giovedì 30 aprile 2009

Grissom addio!

"Grissom non mi mancherà, è una parte di me che ha raggiunto la sua fine. Dopo nove anni tutto stava diventando troppo meccanico". Così William Petersen che, in CSI, lascia il posto a Laurence Fishburne.

Massimo rispetto per Petersen ma a me Gil Grissom invece mancherà. E molto.

martedì 28 aprile 2009

2012


Emma Marcegaglia, l'avvenente Presidente di Confindustria, va dicendo in giro che bisognerebbe approfittare della crisi in corso: da essa, infatti, usciremo addirittura più forti se solo sapremo utilizzarla al meglio. Ad esempio "per fare le riforme strutturali che vengono sempre rinviate”. Quali riforme? Ma “quelle della pubblica amministrazione, della liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali dove sta crescendo l'occupazione da parte della politica, della sanità. E ancora: aboliamo le Province che non servono a niente come tanti altri enti inutili”.
“Perché il governo che ha un così largo consenso evita di aprire questi capitoli?”
, le chiedono. Emma Marcegaglia, imperturbabile, così risponde: ”Perché sono materie ad alto tasso di impopolarità”. Che impertinente, la signora, nevvero?
A nome del governo è il ministro Tremonti in persona, a riprenderla. Biblicamente, come si confà a un profeta: “Diciamo no a chi viene giù dal Monte Sinai con le tavole della legge”.

E l'Isaia dei commercialisti così prosegue: “Come dice il Fondo monetario le crisi non sono il momento per fare le riforme perché queste causano incertezza e paura; non è il momento di spaventare la gente, ma di rassicurarla”.
Fantastico, Tremonti. Fantastico. Sarebbe un testimonial perfetto per la vaselina Pacu.
E manco ci prova, a nascondersi, 'sto impunito... Adesso li rassicuriamo, 'sti quattro coglioni. Li mettiamo a loro agio. Poi... trac! C'è mica bisogno di aver fretta, cara Emma.

Comunque, visto che siamo in tema di profezie, sappiate che “secondo il calendario Maya, il 21 dicembre 2012 sarà la fine del mondo. O almeno di questa era, del mondo come lo conosciamo noi adesso. I segnali che sembrano avvalorare questa ipotesi arrivano da fonti e culture diverse: i seguaci della New Age segnano per quella data l’inizio della cosiddetta “Età dell’acquario”; le profezie sui papi di Malachia si fermano al pontefice attuale; proprio per quel giorno c’è chi parla di un’invasione extraterrestre. E poi le leggende cambogiane, la profezia dei teschi di cristallo, la teoria delle piramidi d’Egitto come strategia per evitare il congiungimento dei poli previsto per la fatidica data. Fino all’ultima profezia di Nostradamus, che parla di una grande rivelazione religiosa che porrà fine al mondo come lo abbiamo conosciuto finora e darà avvio a un periodo di pace lungo 400 anni. Senza contare infine che anche dalla scienza arrivano ipotesi di tempeste solari proprio per quella data”.
Tutto questo lo potete trovare in 2012: la fine del mondo? di Roberto Giacobbo, il conduttore della trasmissione Voyager, di Raidue (una roba che dicono sia seguitissima: com'è che non faccio alcuna fatica a crederci, cazzarola?).

Visto oggi in libreria. Magari me lo leggo, un giorno o l'altro: così, tanto per starmene un po' anch'io al calduccio vicino al popolo. Come ha detto l'altro giorno Enrico Letta, il famoso giovane dirigente nazionale del PD? “Siamo troppo snob, crediamo di essere migliori del Paese e questo è l’inizio della disfatta”? Ecco.
Proviamo con Giacobbo, allora. E con i Maya.
Che se hanno visto giusto forse riusciremo a salvarci il culo da Tremonti e dal Fondo monetario internazionale.

Parole celebri dalle mie parti (n.59)


"La differenza tra l'indiano e il cowboy è quella che passa tra l'arco e la pistola."

(Sam Peckinpah)

lunedì 27 aprile 2009

The Wild Bunch (di Sam Peckinpah)


Tutti sogniamo di tornare bambini, anche i peggiori di noi.
Forse i peggiori lo sognano più di tutti.

domenica 26 aprile 2009

Parole, parole, parole...

