbedienti: “Non c'entro, ma è chiaro che è un'iniziativa spontanea di uno di noi: il signor Caruso non è ben accolto in Veneto. Lo sapeva. Ma il miraggio di un posto in parlamento gli ha fatto perdere la testa”.
Il signor Caruso, avrete notato. Non è ben accolto da noaltri in Veneto (en passant: un sacco di gente non è ben accolta, in Veneto, da un po' di tempo a questa parte. E, scusate: pare a me, o Casarini parla esattamente come quel bel tomo di Gentilini?).
Povero, povero quel Caruso. Pare abbia abbozzato, il reprobo: "Grazie per il dolce gentilmente offerto".

Che dire, bellezza?
E' il solito andazzo della solita (noiosissima...) sinistra italiana, per cui, alla fine, salta sempre fuori un puro più puro che ti epura (questa non è mia: viene attribuita da qualcuno a Pietro Nenni)?
O forse xe solo el leon che se magna el (povero) teron?


P.S.
Uscirà in primavera per Mondadori (una piccola casa editrice di cui è proprietaria la famiglia Berlusconi: gente nostra proprio. Compagni di Milano), nella collana Strade blu, il primo libro di Luca Casarini, intitolato Gabbie. Protagonista Nico, un avvocato che difende gli immigrati e milita con i no global. Secondo Casarini, Gabbie sarebbe un social-noir, un giallo denuncia. E perdonatemi ma adesso devo proprio chiudere questo pezzo e correre veloce veloce ad accomodarmi sulla tazza del cesso.

mercoledì 19 marzo 2008

Sono in partenza per la


Ci resterò fino a martedì prossimo.
Bacini dal voster semper voster
tic

martedì 18 marzo 2008

Un post demagogico (this is not a love song. Not a love song)


Paolo D'Agostini su la Repubblica di oggi intervista il regista cinematografico de sinistra Citto Maselli.
Maselli, classe 1930, viene presentato dal giornalista (che, a questo punto, suppongo sia più perfido di me...) come un “viveur del cinema impegnato", un “comunista gaudente che si diletta di auto d'epoca”.
Parla del Sessantotto, il viveur (e come potrebbe non: son quarant'anni, ostia!): “Quando il '68 esplode mi trovo immediatamente schierato con il movimento studentesco. Per me comunista era doveroso partecipare a un movimento d'avanguardia: che ci contestava, ma non vuol dire”. Capite? Non vuol dire: Citto vostro c'era, nel Sessantotto. Anzi, beccatevi questa: “Da comunista iscritto ero tra i pochi ad aver presentito il '68”. Così Citto, il gaudente rabdomante.
Che poi racconta di sé: “padrino di battesimo Pirandello, casa mia salotto intellettuale di Emilio Cecchi e Alberto Savinio”. Un figlio della buona borghesia romana, insomma. Pare di capire.

Suo compagno di scuola è Sandro Curzi, allievo di marxismo a 11 anni (“è lui a riconoscermelo", precisa il regista cinematografico comunista epperò pure viveur). Citto Maselli il pigmalione, capite? Anzi, mi correggo: il gaudente pigmalione. E aver avuto Curzi come allievo immagino siano state soddisfazioni.
Ancora: “ho vissuto il percorso togliattiano fin da ragazzino – tessera del partito il giorno dopo la liberazione di Roma, a 14 anni e dopo aver fatto il gappista” e sticazzi, sticazzissimi che enfant prodige! Sono ammirato.
Pensate: dalle lezioni di marxismo impartite al povero Curzi (e me l'immagino, Maselli ex cathedra: “A Sa', te possino! Ma sei de coccio! Ripeti un po': er communismo è la vera risoluzione dell'antagonismo fra esistenza ed essenza, tra libertà e necessità, tra l'individuo e la specie. Te c'entra nella capoccia, li mortacci tua? Che? Che stai a dì? Quando se magna?!? Te possino... Dopo magnamo, dopo... Ma sempre a magnà, pensi! E ripeti!!! Ripeti: la società comunista è l'unità essenziale dell'omo con la natura... Ce sei? Ripeti un po': è la vera resurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanesimo compiuto della natura. E ripeti! Ammazza, Sa': come sei gnoraaante!!!”) ai GAP in soli tre anni.
E io lo rispetto, sia chiaro, il resistente teenager. Esattamente come porto rispetto alla memoria di Edgardo Sogno. Davvero nessun problema, per me: resistente l'uno - il figlioccio di Pirandello - resistente l'altro. Nevvero?
Ed è rimasto sempre un combattente, il gappista Maselli, sapete? Le ultime battute dell'intervista stanno lì a dimostrarlo.
Perché non le piace il partito di Veltroni?
“Non ha niente di sinistra. Il punto è nell'idea di una società 'deconflittuata'. Togliatti era l'opposto. La classe operaia deve diventare protagonista delle riforme, contro la classe padronale che pensa solo al suo utile”.
Parla di una società che non esiste più.
“Lo dice lei. Veltroni predica l'adeguamento all'esistente. Io non mi adeguo e combatto”.

