mercoledì 5 agosto 2009

And after this our exile

Come dite, voi?
Che non ve ne potrebbe fregare di meno della storia di una famiglia middle class di Long Island di ascendenza irlandese (e quindi di religione cattolica romana) attraverso trent'anni, o giù di lì, di Storia americana?
Sicuri?

Dopo tutto questo, di Alice McDermott, è il più bel romanzo che ho letto quest'anno.
Di cosa parla? Di genitori e figli, di fratelli e sorelle, di preti e suore, di educazioni cattoliche e aborto, della Seconda Guerra Mondiale e del Vietnam, di adolescenza e vecchiaia, di solitudine e follia, di casette suburbane e della Grande Città, di alcolismo e disperazione, di amicizie che salvano la vita e di poveri amanti... E pure di voi, se pensate che una famiglia possa essere - a volerla dire con Bob Dylan - “a shelter from the storm”, un riparo dalla tempesta (devo questa suggestione dylaniana a un'intervista all'autrice).
E, per carità, lo so che qui in Italia la famiglia è molto spesso una disgrazia assoluta (non eravamo, secondo Edward C. Banfield, la terra del “familismo amorale”? Non lo siamo ancora?), una gabbia opprimente e oppressiva, il munitissimo fortino dove si sono asserragliati i più acerrimi nemici della società e dello spirito civico: lo so.
Ma alla famiglia Keane finirà per appartenere anche la povera Pauline, psicotica e alcolizzata, che verrà adottata, quindi scelta (e curata. E salvata....) da John e Mary ma soprattutto da Clare, la loro figlia minore, perché - a volerla dire con Bruce Springsteen - “the ties that bind”, i legami che uniscono (devo questa suggestione springsteeniana a me stesso e basta), sono quelli dell'amore e non quelli del sangue.
E, con Springsteen, termino: ho pensato alle sue elegie per la povera gente (e alla sua etica) praticamente sempre, mentre leggevo Dopo tutto questo. A una canzone di Nebraska, in particolare: quella che chiude il disco, Reason to believe.
Ed è con una ragione per credere, per sperare, che si conclude anche il magnifico romanzo di Alice McDermott. Che vi auguro di leggere, ça va sans dire.

At the end of every hard earned day people find some reason to believe.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

ah, come si vede l'influenza del vecchio Biagi...
arturo.

tic ha detto...

Uhm...
Non lo so se questo commento mi piace...
Uhm...

Mammifero Bipede ha detto...

"everything dies, baby, thats a fact
maybe evrything that dies someday comes back..."


Interessante "consiglio per l'acquisto"...
:-)

Unknown ha detto...

Non è un libro "deprimente"? Perchè non ho nessunissima voglia di leggere storie avvilenti, che ti lasciano addolorato per i personaggi a cui ti eri affezionato e che escono spezzati dalle ingiustizie della vita.

yodosky ha detto...

Ah, signor Luciano, Lei non sa cosa chiede! Domandare a Tic se un libro che ha letto è derpimente è come chieder al mare se è salato! O al gabbiano se può librarsi nell'aria! O alla pioggia se può evitar di cadere dai nembi!

Ah, lasso!

Unknown ha detto...

Bella risposta, assai ben scritta e gustosa. Anche se mi par di capire che il romanzo in questione è un tantinello deprimente.

tic ha detto...

Non lo è.
Per niente.
E' un po' come la vita.

Unknown ha detto...

Mi sa che lo leggerò. Prim aperò finisco (mi manca 1800 pagine) il ciclo del Ghiaccio e del Fuoco di George Martin (rockettaro e democratico, sovrappeso e fan di Shakespeare). Fantasy adulta di gran livello.

Anonimo ha detto...

Vista la giornata odierna mi sento di ripercorrere, nei passaggi di Catullo, il vero senso della vita: Vivamus mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis. Soles uccidere et redire possunt; nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein seconda centum, deinde usque altera mille, deinde centum. Dein, cum milia multa fecerimus, conturbabimus illa, ne sciamus aut ne quis malus invidere possit, cum tantum sciat esse basiorum. Liam