Secondo Ratzinger, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole della Repubblica non è certo “un'interferenza o una limitazione della libertà” ma, au contraire, un esempio “di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva”.
Grande.
Un po' come dire che il Ku Klux Klan non è certo una confraternita di uomini bianchi convinti della loro supremazia nei confronti di altre razze, ma un esempio di quello spirito positivo di tolleranza capace di promuovere un'integrazione razziale costruttiva.

venerdì 24 aprile 2009

Quando parlava Zdanov

Qualche giorno fa Luciano Canfora, in un'intervista, ha ricordato la censura sovietica contro scrittori satirici come Bulgakov e Zoscenko. Così mi è tornata in mente un'intervista a Izrail' M. Metter apparsa in appendice all'edizione italiana del suo Il quinto angolo (Einaudi, 1991). Ho deciso di pubblicarla in talkischeap. Le domande erano di Luciana Montagnani.
Il quinto angolo è un bellissimo romanzo che spero tanto venga riedito, prima o poi.
Nel linguaggio del KGB, ricordava Metter, «quando dovevano picchiare qualcuno in cella erano soliti dire: “picchieremo il quinto angolo”, e siccome la cella ha quattro angoli, il quinto era, ovviamente, il prigioniero. “Cerchiamo nella stanza il quinto angolo”, dicevano».
Nel Quinto angolo lei descrive la famosa riunione allo Smol'nyj nel 1946: mi può raccontare come visse quei momenti?
Successe in agosto, io ero in vacanza a Komarovo, dove molti scrittori avevano una dacia e trascorrevano l'estate. Il quattordici o il sedici, non ricordo, arrivarono dei pullman con l'ordine di portarci subito tutti a Leningrado, all'Unione Scrittori. Non ci fu data altra spiegazione. Quando giungemmo a destinazione, ci fu comunicato che nel pomeriggio si sarebbe tenuta una riunione allo Smol'nyj alla quale dovevamo partecipare tutti. Quando arrivammo là, vedemmo che c'erano soldati all'ingresso e facevano entrare solo chi aveva il lasciapassare. Da qualcuno avevo sentito dire che Zoscenko era in città, ma che non sarebbe venuto, che per lui non c'era lasciapassare e che non c'era neppure per Anna Achmatova. In quel momento ciò mi risultava ancora incomprensibile, ma non vi prestai molta attenzione. All'interno del palazzo c'era una folla enorme: in mezzo alla gente vidi una mia conoscente, una vecchia comunista, scrittrice molto mediocre, ma donna onesta, leale. Io sapevo che i comunisti avevano già tenuto una riunione in precedenza, perciò mi avvicinai a lei e le domandai perché eravamo stati convocati. “Ha parlato Zdanov”, mi rispose. “E che cosa ha detto?” “Sentirai”, rispose con espressione tetra, molto tetra. “Ma di cosa ha parlato?” “Zoscenko e Achmatova”. “E come ne ha parlato?” “Male, molto male”. E io, pensando di fare una battuta, dissi scherzando: “Ne ha parlato così male che tu non ti sederesti più accanto a Zoscenko?” E lei: “Sì, non mi sederei”. Ero sempre più sconcertato. Finalmente ci fecero entrare in quella grande sala che contiene varie centinaia di persone, e sul palco c'era una tribuna con lo stemma dell'Urss e un tavolo dove sedevano burocrati del partito e dell'Unione Scrittori. Poi comparve sul palco Zdanov, corpulento, sbarbato, con un abito elegante, tenendo in mano una pila di libri dai quali spuntavano dei segni, li gettò sulla tribuna e cominciò a parlare, senza leggere, camminando su e giù con fare adirato. La sua relazione produsse su di me un'impressione inimmaginabile, e non solo su di me. E non solo e non tanto per la sua ignoranza letteraria: ciò che soprattutto mi sconvolse era il suo lessico assolutamente da teppista: rozzo, ripugnante, peggio che osceno, perché le parole oscene possono anche non essere offensive, sono un modo per sfogare l'emotività. Lui invece, parlando di un intellettuale, di un grande scrittore come Zoscenko, usava espressioni come “feccia”, “nullità”, “teppista”, insomma cercava di umiliarlo il più possibile. E anche sul conto dell'Achmatova usava espressioni del genere. Io mi guardavo intorno e mi domandavo che cosa stessero pensando coloro che mi circondavano. Avevo la sensazione che qualcosa stesse scricchiolando e si stesse spezzando; e non si poteva fare nulla, solo stare fermi ad ascoltare. Non c'è nulla di più spaventoso della furia impotente. Tutti sedevano immobili con volti muti. Non si aveva diritto di reagire. E questo durò a lungo, molto a lungo. Quando finalmente uscimmo e presi il treno per tornare a Komarovo, come ho scritto nel Quinto angolo, mi guardavo intorno sul treno e invidiavo quei viaggiatori perché ancora non sapevano. E poi... poi ebbe inizio quello spaventoso latrato: quando gli scrittori diventano dei lacchè, sono più terribili di una persona qualunque. Quando uno scrittore svolge il ruolo del lacchè e si mette a scrivere, e sa scrivere, ciò che egli racconta esercita un'influenza assai più forte del racconto udito per strada da una persona qualsiasi.
Lei, anni dopo, fu presente a un'altra famosa riunione, al centro della quale c'era di nuovo Zoscenko. Che cosa accadde?