Magari alla Mille Miglia, tra le auto d'epoca, ma il messaggio c'è (perché gli impegnati come Citto nostro un messaggio ce l'hanno sempre: ah, no?) ed è il seguente: non adeguarsi e combattere sempre, compagni. Almeno quelli che se lo possono permettere.
Il gaudente che si diletta, ci informa Paolo D'Agostini, sta preparando "un film sulla sinistra italiana oggi". Non vedo l'ora che esca per non andarlo a vedere.
Bieco pregiudizio? Beh, si.
Citto Maselli parla di sé come di “un concentrato di contraddizioni” e... La volete sapere una cosa?
Io mi sono definitivamente rotto i coglioni di questi fatui borghesi di sinistra che chiamano la loro repellente falsa coscienza (marxisticamente parlando, no? Noblesse oblige) “concentrato di contraddizioni”.
Com'è sta cosa? Uno che "si diletta di auto d'epoca" se ne esce serafico dicendo che “la classe operaia deve diventare protagonista delle riforme contro la classe padronale che pensa solo al suo utile” e vorrebbe magari essere pure preso sul serio?
Ma vaffanculo, va! Tu, il film sulla sinistra italiana oggi e il tuo concentrato di contraddizioni.
E vaffanculo pure a Sandro Curzi, già che ci siamo.

(Qui sopra, il gaudente viveur Citto Maselli mentre combatte senza adeguarsi.)

domenica 16 marzo 2008

Una scoperta

Ho finito da poco di leggere Il serpente del grano di T.M. Rives.
Mi permetto di raccomandarne la lettura.
E' un racconto breve assolutamente magistrale, che si legge d'un fiato e alla fine lascia stupefatti: son sessanta pagine praticamente perfette.
Una storia di solitudine e insicurezza emotiva, erpetologia (-“Mi deve perdonare. Herpein significa 'strisciare' in una lingua morta. (...) - Serpenti – chiarì.”) e religione, desiderio e delusione, disperato bisogno d'amore e America (America di provincia, America di colline “simili a dune”, di erba , di grano e di cielo).
L'autore è un californiano classe 1972 che dopo la laurea, studi in Linguistica e Storia dell'arte, è sbarcato in Europa ed è stato molto in giro, tra Francia, Italia, Spagna, Germania, Danimarca e Romania.
La solita biografia all american che sa un pochino di luogo comune: molti mestieri e vita on the road.
T.M. Rives non c'è più tornato, negli States. Perciò Il Serpente del grano, il suo primo libro, è stato pubblicato per la prima volta in Francia. Nel 2005.
Le Nouvel Observateur ha paragonato la sua scrittura a quella Carson McCullers e di Raymond Carver e, che il diavolo mi porti, vi giuro che non ha esagerato.
Insomma, tic è entusiasta. Avrete inteso.

venerdì 14 marzo 2008

Parole celebri dalle mie parti (n.3)


"Il politico assomiglia all'uomo che traccia la propria rotta in mezzo ai mari. Può dirigere la nave che lo trasporta ma non impedire all'oceano di sollevarsi sotto i suoi piedi."

