Alberto Cavallari - gran giornalista, uomo di straordinaria tempra morale – fu chiamato nel 1981 a dirigere il Corriere della Sera per restituire al quotidiano di via Solferino un immagine distrutta dallo scandalo P2 e, come scrisse lui stesso, “per trarlo dal fallimento economico”. Il suo predecessore, Franco Di Bella, uomo di Licio Gelli, si era dimesso nel mese di giugno di quell'anno.
Un compito da far tremar le vene e i polsi, quello assegnato a Cavallari: “Se non accetti sei un vigliacco”, gli aveva detto Sandro Pertini; due mesi dopo il suo commiato, nel giugno del 1984, Corrado Stajano gli chiese: “Hai avuto paura per la tua vita?”.
Nei suoi tre anni di direzione lo accusarono di tutto: di essere al soldo dei comunisti, di essere filocomunista, di essere troppo corrivo con i comunisti, di essere eccessivamente accomodante con i comunisti. Quindi di non essere fedele alla storica linea del Corriere (a buon intenditor...). Gli imputarono persino di prendere troppe lire per dirigere un quotidiano che, dopo lo scandalo (all'alba dei merdosissimi anni Ottanta, evidentemente, c'era ancora qualcuno, in Italia, disposto a scandalizzarsi per qualcosa), perdeva copie (ben 100.000 dal 1981 al 1983).
Il Grande Statista Bettino Craxi gli intentò persino un processo per un articolo sulla corruzione in cui Cavallari dichiarava di stare dalla parte dei carabinieri contro i ladri e si chiedeva come mai il PSI lo criticasse: problemi? E quali? Aveva forse un'opinione diversa dalla sua, il partito del Grande Statista?
E insomma Cavallari fu nocchiero in gran tempesta ma alla fine ci riuscì - scrisse Claudio Magris, che gli fu molto amico e molto caro - a condurre in porto, “come un capitano di Conrad, la sua nave sconquassata”: lasciò un Corriere libero e completamente risanato.
Sarà magari stato anche per il suo caratteraccio (dicono che fosse capace di incazzature omeriche), ma – è ancora Magris a raccontarlo – Cavallari “fu mal ripagato di quell'impresa ed ebbe la comprensibile ma sbagliata debolezza di soffrirne e di sentirsene quasi a disagio, come avrebbero invece dovuto sentirsi gli altri”.
Il poeta Biagio Marin, ringraziandolo per quello che aveva fatto per la libertà del giornalismo e dunque per l'Italia, ebbe a dirgli : «Come mai si meraviglia? Non ricorda quello che dice nostro cugino Platone? 'Là dove un uomo liberamente si pone, nasce spontanea la koinonìa kakòn, la comunella dei malvagi'».
P.S.
Di Cavallari da leggere assolutamente La fuga di Tolstoj. Io ce l'ho Garzanti (un vecchio elefante), credo l'abbia ristampato Einaudi.
3 commenti:
E adesso sul Corriere ce certa gente...
"Battista! Hai portato panebianco e mieli ai galli della loggia?"
"Ostellino...me l'ero dimenticato"
"Dormivi sotto gli alberoni?"
Hai cantato con i DikDiK ?
io si!
BW
Aperitivo... dove?
Son a Udine, oggi pomeriggio.
E domani England.
Ahimé...
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