Lei si riferisce alla riunione che si svolse qui a Leningrado nel 1954, dopo la morte di quel carnefice, quando già si poteva fare, dire qualcosa, e nessuno disse nulla... In quell'occasione Zoscenko fu costretto a prendere la parola, gli dissero che doveva pentirsi pubblicamente per le risposte antisovietiche che aveva dato a degli studenti inglesi durante un'intervista. Lui non era d'accordo sul fatto di doversi pentire, ma poi prese la parola e pronunciò un discorso straziante.
Al termine del quale lei fu l'unico in tutta la sala ad alzarsi e applaudire. È così?
Sì, è così. E adesso anche da noi si parla di quel gesto come di un gesto di eroismo. Ma, vede, non si trattò affatto di eroismo, per una semplicissima ragione: quando mi misi ad applaudire, io ero convinto che tutta la sala mi avrebbe assecondato. Ero assolutamente certo che sarebbe stato così: Zoscenko era così amato, il suo discorso era stato così accorato e sincero, e io me ne stavo lì in piedi e piangevo, ero sicuro che tutti avrebbero applaudito insieme a me.

giovedì 23 aprile 2009

È un Walter che traccia il solco, ma è una frangetta che lo difende

Diceva la Debora, qualche tempo fa, che i dirigenti del PD non erano granché. Dava loro pure i voti: voti molto ma molto bassi, ovviamente. Perciò la Debora è stata candidata, e con gran pompa, alle elezioni europee. C'è poco da stupirsi, sapete? Le operazioni di rinnovamento, in politica, si fanno così (almeno dalle parti del PD, che sono quelle che conosco meglio).
Adesso la Debora dice che le sue, più che critiche, erano “un appello” al partito: un appello che è stato raccolto (ostia, se lo è stato!) perché il PD “è un partito vivo” (per la madonna, se lo è!).
Ecco allora che Walter Veltroni (Walter Veltroni in persona, pensate!) è venuto su a Udine a sostenerla.

E adesso credo proprio che sia venuto il momento di parlare della frangetta della Debora: alquanto sbarazzina, nevvero?
Bene: la frangetta della Debora, secondo me, sta lì a simboleggiare tutta la freschezza di “una nuova generazione di dirigenti politici” che “non è ex di niente” (Walter dixit: e se lo dice Walter...).
Una frangetta che vuol dire simpatia!
Una frangetta che vuol dire futuro!
Una frangetta che vuol dire “don’t ask what the country can do for you, ask what you can do for your country”!
Una frangetta che vuol dire “Ich bin ein Berliner”!
Una frangetta che vuol dire “I have a dream”!
Una frangetta che vuol dire “yes, we can!”.
Una frangetta che vuol dire, insomma, Partito Democratico!

P.S.

Tra l'altro, di 'ste cose moderne oggi ha scritto pure Diogene. Mancava da un bel po', l'Oblomov dei blogger... Bentornato, caro. Bentornato.

http://cynicaldays.blogspot.com/2009/04/scusate-il-ritardo.html

martedì 21 aprile 2009

Non sarai mai solo con la schizofrenia

Pare (pare...) che Silvio Berlusconi abbia deciso di partecipare sabato prossimo, per la prima volta, alle celebrazioni per il 64° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.

L'uomo politico underground Oliviero Diliberto (roba da teatri off, ormai...) ha così commentato: “Il premier farebbe meglio ad andare in Sardegna perché non si può diventare antifascisti in un sol colpo”.
Sapete cosa penso io?
Penso che se Berlusconi (come ha fatto ogni anno, da quando lo conosco) avesse deciso di non partecipare alle manifestazioni del 25 aprile pure quest'anno, per restarsene in Costa Smeralda a comporre canzoni con Mariano Apicella, sarebbero arrivate, puntualissime, le geremiadi de noantri (vabbé, me la fate passare?) de sinistra: “È una vergogna, una vergogna, una vergogna!!! Che una delle massime cariche istituzionali della Repubblica (nata dall'antifascismo!!!) anche quest'anno non partecipi, e con motivazioni ri-si-bi-li, alle manifestazioni che celebrano la Liberazione dal nazifascismo, è una vergogna!!!"

Berlusconi finalmente parteciperà alle manifestazioni per il 25 aprile?
E chissenefrega.
Berlusconi non parteciperà alle manifestazioni per il 25 aprile?
Chissenefrega uguale.
Io alle manifestazioni parteciperò e so anche perché.

Detto ciò, al di là del povero Diliberto, conosco un sacco di fessi di sinistra che considerano il 25 aprile cosa loro e solamente loro: non ho mai capito, quindi, cos'abbiano poi da lamentarsi se i politici di destra decidono di disertare le celebrazioni della Liberazione.
E ci metto pure un altro carico da undici, via: ne ho pieni i coglioni di vedere il 25 aprile strumentalizzato dal primo sfigato che passa. A sinistra c'è della gente che molto volentieri usa la Resistenza in chiave antiberlusconiana: ciò significa immiserirla un bel po', secondo me. Tremano le vene dei polsi, infatti, a misurare la distanza (morale e intellettuale) di un Duccio Galimberti, o di un Ferruccio Parri, non solamente da un Oliviero Diliberto, o da un Paolo Ferrero, ma proprio dal merdoso mondo d'oggi preso nella sua interezza.