(Alexis de Tocqueville)

martedì 11 marzo 2008

Gozzaniana



Eh...
Son quarant'anni dal Sessantotto (e lo sa bene, il vostro tic, che nel Sessantotto ci nacque. Modestamente...) e quest'anno celebra che ti celebra: libri, convegni, mostre.
Mostri.

Si: c'è Mario Capanna che si profila all'orizzonte.
L'altro giorno era a Roma, a celebrare - ad officiare! - a Valle Giulia (luogo fatidico, la facoltà d'Architettura. Più di Palazzo Campana a Torino. Molto di più. Dico: l'avrete vista, spero, la foto di Giuliano Ferrara che scappa dalla polizia, a Valle Giulia, trascinandosi dietro il suo ancor giovane ma già rispettabilissimo panzone... No?
Beh, sappiate che a Valle Giulia c'era la polizia da una parte e Ferrara dall'altra. Come si poteva dar torto a Pasolini? Ve lo ricordate, vero, quello che scrisse Pasolini sugli scontri di Valle Giulia?


“Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre incallita come un facchino o tenera, per qualche malattia, come un uccellino. I tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati). I bassi sulle cloache o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari, ecc. ecc. E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha uguali). Umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l'essere odiati fa odiare). (...) I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all'altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici”.
Demagogico? Si, può essere.
E allora?
Lo riscrivo: polizia da una parte, Giuliano Ferrara dall'altra.
Beh, io non ho dubbi. Lo so d'istinto, con chi devo stare) e insomma era a Roma, Mario Capanna, a celebrare, a celebrarsi e a presentare la sua ultima fatica, Il Sessantotto al futuro.
Un ossimoro? Un paradosso? Ma no, ma no: che andate a pensare? Sostiene Capanna che il Sessantotto sarebbe un nuotatore (bella, no? Se il poeta di Pessoa è un fingitore, il Sessantotto di Capanna è un nuotatore), capace di starsene per anni, anni e anni in apnea. Ma prima o poi dovrà pur tornar su a riprendere fiato, 'sto Enzo Majorca della Marvel Comics, e allora saran dolori de panza per tutti! “E ci siamo, lo fiuto nell'aria”, aggiunge, emozionato (stava scritto sul giornale, che Capanna, a Valle Giulia, si è emozionato. Non mi son inventato nulla).

C'era pure Bertinotti, assieme a Capanna.
Sentite un po'.
La prima del Fausto: “Caro Mario, qui ci tocca rifare il '68”.
La seconda, cito da la Repubblica: “ di quell''ultima scalata al cielo', come la chiama il presidente della Camera, i fiori sarebbero pronti di nuovo a sbocciare”.
La terza, e qui Bertinotti cita Franco Fortini: “l'Internazionale fu vinta e vincerà, il '68 fu vinto e le sue istanze vinceranno”.
La quarta: il Sessantotto fu "progresso e modernità", però “noi volevamo la rivoluzione, il socialismo, mica solo il divorzio e l'aborto”. Ecchecazzo: son mica Pannella, io! (questo non l'ha detto, il nostro: trattasi di mia forzatura, alquanto arbitraria).
Infine, ricito da la Repubblica, “Bertinotti è certo: dopo Seattle, Porto Alegre, Genova, il '68 è vivo”. (e a 'sto punto, dico io, un sapido "e lotta insieme a noi" non ci avrebbe fatto forse la sua porca figura?)
Beh, la citazione di Fortini sull'Internazionale che fu vinta e vincerà, adesso come adesso, con la squadra in testa alla classifica – 64, i punti – secondo me è roba da brivido. Fortini poeta profeta?
Il resto è Guido Gozzano.
Pensateci: i mille fiori che devono ancora sbocciare, l'ultima scalata al cielo, NOI, noi sale della terra, che volevamo il socialismo e la rivoluzione e a 'sto punto qualche carico di briscola ce lo posso pure mettere anch'io, che tanto a Fausto, son sicuro, farà piacere: che so? Avanti, o popolo, alla riscossa, dieci, cento, mille Vietnam, hasta la victoria, siempre, se il vento fischiava ora fischia più forte, le idee di rivolta non sono mai morte, l'autunno caldo, compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce prendete il martello, scendete giù in piazza picchiate con quello, scendete giù in piazza affossate il sistema, viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung, ce n'est q'un début, Don Milani, Sartre, Les damnés de la terre, Rudi Dutschke, Cohn-Bendit...
A me è venuta in mente L'amica di nonna Speranza.

Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto),

il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,

un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col monito
salve, ricordo, le noci di cocco

Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po' scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d'anemoni arcaici,

le tele di Massimo d'Azeglio, le miniature,
i dagherottìpi: figure sognanti in perplessità,

il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,

il cucù dell'ore che canta, le sedie parate a damasco
chèrmisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!

lunedì 10 marzo 2008

Comme d'habitude


Le amministrative in Francia vedono perdente l' UMP, il partito di Nicolas Sarkozy, in maniera più o meno netta (capiremo meglio dopo i ballottaggi).
Richiesto di un parere (“Cosa ha sbagliato Sarkozy?”) il sociologo Alain Touraine risponde: “Da quando è salito all'Eliseo, tutto o quasi. I suoi atteggiamenti pubblici e privati hanno scioccato i francesi, la nostra società non è abituata a una caduta così vertiginosa di autorità e prestigio istituzionale”.
La società italiana, invece, è abituata (mitridatizzata?) da tempo.


P.S.
Affinché non si dica che talkischeap è un blog di quelli a senso unico, di quelli che demonizzano, non viene pubblicata solo la celebre fotografia che ritrae il più simpatico degli italiani impegnato, da Presidente del Consiglio dei Ministri, in attività istituzionali al di là dei patrii confini.
Il disgraziato qui sotto, che si è appena sparato da solo una torta in faccia per divertire (ah! ah! ah!) lo scelto pubblico da casa, è stato, tra le altre cose, ministro in alcuni governi della Repubblica. Si chiama Antonio Di Pietro e, visto che ci tiene molto lo ricordiamo volentieri, ce l'ha tanto su con Silvio Berlusconi...

domenica 9 marzo 2008

Shakespeariana

Il PD ha candidato Massimo Calearo, veneto, ex presidente di Federmeccanica.
Il PdL ha candidato Ettore Riello, veneto, amministratore delegato del Gruppo Riello (suo cugino Alessandro è presidente degli industriali del Veneto).
Entrambi nel collegio Veneto 1.
Scrive la (solita) Repubblica : “Una inedita disfida politica tra industriali, divisi sulle poltroncine di Viale dell'Astronomia, 'montezemoliano' l'uno (Calearo), dissidente convinto l'altro (Riello), con intrecci anche familiari. Già, perché i figli, Carlo Alberto Calearo e Gloria Riello, oggi poco più che ventenni, sono fidanzati dai tempi del Liceo”.

Sarà che siamo in Veneto, ma c'è venuto in mente il Bardo.
Montecchi e Capuleti in salsa confindustriale?
Speriamo bene per i ragazzi: che la tenzone tra i loro padri non li costringa a tenere i loro convegni amorosi solo di notte... Che Gloria Riello non abbia mai a dire, monologando: “Stendi le tue dense cortine, notte propizia all'amore, a chiudere le palpebre del giorno fuggitivo; così volerà il mio Romeo tra queste braccia, non visto e non fermato da nessuno. A illuminare i riti amorosi degli amanti, basta la luce della loro bellezza: ché se l'amore è cieco, la notte è il suo elemento. Scendi, notte cortese, sobria matrona vestita di nero, e insegnami a perdere una partita in vantaggio, dove sono in gioco due intatte verginità. Copri col tuo mantello nero il mio sangue selvaggio, che mi assale la guancia: il mio timido cuore, fatto audace, senta semplice e puro l'atto sincero d'amore. Vieni, o notte; vieni, Romeo; vieni, tu, giorno nella notte, che sulle ali della notte sarai come fiocco di neve fresca sul dorso di un corvo. Vieni, notte gentile, vieni, amorosa notte dalle nere ciglia; portami il mio Romeo; e se un giorno dovrà morire, prendilo e frantumalo in tante stelline; e ne sarà la faccia del cielo così ridente e bella che il creato non avrà più occhi che per la notte e si scorderà di adorare lo splendore del sole".

