lunedì 24 novembre 2008

Il Secolo del Jazz al Mart




Ieri mattina, con quella sagoma di mia moglie E., eravamo al Mart, il Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto.
In programma, dal 15 novembre al 15 febbraio, Il Secolo del Jazz. Arte, cinema, musica e fotografia da Picasso a Basquiat, una mostra che esplora i legami tra il jazz e altre forme d'arte: la pittura, la grafica e la fotografia, principalmente.
Una gioia per gli occhi e per la mente, believe me. Assolutamente imprescindibile se, come il sottoscritto, per il jazz (e per il blues. E per l'America...) avete qualcosa di più che un interesse di circostanza.
Sono letteralmente impazzito per le copertine dei dischi in mostra.
Ora, dovete sapere che le copertine disegnate sono arrivate quasi quarant'anni dopo la nascita del disco in vinile. Prima c'erano quelle che venivano chiamate tombstones, pietre tombali: semplici (e anonime) buste.
Fu un grafico di ventitré anni, Alex Steiweiss, ad avere l'idea della confezione accattivante per la musica. Fu lui a disegnare la prima copertina in assoluto per un 78 giri, Smash Song Hits by Rodgers & Hart: fu un successo col botto.
La grafica dei dischi jazz doveva suggerire libertà, ritmo, creatività, fantasia.
“Disegni a inchiostro o ritratti fotografici riprodotti in bicromia (blu, rossi o gialli a tutta pagina); primi piani di volti o di strumenti, fotomontaggi, campiture piatte di colori vivaci; blocchi di testo disposti in forma geometrica, caratteri classici o lineari, calligrafia: l'infinita varietà delle copertine degli anni cinquanta e sessanta. Senza dimenticare il verso, dove si dispongono le note, in colonne più o meno larghe, a volte ornate da un apparato iconografico che integra, o riproduce quello del recto; né la custodia interna, anch'essa in qualche caso stampata. Mentre il dorso spesso degli album a 78 giri, generalmente telato, impediva l'estensione dell'illustrazione di copertina, il sottile quadrilatero a due facce delle nuove copertine costituisce uno spazio nuovo, a completa disposizione della creazione grafica, che infatti si sbizzarrisce a utilizzarlo” (così Catherine de Smet nel bellissimo catalogo della mostra, edito da Skira).
Grandissimi artisti, che furono influenzati profondamente dal jazz (emblematico il caso di Pollock, che non fu scelto a caso da Ornette Coleman per la cover di Free Jazz), al jazz vollero restituire qualcosa: in mostra, per dire, c'è una magnifica serie di copertine di Andy Warhol, anni '56, '57 e '58: e son da vedere...
Diversi grafici, nati nelle scuole d'arte e/o di design, furono molto legati al jazz: è il caso dell'immenso David Stone Martin e dei suoi disegni a inchiostro, a volte “rialzati” con qualche nota di colore, che ritraevano i musicisti dal vivo, in concerto o magari per strada. D. S. M. amava il grande Art Tatum, in particolare, e in alcuni lavori cercò di tradurre visivamente la complessità della sua tecnica strumentale.
E poi, beh, poi c'è il lavoro di Reid Miles per la Blue Note, che è sul serio un mistero: la sua produzione “smentisce brillantemente l'idea secondo la quale, per esercitare questa attività, è necessario amare il jazz: notoriamente poco interessato ai dischi di cui concepiva gli involucri (scambiava gli esemplari che gli venivano regalati con dischi di musica classica), Miles ha comunque contribuito a dare al jazz di quell'epoca il suo caratteristico stile visivo, con una progettazione grafica più ardita e più innovativa di quella della maggior parte dei suoi colleghi” (è ancora la de Smet).
Jim Flora invece, con quel suo stile particolarissimo “alimentato dall'osservazione incrociata di Picasso e dell'arte precolombiana, dei pittori contemporanei messicani e delle espressioni artistiche di vari angoli di mondo”, il jazz lo amava eccome.
Il viaggio tra l'iconografia degli spartiti di jazz e musica popolare in generale tra il 1830 e il 1945, poi, è stato per me davvero entusiasmante: sul serio, non mi ci volevo staccare. Ho invidiato il collezionista e musicologo francese Philippe Baudoin per la miniera d'oro che possiede.
Scrive Baudoin del suo oro in mostra: “Strano mestiere quello degli illustratori di spartiti: artisti senza esserlo, modesti impiegati d'ufficio, questi oscuri disegnatori sono ingaggiati dagli editori musicali per la loro capacità di lavorare rapidamente, da virtuosi, e sono chiamati a cogliere non tanto lo spirito della musica quanto le sue potenzialità commerciali. Eppure, le acrobazie che compiono con i loro tratti di matita e i colori vivaci di cui cospargono le loro pagine li avvicinano al fluttuare delle note che illustrano, specialmente al jazz e alla danza, soggetti particolarmente congeniali a questi illustratori, per i quali non si applica ancora la definizione di grafici”. Ecco allora i black face minstrels alla Jim Crow e i battelli sul Mississippi by the light of the moon, i suonatori di banjo e le enormi balie nere, gli afroamericani dalla grande bocca, dalle grosse labbra e dagli occhi sgranati tra stereotipi caricaturali e storie di ordinario razzismo a cavallo tra Ottocento e Novecento.
E poi gli incroci tra pittura e jazz, da Stuart Davis a Winold Reiss, da Miguel Covarrubias a Archibald J. Motley Jr (suo il Getting Religion, quadro in blue che ha incantato me ed E.), da Reginald Marsh a quel grande cantore dell'America che fu Thomas Hart Benton. E poi Henri Matisse, Piet Mondrian, Elaine De Kooning, George Grosz e mi fermo qui giusto perché devo.
Ci tornerei domani mattina, se potessi, al Mart. Mi consola il catalogo: 42 euro spesi come meglio non si potrebbe.