Per finire, chi ricorda l'episodio di Letizia Moratti fischiata a Milano alla manifestazione del 25 aprile 2006 mentre spingeva la carrozzella del padre, Paolo Brichetto Arnaboldi, ex deportato a Dachau? Io me lo ricordo bene...
Da vomito, cari (ehm...) compagni. Da vomito.

domenica 19 aprile 2009

Mister Ballard se n'è andato


Andate qui a lato, in 'Testi'.
Ci troverete Il mio credo.
Leggete.
È stato un grandissimo scrittore visionario, James G. Ballard (di visioni spesso terribili, vedi Condominium o magari il bellissimo Running Wild, tradotto in Italia, a suo tempo, da Anabasi come Un gioco da bambini).
Gli sia lieve la terra.

Melissa e melassa

“Lei lo aspetta impaziente all'entrata della tendopoli.
Tutta bianca, scarpe da ginnastica, grandi occhi azzurri e i capelli castani legati in una lunga coda. Melissa, otto anni, la mascotte del campo allestito a Pianola, accoglie così il presidente del Consiglio. Armata di quaderno a righe e una piccola penna blu, la bimba saluta Berlusconi e non lo lascia più. Lui la nomina "sua segretaria" e lei, per tutta risposta, accetta”.

Così il quotidiano romano Il Tempo che, senza vergogna alcuna (ovviamente...), così prosegue: “Il Cavaliere arriva poco prima dell'ora di pranzo. È la sua settima visita in Abruzzo dopo il giorno del sisma. Saluta le signore sedute su alcune sedie, stringe mani, ringrazia i volontari, «gli angeli» che lavorano nei tanti campi allestiti. Melissa resta sempre accanto a lui. Il Cavaliere si ferma a parlare con alcuni bambini che lo accolgono gridando «Silvio Silvio». Una signora anziana chiede: «Presidente gli aiuti devono andare direttamente a noi altrimenti se li rubano...». Il leader del Pdl si gira verso la bambina e le dice di prendere appunti. «Non c'è bisogno io ricordo tutto» replica, ripetendo tutto quello che ha sentito. Allora il capo del governo scherza: «Vuol dire che ti affiderò la conduzione di un programma televisivo». E Melissa ribatte: «Già l'ho fatto». Poi il premier fa una battuta sulla sua età e lei: «Ma tu non sei vecchio...». Berlusconi non ha dubbi: «Allora vuol dire che ti assumo davvero». Al centro del campo c'è una grande tenda bianca, gestita da un gruppo di volontari calabresi. Sotto ci sono tavoli e sedie per tutti. Sarebbe la mensa, ma anche la sala giochi per i ragazzi, quella di ricreazione per le famiglie, la sala riunioni per gli uomini della Protezione civile. Melissa accompagna Berlusconi all'interno e i due continuano a farsi spalla a vicenda, lui e la sua assistente per un giorno fanno gioco di squadra. Tante mamme con i bambini piccoli in braccio si avvicinano e Melissa presenta tutti con i loro nomi. Un papà chiede aiuto al capo del governo per rivedere i suoi figli. Berlusconi strappa dal quaderno della bambina: «Non ti preoccupare, dopo te li rimborso». Il campo composto da 94 tende, 513 ospiti, di cui 41 bambini e 120 anziani, è gestito dai volontari dell'Arci. Berlusconi ci scherza su: «Siete bravissimi, lo so che siete di sinistra, ma qui siamo tutti uniti, non ci sono differenze». E a chi chiede se lo spirito unitario mostrato in questo terremoto potrà essere conservato in futuro, tra maggioranza e opposizione, il premier risponde: «Ne sarei arci-felice, speriamo».

Così scrive oggi il malvagio Eugenio Scalfari, nella sua famigerata omelia domenicale sul quotidiano la Repubblica: “Il controllo dei «media» non serve soltanto a procacciar voti ma soprattutto a trasformare l'antropologia d'una nazione. Ed è questa trasformazione che ha imbarbarito la nostra società, l'ha de-costruita, de-politicizzata, frantumata, resa sensibile soltanto a precarie emozioni e insensibile alla logica e alla razionalità”.
Insomma... come faceva, quella? “Capire tu non puoi/ tu chiamale se vuoi/ emozioni”?
Ecco.

Sapete che vi dico? Forse Battisti non era di destra, ma le emozioni sì: le emozioni erano, sono e sempre saranno di destra.
P.S.
Mi han sempre fatto cagare, le canzoni di Battisti.