Si. Speriamo non debba mai dir 'ste cose, la Gloria.

Perché, ahilei, porta male.

P.S.
Beh? State ancora lì a chiedervi perché il PD (perché W.) abbia candidato Massimo Calearo alle politiche?
Ma è ovvio, no? Per dar modo a tic di scrivere queste cazzate.
Vi pare poco?

venerdì 7 marzo 2008

Crucifige!

E insomma, non so se avete seguito la storia della candidatura di Marianna Madia, capolista alla Camera nel Lazio per il PD, classe 1980.
Oggi su la Repubblica un articolo dal titolo Lo sfogo della Madia: “Mi hanno crocifissa”.
E si sfoga un bel po', la giovine Madia, in un dibattito al Teatro dell'Angelo, a Roma, moderato da Maurizio Mannoni del TG3: “Per aver detto che avrei portato in Parlamento la mia straordinaria inesperienza politica sono stata crocefissa”.
Il buon Mannoni (giornalista amico nostro... Di noi del PD: ci capiamo?) l'ha introdotta così: “Siamo solidali con te. A memoria mia mai nessuna candidatura è stata più vivisezionata della tua: studi, amicizie, amori. Se avessero fatto lo stesso con qualche affiliato alla camorra forse questo sarebbe un Paese migliore”.
Là!
Uno smash imperioso!
Il pubblico applaude caloroso (ma non troppo numeroso, dicono i cronisti: una settantina, i presenti) il magnifico gesto atletico del moderatore...
Il riferimento di Mannoni agli amori della giovine Madia ve lo spiego subito, così mi tolgo il pensiero. Anzi, ve lo faccio spiegare dalla Madia direttamente: “Mi ascolti bene: con Giulio Napolitano (quarantenne professore di diritto pubblico all'Università della Tuscia, n.d.r.) cominciai una storia sentimentale quando suo padre Giorgio era ancora solo un ex e illustre dirigente del PCI”.
Così ha dichiarato la brava giovine a Fabrizio Roncone del Corriere della Sera.
In rete, è vero, la signorina Madia è stata parecchio sputtanata. Da certi blogger molto cattivi (o solo molto attenti?).
Ad esempio, nullo.ilcannocchiale.it, che scrive: “Il Partito Democratico è il partito del cambiamento, dei giovani, delle donne: allora ecco una giovane donna senza una storia, for a change. (...) Peccato però che Marianna Madia Veltroni non l'abbia trovata in fila al supermercato: no, Marianna Madia è figlia di Stefano Madia (...), attore (“Caro papà”, “Il miele del diavolo”) prestato alla politica, consigliere comunale a Roma con una lista civica per Veltroni fino alla morte, nel Dicembre del 2004. Insomma Marianna Madia è l'orfana di un amico di Veltroni. Non sorprende che il buon Walter si sia sentito in dovere di prendersi cura della figlia dell'amico morto – quando poi c'è di mezzo il cinema...”.
Racconta la giovine al Corriere della Sera che “due settimane fa, squilla il telefonino. È Veltroni. Dice di avermi seguita negli ultimi tre anni e...”. Chiede Fabrizio Roncone: “Come nasce la sua amicizia con Veltroni?”. La sventurata risponde: “Walter partecipò al funerale di mio padre Stefano. Sostiene di essere rimasto colpito dal piccolo discorso che feci alla fine, ma io nemmeno ricordo di aver parlato...”.
E l'intervistatore, di rimando, liricamente sfottente: “Il dolore di un funerale può cancellare pezzi di memoria”.
“Infatti... Comunque poi Walter mi convoca al Loft. E mi spiega che pensa a me, per una candidatura importante. Dice che mi stima”. Capite? La stima, Walter.“Io lo ascolto e so di fare un sacco di cose che mi piacciono... Però quest'idea del PD, l'idea di una politica nuova, rapida, responsabile, decisionista, è subito molto...”.
“Molto?”.
“Ha presente la seduzione?”.
“Discretamente...”.
“Ecco, io subisco la seduzione di questo nuovo orizzonte politico”.

