giovedì 18 ottobre 2007

Non ci sono. Me ne sono andato.

"Se non dovessi tornare,

sappiate che non sono mai partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai."
(BIGLIETTO LASCIATO PRIMA DI ANDAR VIA
di Giorgio Caproni)



Mi tocca proprio - perché già qualche giorno fa avevo eccetera - riparlare di Bob Dylan. Non riesco ad evitarlo.
Visto lunedì sera "I'm not there" di Todd Haynes.
Vado subito al sodo: ne consiglio la visione solo ed esclusivamente ai dylanologi di stretta osservanza.
O meglio, solo a coloro i quali sono in grado di rispondere senza tentennamenti alle seguenti domande:
1 - Cos'è TARANTULA?
2 -Perchè Richard Gere, uno degli interpreti del film, ha pensato bene di raccontare in una conferenza stampa di essersi letto, dietro suggerimento di Haynes, il libro di Greil Marcus "The Invisible Republic" (conosciuto anche, o soprattutto, come "That old, weird America", tradotto in italiano da ARCANA come "Quella strana, vecchia America")? Ovvero: ma cosa diamine sono i "Basement tapes"?
3 - Chi era Albert Grossman?
4 - Di che caspita canta Dylan in "Idiot wind"?

E (ma queste sono più facili),
5 - Che cosa accadde al Festival di Newport? Ovvero: ma perché Pete Seeger si incazzò così tanto con Dylan?
6 - Che c'entrano Woody Guthrie e quella sua chitarra che, perdio, "ammazzava i fascisti", con Bob Dylan?


Todd Haynes è un dylanologo impenitente. Sa che Dylan ha vissuto molte vite, beato (forse...) lui. E lo dice subito, ai titoli di testa, che "I'm not there" è ispirato "alla musica e alle molte vite di Bob Dylan". E sa pure che il suddetto, come disse qualcuno non ricordo chi, ha tanti di quei lati da risultare alla fine sferico, beato (forse...) lui.
Haynes ci prova a misurare qualche lato di Bob Dylan. Ci prova sul serio ad inseguirlo e a fermare qualche fotogramma di un altro film, quello che Dylan stesso ha diretto e interpretato per quasi cinquant'anni recitando innanzitutto se stesso e comunque la parte di altri cento personaggi. E prova anche a rintracciare e registrare le centinaia di voci con cui Dylan ha cantato: da quella di Robert Johnson a quella di Walt Whitman, passando per quella di Mississippi John Hurt e di Sleepy John Estes, di Arthur Rimbaud e di Charlie Poole. Tutti cittadini di quella repubblica invisibile di cui ha detto Greil Marcus.
E sa, Haynes, che Dylan è un tipo sfuggente. Tu arrivi in un luogo dove sei sicuro di trovarlo e lui non c'è, se n'è appena andato. E allora ti metti sulle sue tracce e lui magari alla fine ci ritorna, in quel posto. O forse non se n'era mai andato per davvero, da quel posto, ma era sempre stato lì ed eri tu a non vederlo, nascosto com'era dietro tutte le sue maschere.

"Ho affrontato tutto questo come se dovessi scrivere una tesi di laurea. Però non volevo che il film fosse un saggio. Volevo ricreare la sensazione di ESSERE davvero negli anni sessanta e settanta, volevo far sentire l'aria del tempo, portare lo spettatore nella pelle di Dylan e fargli percepire anche tutte le pressioni che Dylan ha subito. Per ottenere questo non potevo fare un biopic, un film biografico tradizionale. I biopic tendono a ridurre, a sintetizzare una vita in alcuni episodi, e alla fine danno per lo più una lettura univoca del personaggio che mettono in scena. Io volevo fare un film dalla struttura aperta, che espandesse il personaggio anziché restringerlo, che ne restituisse la complessità e le contraddizioni. Facendolo interpretare da sei attori, è come se volessi suggerire che in certi momenti della sua vita Dylan è una cosa, ma subito diventa una cosa completamente diversa" (et voilà: dalla viva voce del regista. Fonte, IL MUCCHIO SELVAGGIO, n. 639 - ottobre 2007).


A fare un film biografico non tradizionale Haynes c'è pienamente riuscito, secondo me. E pure a scrivere una tesi di laurea. Di incredibile acribia. Epperò verbosa assai. E macchinosa la sua parte.
Entusiasmante, per un iniziato (snob) come Tic. Molto meno, immagino, per chi di Dylan conosce giusto quelle quattro canzoni di cui una è "Blowin' in the wind", magari imparata, frequentando ambienti A.G.E.S.C.I., in agghiacciante traduzione italiana.
Concludo scrivendo che Cate Blanchett è davvero inquietante e che Dylan pare abbia gradito l'inseguimento di Todd Haynes. Ma sembra che - almeno fino a qualche giorno fa era così - non abbia ancora visto il film.















3 commenti:

Anonimo ha detto...

Il mio contributo al quiz proposto da Tic:
1 – TARANTULA è un RAGNU.
2 –“Perchè Richard Gere, ha pensato bene di raccontare in una conferenza stampa di essersi letto il libro di Greil Marcus "The Invisible Republic" (conosciuto anche, o soprattutto, come "That old, weird America", tradotto in italiano da ARCANA come "Quella strana, vecchia America")? Ovvero: ma cosa diamine sono i "Basement tapes"?”
Risposta: evidentemente era uno snobbone come l’autore di questo blog.
3 – “Chi era Albert Grossman?”
Risposta: Gross Man in tedesco significa ‘Ciccione’. La risposta quindi viene da sé.
4 – Di che caspita canta Dylan in "Idiot wind"?
Risposta: Vento idiota? Questa risposta la lascio al Barone von Furz.
5 - “Che cosa accadde al Festival di Newport? Ovvero: ma perché Pete Seeger si incazzò così tanto con Dylan?”
Risposta: Uno che ha un nome come Pete (il Barone saprà apprezzare questa sottigliezza) è SEMPRE incazzato.
6 - Che c'entrano Woody Guthrie e quella sua chitarra che, perdio, "ammazzava i fascisti", con Bob Dylan?
Risposta: niente. E che cosa è piccolo, giallo e molto pericoloso? Un canarino con un mitra.

tic. ha detto...

Il dibattito sul mio blog è di livello sempre più basso. Stiamo quasi per iniziare a scavare.
Per chi lo ignorasse, Maestro Yoda è MIA MOGLIE.
Compiangetemi, ora. Su.

tic. ha detto...

P.S.
L'incoraggiamento di maestro Yoda (MIA MOGLIE!!!) al Barone Von Furz (la cui identità rivelerò prossimamente) lo trovo RIPROVEVOLE. Dixi.