sabato 18 aprile 2009

Tempo di malafede

Un consiglio di lettura prima di andare a far la nanna (ché sono un po' stanchino, come direbbe Forrest Gump).
L'ambiguità, di Simona Argentieri (membro ordinario e didatta dell'Associazione Italiana di Psicoanalisi e dell'International Psycho-analytical Association) è un libriccino di poco più di cento pagine sulla malafede assunta come cifra peculiare del nostro tempo: un «atteggiamento mentale subdolo e sfuggente, difficile da definire», rilevato dapprima in alcuni pazienti e poi «anche nelle relazioni quotidiane, nella dimensione pubblica e in quella privata».
L'ipotesi dell'autrice, suggestiva assai, è che l'ambiguità e la malafede siano dei fenomeni psicologici - «al confine tra l'esperienza clinica e la vita, tra la patologia e l'etica» - che rivelano «minime falle del pensiero, piccole ma non per questo innocue, al tempo stesso sintomi di un disturbo cognitivo e segnali di una carenza morale».
Si parla, per capirci, di situazioni in cui il contrasto tra ciò che si proclama e ciò che si vive «non dipende da un sottile meccanismo difensivo psicologico; ma è la conseguenza di una precisa scelta conscia e consapevole di salvaguardare il proprio interesse contingente senza rinunciare a proporsi all'esterno come portatori di norme morali ideali».
E se in questo momento state pensando alle abituali fregnacce di un Berlusconi, o di un Casini, sappiate che siete sulla strada giusta.
«I casi per me più odiosi – scrive Argentieri - sono quelli di parlamentari che nell'arena politica si atteggiano a campioni della Chiesa cattolica in difesa dei sacri valori, alzando muraglie contro qualsiasi ipotesi di cambiamento che si discosti dal più stucchevole e fasullo modello di vita e di famiglia, mentre nella loro quotidiana realtà praticano ogni genere di trasgressioni e variazioni: devozioni e divorzi, separazioni e unioni con e senza la benedizione ecclesiastica, figli di prime, seconde e terze nozze... con in aggiunta la spudorata coesistenza di mogli e amanti. Banalità della vita quotidiana che mi lascerebbero in una relativa indifferenza se non fossero accompagnate non solo da genuflessioni e frequentazioni cardinalizie, ma anche da rumorose battaglie mediatiche a protezione dei “valori” tradizionali».
L'ambiguità
, di illuminazioni, ne offre parecchie.
Tanto per gradire, «l'ombra della malafede non risparmia neppure l'ambito della spiritualità e delle fedi religiose, che così spesso vengono chiamate in causa nelle discussioni di bioetica, per lo più in contrapposizione al pensiero laico, come se la spiritualità fosse un'esclusiva delle trascendenza.
Più volte, ad esempio, ho sentito proclamare del risorgere del “bisogno di religiosità” nella cultura occidentale moderna. Ma la mia impressione è che semmai in questa nostra epoca ci sia poco spazio per lo spirituale e molto per l'irrazionale; e non vorremo certo addebitare all'anelito trascendente tutte le forme spicciole di pensiero magico - dall'astrologia all'occultismo, alle diete balorde, alle terapie alternative del corpo e della mente - che caratterizzano le fastidiose mode cosiddette
new age» (il grande Chesterton, dal suo punto di vista, la diceva così: «Da quando gli uomini hanno smesso di credere in Dio non è che non credano più a niente; credono a tutto». Ma il concetto è lo stesso, no?).
E beccatevi pure questa: «vediamo d'altronde come l'estrema intolleranza coincida sempre con il senso esasperato del confine.
Così, nella
Muraglia e i libri, Borges ci ricorda che Shi Huangdi, l'imperatore della dinastia Qin, fu colui che nel 246 a.C., contro la minaccia de feroce popolo Xiongnu, fece erigere a Settentrione la “Grande Muraglia”. Un'opera colossale, estesa nel corso del tempo per monti, valli e deserti per oltre seimila chilometri, rafforzata poi con un doppio muro alto fino a dieci metri, che è divenuta nella fantasia universale il simbolo dell'iperbole della struttura difensiva.
Ma ha ragione Borges a sottolineare che non è casuale che sia questo stesso imperatore dell'antica Cina ad avere ordinato, al di qua del possente muro, il rogo di tutti i libri considerati ostili al suo potere».
Vi ho fatto venir voglia di leggerlo, 'sto testo? Sì?
I hope so, miei cari.
Per quanto mi riguarda, vedete, Simona Argentieri è riuscita a farmi pensare che forse c'è vita al di là del feroce contemptus mundi (patetico alquanto, lo so. E sicuramente viziato da malafede e ambiguità, mortacci mia) di cui sono capace: «In casi estremi, un individuo, quando si vede confrontato con eventi pubblici che sono di per sé scandalosi e traumatici, ma che se fossero riconosciuti come tali dalla coscienza lo farebbero sentire disperato e impotente, può reagire fingendo con se stesso di non capire, di non vedere e di credere che tutto ciò che accade sia “naturale”.
Solo così si può spiegare l'acquiescenza, la collusione, la complicità distratta di tante brave persone con una realtà politica infida, che riesce a stabilire un patto inconscio – solidissimo – di apparente consenso».
Farei male a disprezzare in massa gli elettori della Destra al potere, insomma: molti di loro sono infatti delle brave persone che semplicemente fingono di non capire e di non vedere lo schifo immane che legittimano col loro voto da untermenschen del cazzo: perché, se mai riuscissero a capire e vedere qualcosa, si ritroverebbero con la psiche fritta, poveracci.
Uhm... Mumble mumble...