Sedotta, insomma, la giovine. E, per fortuna sua, non abbandonata. A Panorama.it dichiara: “Se una come me è stata chiamata per questo ruolo vuol dire che è in corso una rivoluzione. Una rivoluzione dolce”.
Ecco, qui mi trovo a dissentire dalla giovine rivoluzionaria Marianna. Lasciamo stare le rivoluzioni, dai: diceva quella canaglia di Mario Missiroli che “in Italia non si può fare la rivoluzione, perché ci conosciamo un po' tutti”.
La giovine Madia (ah si: tra le altre cose, è pure nipote dell'avvocato romano Titta Madia. Ne avrete sentito parlare, ultimamente: è il legale di Mastella e della di lui signora) è una che ha studiato economia (e a 27 anni già viene definita 'economista'. Anzi, 'giovane economista', pensate un po'), è da un po' che lavora (pure in tivvù: collabora con Minoli a Rai Educational), si presenta bene. Io a questo punto son solo curioso di vederla all'opera. E giuro che non mi importa niente di chi è figlia, nipote, amica ed ex fidanzata. Davvero. Sarà eletta di sicuro (questo non si discute, si sa) e avrà modo di mostrare a tutti i suoi occhiutissimi critici cosa sa fare.
Solo, lasciamola perdere, la rivoluzione (ancorché dolce), ché io sono un uomo d'ordine con una vecchia simpatia per il Partito Repubblicano e perciò mi spavento facilmente.
Concludo dicendo che non credo che Marianna nostra sia stata crocifissa per aver incautamente affermato che avrebbe “portato in Parlamento la sua straordinaria inesperienza politica” ma, ehm, appunto per qualcos'altro...
Almeno lo spero, datosi che io (voglio parlar chiaro) la trovo onestissima, quell'uscita “da tutti giudicata infelice” (parole della Madia).
Conosco infatti un sacco di “giovani” militanti del PD che alla loro “straordinaria inesperienza politica” non sanno proprio dare il nome giusto. Uomini e donne (tante, sapete? Tante, le donne...) bravissimi e bravissime a raccontarsela e magari a raccontarla urbi et orbi, ma vuoti (a perdere o a rendere?), vuoti da far spavento.
Gente fatta abile, e arruolata, magari solo per sostenere la carriera di qualche cacicco locale del PD (non importa se proveniente dal PCI via DS o dalla DC via Margherita) di lunghissimo pelo sullo stomaco; gente in seguito promossa (dopo aver più o meno diligentemente svolto il compitino assegnatole, beninteso) solo perché i Valori (Valori come la gratitudine. E in maiuscolo, 'Valori': avrete notato...), in politica, sono importanti, come no, e una mano lava l'altra.
Gente pulitissima, perciò. Ed elegantissima. E politicamente correttissima. Molto, molto attentissima alla propria immagine (sono orgasmi squassanti, quando si finisce sul giornale locale...): perché un'immagine bella e vincente, si sa, costituisce un investimento per il futuro.
Gente, insomma, che funziona veramente alla grande, davanti a uno specchio.
Ma che io non riesco proprio a digerire, si sarà capito.
Chissà perché... Sarò poco moderno?
Perciò ho apprezzato molto il candore della giovine Marianna, che ammette serenamente di non capirci niente, di politica. Se solo penso a certi (democraticissimi) tuttologi all'oscuro di tutto, questa futura parlamentare che ammette serenamente di essere (non di sentirsi, no: proprio di essere) un agnellino in un mondo di lupi mi pare una bella trovata.
Perciò, in bocca al lupo per il tuo lavoro, cara Marianna...

giovedì 6 marzo 2008

Che cos'è, il genio?


