mercoledì 23 gennaio 2008

Martiri





Sono abbastanza vecchio per ricordarmi molto bene della violentissima guerra civile che devastò Beirut e il Libano tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta.
Da bambino certe parole mi sembravano molto strane, molto misteriose: mi sembra ancora di sentirli, gli inviati di guerra del telegiornale nazionale (chi era? Marcello Alessandri?), parlare di fedayn, di cristiano-maroniti, di drusi e di Falange e, dietro di loro, sullo sfondo, la skyline della città bombardata, o le macerie nelle strade, una batteria di razzi katiuscia e dei miliziani armati in mezzo al fumo degli incendi.
E poi i nomi dei signori della guerra: i Jumblatt, i Gemayel... Figli di vere e proprie dinastie combattenti, in quella pazzesca macelleria mediorientale.


Mi sono avvicinato a Facce bianche di Elias Khuri come raramente mi accade, attirato da uno strillo in quarta di copertina firmato da Tahar Ben Jelloun: “Facce bianche è il libro sulla guerra in Libano, che continua all'infinito seminando dolore e desolazione”.
La storia si svolge nella Beirut del 1980 e racconta di un delitto, “un uomo sulla cinquantina inoltrata, tracce di percosse sul petto nudo, in faccia tagli e squarci”, rinvenuto cadavere in mezzo ad un monte di rifiuti. Era il signor Khalìl Ahmad Jàbir, un povero travet annichilito dall'uccisione del figlio in guerra, che aveva preso ad andarsene in giro a strappare dai muri della città i manifesti - ancora così comuni in Libano come in Palestina - che raffigurano quei combattenti 'morti da martiri', come il suo Ahmad, e a dipingerli poi di bianco, con la calce.
Non è un giallo, e quindi non si saprà mai il nome del colpevole o dei colpevoli. La morte di Khalìl Ahmad Jàbir è semplicemente la luce nera capace di illuminare, per qualche pagina, le vite di quanti lo hanno conosciuto bene e quelle di chi ha avuto a che fare con lui solo grazie al caso, a un accidente dell'esistenza: un omicidio efferato diventa, insomma, il punto di gravitazione per una serie di storie che nel loro sviluppo e nei loro intrecci riescono a restituirci, senza remissione alcuna e senza reticenze di sorta, la brutalità irrimediabile, la totale mancanza di senso e il disfacimento morale delle persone, ovvero quei fiori del male che ogni guerra fa sbocciare dal suo seno.



E allora l'assassinio di Jàbir, l'uomo ferito nell'anima che viveva per cancellare dai muri di Beirut i colori di quella retorica infame che ogni scannamento politico lascia inevitabilmente dietro di sé, come la bava di una lumaca, non può essere nemmeno definito come “un caso”: “Khalil Jàbir è morto e riposa in pace, cosa vuole di più? Magari l'hanno torturato, è evidente che l'hanno picchiato. Comunque sia, è morto. Sarebbe un caso, questo? Una città in cui muore una quantità spaventosa di gente, e la morte di Khalìl Ahmad Jàbir diventa un caso? Dicono che era il padre di un martire. Non lo so, amico, i martiri proliferano, tutti quanti sono diventati o martiri o familiari di martiri”.
Elias Khuri dirige il supplemento culturale del quotidiano “al-Nahar”, è visiting professor alla New York University ed è autore di quattordici romanzi. Facce bianche è uscito nel 1981. Einaudi l'ha stampato per l'Italia lo scorso anno.
Uno splendido romanzo corale, uno scrittore sensibile e raffinatissimo. Grazie di cuore a Tahar Ben Jelloun.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sono più vecchio del già abbastanza vecchio TIC e lo spunto offerto, con la sua solita e naturale sapienza/precisione, m'ha destato vecchi ricordi legati non al Libano ma ad Israele (anni 70) con il suo mitico primo ministro GOLDA MEIR nella vicenda MONACO '72- SETTEMBRE NERO (evocata da Spielberg nel grandioso film" MUNICH.Scusate la digressione.

Fabio Montale ha detto...

She dreams of nineteen sixty-nine
Before the soldiers came
The life was cheap on bread and wine
And sharing meant no shame
She is awakened by the screams
Of rockets flying from nearby
And scared she clings onto her dreams
To beat the fear that she might die

And who will have won
When the soldiers have gone
From the lebanon
The lebanon

Before he leaves the camp he stops
He scans the world outside
And where there used to be some shops
Is where the snipers sometimes hide
He left his home the week before
He thought hed be like the police
But now he finds he is at war
Werent we supposed to keep the peace

And who will have won
When the soldiers have gone
From the lebanon
The lebanon
The lebanon
From the lebanon

I must be dreaming
It cant be true
I must be dreaming
It cant be true