giovedì 16 aprile 2009

Taxi Driver (di Martin Scorsese)



State a sentire stronzi figli di puttana io ne ho abbastanza, ho avuto anche troppa pazienza e non ho intenzione di... State a sentire stronzi, figli di puttana io ne ho abbastanza, ho avuto anche troppa pazienza, ho avuto anche troppa pazienza, ho avuto troppa pazienza con voi sfruttatori, ladri, drogati, assassini, vigliacchi. Ho deciso di farla finita, ho deciso di farla finita, ho deciso di farla finita, ho deciso di... sei morto!

martedì 14 aprile 2009

Attilio Micheluzzi dal Tanganyka al Khyber

E, tanto per restare in Istria, è uscito da poco (ho appena finito di leggere) il primo volume di una serie dedicata a un grande del fumetto italiano del Novecento, Attilio Micheluzzi.
Si intitola Dal Tanganyka al Khyber e raccoglie due storie bellissime, L'uomo del Tanganyka e L'uomo del Khyber, apparse rispettivamente nell'ottobre del 1978 e nel febbraio del 1980 nella storica collana Un uomo un'avventura, prodotta dalle edizioni Cepim (il solito Sergio Bonelli: qui io lo propongo per la carica di senatore a vita, voi mettete un po' in giro la voce: vedi mai che...).
Un uomo un'avventura è un pezzo del mio immaginario personale: è stato su quei bellissimi volumi cartonati formato 24 per 31,5 che ho imparato ad amare veramente il fumetto. Fu grazie a quel progetto editoriale che conobbi Dino Battaglia e Sergio Toppi, Milo Manara (L'uomo delle nevi, una delle sue storie migliori) e un Guido Crepax immenso, quello de L'uomo di Harlem (secondo qualcuno il suo vero capolavoro). E infine, tornando a bomba, il Micheluzzi de L'uomo del Tanganyka, che ieri ho avuto il piacere di rileggere dopo una trentina d'anni.
La storia di Reginald Winkie, L'uomo del Khyber, invece non la conoscevo punto. È il solito Attilio Micheluzzi: estremo rigore nella documentazione storica (siamo in Afghanistan nel 1879), formidabili rimandi a letteratura (qui Rudyard Kipling) e cinema, tratto raffinatissimo e sintassi della tavola come sempre molto personale. Lettura caldamente raccomandata se per voi Il grande gioco, di Peter Hopkirk, è un libro di culto (per me, decisamente, lo è).
E l'Istria? Che c'entra l'Istria con questo maestro dell'avventura e delle nuvole parlanti, direte voi?
C'entra, c'entra: il nostro era nato a Umago, nel 1930.
In una vecchia intervista a Orient Express del maggio '84 gli chiesero di Napoli, la città in cui viveva (e in cui morì, nel 1990): perché non compariva mai nelle sue storie? “Perchè per parlare di Napoli – rispose – bisogna essere napoletani e io non lo sono. Sono un istriano, mezzo slavo, che vive qui per ragioni familiari. Tutto qua”.
Nella bella prefazione a Dal Tanganyka al Khyber, Sergio Brancato ha scritto che “dall'odierna Tanzania alle montagne dell'Afghanistan, guerre di ieri e di oggi si rimandano l'un l'altra all'interno di una coscienza sofferta, quella di un uomo nato negli anni più aspri del Ventesimo secolo e destinato a vivere in bilico tra differenti età della storia e geografie tra loro irriducibili. Micheluzzi era istriano, cresciuto sulla soglia tra due mondi...”.

sabato 11 aprile 2009

Sono in partenza per l'


, che poi sarebbe il mio luogo del cuore (ognuno ha il suo, come forse saprete). Ci resterò fino a lunedì prossimo.
A casa della mi' nonna.
Tanti bacini dal voster semper voster
tic