Chi ha memoria di questa magnifica presa per i fondelli architettata dalle forze de IL MALE?
Grandissimo poi Tognazzi (gli sia lieve la terra), che si prestò volentieri.

martedì 4 marzo 2008

Di sogni, amore e razzi

Leggendo Pigrizia di Gilbert Hernandez mi sono ricordato de I fiori blu di Raymond Queneau...
Mai letto?
Mi permetto di consigliarvelo (trust in tic, trust in tic...). Se (pure voi) non avete la fortuna di poter leggere in francese (che sarebbe il massimo, per Queneau), poco male: per I fiori blu c'è la splendida (ormai classica, direi) traduzione di Italo Calvino disponibile.
Secondo un apologo cinese, Chuang-tzé sogna di essere una farfalla; ma come possiamo essere sicuri del fatto che non sia la farfalla a sognare di essere Chuang-tzé (che sogna di essere una farfalla)?
E nel romanzo di Queneau non si comprende se è il Duca d'Auge (un tizio che compare nella Storia - con la maiuscola - ogni 175 anni) che sogna di essere Cidrolin o Cidrolin (un ex carcerato mite e scioperatissimo che abita in un barcone ormeggiato sulla Senna e passa le sue giornate a bere pernod e a ridipingere una staccionata sulla quale, ogni notte, qualcuno scrive delle cose che qui non sarebbe bello ripetere) a sognare di essere il Duca d'Auge.
Così, in Pigrizia, alla fine, uno non capisce se ha assistito al sogno di Miguel Serra o a quello di Lita Garcia (o forse è stato Romeo a sognare entrambi?). Il racconto è narrato due volte, e la seconda volta gli avvenimenti sono completamente ribaltati e i personaggi assumono ruoli del tutto diversi.
Siamo in una cittadina della California meridionale, uno di quei posti dove gli adulti, scrive l'autore Gilbert Hernandez, “sentono di poter crescere i figli più piccoli in relativa pace e sicurezza”. Solo che poi non sanno vedere, “stentano ad accorgersi che i figli adolescenti soffriranno di noia e di una bassa autostima esistenziale talvolta in maniera estrema”. Figli come Joely Jones, studentessa modello che non aveva mai dato preoccupazioni a nessuno “fino al giorno in cui portò a scuola una pistola e cercò di uccidere il suo insegnante di economia domestica. In seguito Joely si impiccò in prigione”. Il povero Kevin Maynard, invece, saltò giù dal tetto della palestra della scuola “perché non era riuscito a entrare nella squadra di pallacanestro. Si ruppe l'osso del collo. Lasciò una breve lettera suicida appuntata al cadavere del cane di famiglia. Aveva ucciso il cane che aveva tanto amato”. E infine i due gemelli Luton, “che fecero un patto suicida tra fratello e sorella. Si schiantarono con la famigliare a cento all'ora contro la stazione polizia nell'ora di punta”.
Miguel e Lita (Miguel o Lita?) per sfuggire alla depressione e al senso di impotenza decidono (si: decidono) di entrare in coma, un coma che è trasparente metafora di “un'altra vita in un altro mondo. Altrettanto reale di quello in cui viviamo tutti”. E nel mondo del coma si può volare, maledizione: mica come qui.
A colpire (e commuovere: sinceramente) è la grazia con cui in Pigrizia vengono mescolati onirismo e realismo, finissime intuizioni psicologiche e magia, leggende e misteri, amore e rock'n'roll.
Sono anni (eh, si... Sta invecchiando, il tic) che Gilbert Hernandez e suo fratello Jaime (Los Hernandez Brothers!) occupano un posto d'onore nel mio immaginario.