11 commenti:

luciano.comida ha detto...

Un post formidabile

yodosky ha detto...

Una bella mostra davvero. Anche per una come me che di musica non ne capisce un tubo (e infatti ho scoperto in tale occasione che Billie Holiday era una donna). Ben fatta e molto interessante, con un sacco di pezzi provenienti da collezionisti privati che hanno tutta la mia invidia.
Inoltre di positivo c'è stato che alla cassa non hanno preteso di farmi lo sconto studente.
(giuro è successo un anno fa alla mostra di Spacal. Ora, lo so che non dimostro la mia età, ma caspita, almeno 18 me li darete???)
E poi il Mart è veramente SPA-ZIA-LE.

Anonimo ha detto...

Ti fanno lo sconto e ti lamenti? Questo non é da te..

Firmato

una sorella che in comune con te ha SOLO le braccine corte

yodosky ha detto...

Deficiente. Vorrei vedere te se ti fanno lo sconto per anziani.
Visto che credono sia tu la sorella più grande.
Frrr. Frrr.
E voglio solo ricordare una volta che in un camerino una tizia ti chiese "Signora, è suo quel bambino?"
Ahahhahahhhaahahaha!

Adespoto ha detto...

Bel post, Mr.Tic, e ovviamente splendida mostra.

Mi hai convinto. Entro febbraio proverò a fare un salto anche io, dalle parti del MART, a dare un occhio al secolo del Jazz.

barone von furz ha detto...

ovviamente te lo sei preso...

yodosky ha detto...

EH NO! Caro Barone...

yodosky ha detto...

Comunque, caro Adespoto, vada, vada, e apprezzi Lamerica...

Anonimo ha detto...

sarà mica lo sconto fatto per quelli sotto il metro di altezza?:-)

yodosky ha detto...

Ho una sessantina di centimetri più del metro di altezza, anonimo. E se l'anonimo è una certa sorella ha poco da ironizzare sull'altezza.

Anonimo ha detto...

segnalato da Laura. Interessante mostra. E poi andare al MART è sempre festa. Grazie