venerdì 10 aprile 2009

Massa e potere

No, non è di Canetti, che voglio parlare, ma di Claude Simon e del suo La strada delle Fiandre. Grandissimo romanzo. Lo lessi quindici anni fa, o giù di lì, e mi appuntai, chissà mai perché, le seguenti parole: “... come se le folle possedessero una sorta di dono, d'infallibile istinto che fa loro distinguere nel proprio seno e cacciare avanti per una specie di autoselezione – o espulsione o piuttosto defecazione – l'eterno imbecille che brandirà il cartello e che esse seguiranno in quella specie di estasi e di rapimento in cui, come i fanciulli, le getta lo spettacolo dei propri escrementi”.
Dove voglio arrivare? È presto detto.
Dopo un'abbuffata ultradecennale di tette, consigli per gli acquisti, culi, consigli per gli acquisti, maurizicostanzi, consigli per gli acquisti, mogli di maurizicostanzi, consigli per gli acquisti, ruote della fortuna, consigli per gli acquisti, santilicheri, consigli per gli acquisti, l'aereo di Maurizio Cocciolone abbattuto in Iraq, consigli per gli acquisti, Enrico Mentana che parla velocissimo, consigli per gli acquisti, notizie che strisciano, consigli per gli acquisti, gabibbi, consigli per gli acquisti, strani amori, consigli per gli acquisti, Gei Ar Ewing, consigli per gli acquisti, ex di Lotta Continua, consigli per gli acquisti, “sciabolata!!! Non va...”, consigli per gli acquisti, la corrida di Corrado, consigli per gli acquisti, Rita Dalla Chiesa, consigli per gli acquisti, Sandra e Raimondo, consigli per gli acquisti, comici di sinistra, consigli per gli acquisti, il tapiro, consigli per gli acquisti, Mike, consigli per gli acquisti, Dinasty, consigli per gli acquisti, Cesara Buonamici, consigli per gli acquisti, Paolo Brosio davanti al palazzo di giustizia di Milano, consigli per gli acquisti, il famoso critico d'arte Vittorio Sgarbi che dà a tutti quanti il fatto loro, consigli per gli acquisti, Bracardi che suona il piano, consigli per gli acquisti, Drive In, consigli per gli acquisti, Oreste Lionello che imita Andreotti al Bagaglino, consigli per gli acquisti, la sora Lella, consigli per gli acquisti, il filosofo Zecchi, consigli per gli acquisti, “sorridi, sei su scherzi a parte!”, consigli per gli acquisti, le veline, consigli per gli acquisti, ok, il prezzo è giusto... Dopo tutto ciò, guardate qua che po po' di stronzo son riuscite a defecare, le folle italiane.

Impressionante, nevvero? Lasciate andare che ci vuole del talento, oltre a quell'infallibile istinto di cui parlava Claude Simon...

P.S.
E ricordatevi sempre, mi raccomando, che “Mediaset è una risorsa per il Paese”, come ebbe a dire una volta il più intelligente a Sinistra. Consigli per gli acquisti.

giovedì 9 aprile 2009

Il Grande Centro

Secondo L'Espresso, i cattolici del famoso Pd sarebbero “in sofferenza".

E io mi chiedo: com'è che non me ne frega un cazzo?

martedì 7 aprile 2009

Il dissacrante sguardo di tic


Secondo il futuro premio Pulitzer Manfredi (http://rockpoliticaepessimismo.wordpress.com/), il povero blog talkischeap merita il premio Symbelmine “perché guarda l'attualità con la giusta dissacrazione”.
Lo ringrazio di cuore e rilancio il premio, come da regolamento, ad altri sette blog.
Roba che mi garba, ovviamente.
Il primo è quello del colto bizantino Zimisce (http://librodiurizen.blogspot.com/), un giovane di grande talento.
Il secondo è LAST OF THE INDEPENDENTS, ovvero il blog dell'one man band Luca Conti, traduttore di razza ma non solo (http://lconti.com/). Fateci un salto ORA, che vi beccate un'intervista di Laura Lippman al grandissimo James Crumley.
Il terzo, bé, il terzo è l'ultimo ringhio di Idefix (http://lucianoidefix.typepad.com/) ovvero il blog di Diego Armando Comida, Ernesto “Che” Comida, Joey “Gabba Gabba Hey” Comida e insomma siamo nel Pantheon.
Il quarto è il blog della Giulia (http://rumoredipenna.blogspot.com/). Per tante cose e un po' anche per Day Is Done di Nick Drake.
Il quinto quello di Mammifero Bipede (http://mammiferobipede.splinder.com/). E che non gli venga mai più in mente di mollare...
Poi c'è l'Ipostasi adespota, che è il blog di un comunistone (http://ipostasi-adespota.blogspot.com/) e perciò chiamate pure l'esorcista.
Infine, il blog di can sboldro (http://pesantezza.blogspot.com/). Perché in giro non c'è niente, ma proprio niente, che gli assomigli.
Ite, missa est.