Conobbi le loro tavole sulla vecchia (e benemerita) rivista Comic Art, che negli anni Ottanta (da cui - ma questo forse già l'ho scritto, da qualche parte – ce l'ho fatta, pensate un po', ad uscire vivo) pubblicava le storie del loro Love&Rockets: in modo un po' disordinato, a dire il vero.Io ci sono cresciuto, con Maggie, Hopey, Pipo, Maricela, Luba e quel loro mondo (post-moderno? Brrrrr... E sia! Ma sappiate che mi vergogno da morire, per averlo scritto) che, come ha scritto Carter Scholz, “ha veri supereroi, mostri, razzi, robot, mutanti e tutta quanta quella popolare spazzatura con cui siamo cresciuti”. E “proprio dietro l'orizzonte potrebbero esserci i Fantastici Quattro a combattere con il Dottor Destino, ma nella vignetta che abbiamo davanti, Maggie e Hopey sono preoccupate per i soldi o per la birra o per qualche non corrisposto amore o per qualche vendetta”. Un mondo del futuro che, allo stesso tempo, era la California dei MIEI anni Ottanta (e pure dei MIEI Novanta. E, forse, oltre...): quella del punk rock urlato a pieni polmoni, quella cantata dagli X (We're desperate...), dagli Adolescents (Kids of the Black Hole),dai Social Distortion (Telling them), dagli Youth Brigade, dai Black Flag, dai Descendents, dai... E mi vengono in mente pure (e non potete avere idea della nostalgia) quelle band di punk chicano (si, chicano: proprio come los hermanos Hernandez e quasi tutti i loro personaggi) che proprio da una tavola di Love & Rockets sembravano essere uscite, come i Plugz di Tito Larriva e Charlie Quintanao gli Zeros di Javier Escovedo, da Chula Vista: “the Mexican Ramones”, secondo qualche bello spirito.
La California filmata da Penelope Spheeris, o magari (e probabilmente è più calzante) quella che Alex Cox ha raccontato in Repo Man (chi se lo ricorda?).
I fratelli Hernandez sono dei talenti pazzeschi: due frullatori impazziti di suoni e visioni; due sociologi molto seri ma nient'affatto seriosi; due critici del costume attenti come pochi a quanto accade nel mondo giovanile, e sensibilissimi.
L'uno completa l'altro. Gilbert, che da giovane assomigliava un bel po' al tizio ritratto qui sotto, di se stesso parla in questo modo:
“Il mio stile è un più intenso di quello di Jaime, probabilmente perché la mia tecnica è più limitata di quella di mio fratello. Jaime ha un segno abbastanza delicato o naturale, e quando disegna una donna attraente non ha problemi... la si nota subito, è estremamente realistica. Io, invece, devo esagerare con il tratto per raggiungere lo stesso effetto e le mie storie sembrano più stilizzate. Il rovescio della medaglia è che se lui esagera un po' la vignetta diventa immediatamente umoristica, mentre io non corro questo rischio e posso essere estremo quanto voglio senza inficiare i temi della storia”.
Tutto vero, tutto vero.
Pigrizia è un bel modo per iniziare a fare la sua conoscenza. Poi fiondatevi su Love&Rockets, così conoscerete pure su hermano Jaime. E' cosa buona e giusta.

domenica 2 marzo 2008

La conquista dello spazio

Oggi mia moglie mi torna a casa con 'sta roba (trovata per strada).

Trattasi di un opuscolo di Azione Giovani.
Secondo me è un vero CAPOLAVORO di comicità involontaria, poveri i ragazzi di Azione Giovani e povero Luca che avrebbe tanto voluto fare l'astronauta ma, orrore!, non è mai nato perché una donna ferocissima – una puttana, tra noi possiamo dircelo - ha deciso di abortire, scegliendo per lui.
Povero, disgraziatissimo Luca che, se solo gliel'avessero permesso, sarebbe finito senz'altro in Azione Giovani a progettare cazzate. Poi... Lo spazio!
File under: Fascisti su Marte.