lunedì 6 aprile 2009

Ma quanto è buona la ribollita

Il quotidiano la Repubblica ha recentemente intervistato Stefano Massini, 33 anni, autore e regista teatrale fiorentino, dieci testi scritti - tradotti e rappresentati in mezzo mondo, da Parigi a Los Angeles – scritti in sei anni.
Profeta pure in patria, il nostro, eh: nel nostro povero Paese, infatti, Massini ha avuto qualcosa come quattrocento repliche in quattro anni.
Nella sua Firenze, però, non se lo cagano nemmeno di striscio, parrebbe. Scrive infatti Paola Zanuttini che “se in Italia Masini ha avuto quattrocento repliche in quattro anni, a Firenze ne ha avute solo due, fuori abbonamento, per Processo a Dio”.
Non è – sostiene Massini – un problema solo suo: «altri autori, attori e registi fiorentini che fuori spopolano qui non sono in cartellone».
E cosa c'è in cartellone?
«È un discorso lungo. La cultura leghista non attecchisce solo al Nord e le spinte localistiche e identitarie sono forti dappertutto, anche qui: a Firenze, il grosso dell'offerta teatrale è costituito da compagnie amatoriali che propongono il repertorio dialettale, detto vernacolare».
Qualche titolo?
«I' nipote di Sor Priore, La mi' socera la fa le faville, o L'acqua cheta di Augusto Novelli, autore primo 900 sconosciuto ai più che in città è un vero cult. Il brutto è che nei teatri veri i famigerati nuovi comici toscani, genere Benvenuti, Monni, Pieraccioni-Panariello-Ceccherini, fanno le stesse cose a livello professionale».
Molto informato dei fatti.
«Io ho studiato Archeologia, ma il teatro mi è sempre piaciuto, dalle recite scolastiche in poi. Da ragazzo facevo il tecnico nelle compagnie amatoriali e ho scoperto una cosa fondamentale: più che sapere cosa vuoi fare, devi sentire cosa non vuoi fare. Io ho sentito che delle radici, del dire al mondo quanto è buona la ribollita non me ne fregava niente».
Ci sono tantissimi autori che hanno riscoperto il dialetto.
“C'è differenza fra riscoprire il dialetto e creare una lingua, come fece Gadda e fanno tanti miei colleghi, da Enzo Moscato a Napoli a Franco Scaldati a Palermo. Poi, quello dei nuovi comici, di molto cinema e della fiction non è neanche dialetto: è calata. Agli inizi della tv, Umberto Eco disse che avrebbe contribuito a creare l'italiano, oggi salvaguarda la calata: da Milano in giù».
È la tv a salvaguardare “la calata”, naturalmente: non Umberto Eco, se non si fosse capito.
E comunque, tutto il mondo è paese. Decisamente.
Voi non potete avere idea di quante volte sono stato criticato (e aspramente, ostia!), quando facevo l'assessore alla Cultura, perché rifiutavo risolutamente di inserire nel cartellone del teatro comunale commedie dialettali et similia.
Passavo da schizzinoso, da schifiltoso, da snob. Ma, ve lo confesso, non me fregava proprio niente di niente.
Perché trovavo e trovo oscena quella che Massini chiama “cultura leghista”. Perché trovavo e trovo inquietante la cultura (?) del maso chiuso. Perché, quando sento la parola “identità”, io tiro fuori il mio revolver.
En passant vi consiglio pure un bel libriccino, di quelli che allontanano i politici dal popolo (se qualcuno mi avesse dato un euro per tutte le volte che mi son sentito dire dal mio sindaco di leggere di meno e di ascoltare invece di più la “nostra gente”, adesso sarei ricco): Eccessi di culture, di Marco Aime. Edizioni Einaudi.
Posso capire (almeno credo...): nel caos generale – costumi che mutano, garanzie che evaporano – sono molti i soggetti deboli (innanzitutto culturalmente deboli, spesso anche socialmente deboli) che si aggrappano disperatamente a un'identità, come dei naufraghi a un relitto. Che si tratti poi di identità nazionale, identità religiosa, identità razziale, si intende in ogni caso un bene rifugio in cui ci si ritrova come gruppo, entro il quale ci si sente NOI, noi contro tutto e tutti: zingari e fannulloni, islamici e rumeni, immigrati clandestini e casta politica.
Posso capire, ma finisce lì.
Non scatta l'immedesimazione, perché non può scattare: io sono quel che sono e non ci posso fare proprio nulla.
E non scatta nemmeno la pietà, per fortuna: trovo che la pietà sia un sentimento orribile.
Come uomo politico non ero il cinico che passavo per essere, insomma.
Io proprio non ci riuscivo, a dire: “Volete la merda, dunque, gente mia bella gente? E allora eccovela, la merda! Prendete e mangiatene tutti! E ricordatevi, al momento del voto, di chi vi ha nutrito a merda, mi raccomando...”.
Non ci riuscivo.
Perciò, come assessore, ero decisamente l'uomo sbagliato nel posto sbagliato.
Ne ho preso atto, a un certo punto, come ben sapete.

venerdì 3 aprile 2009

The Man Who Shot Liberty Valance (di John Ford)



- Come, non pubblicherete questa storia?
- No, senatore. Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda.

giovedì 2 aprile 2009

Isaac Stern, violinista

Il grande violinista Isaac Stern era decisamente un bel tipo.

No, non voglio vendervi che lo conoscevo (che lo conosco...) come musicista, no... Io non so un tubo di concerti (e mi dispiace per chi non ha colto la citazione).
Di lui ricordavo giusto che ai tempi della Guerra del Golfo, nel '91, si ritrovò a suonare Bach a Gerusalemme nel pieno di un attacco missilistico iracheno: non volle fermarsi, alla facciaccia delle sirene d'allarme e dell'inquietudine serpeggiante in platea.
Un giorno gli chiesero come mai, nella Storia, fossero stati tanto numerosi i violinisti ebrei. Rispose così: “Sapete, era difficile scappare per l'Europa con un pianoforte sotto il braccio”.

mercoledì 1 aprile 2009

Aprile

Vi piacciono, i garofani? A me sì...

Otelo De Carvalho