martedì 28 dicembre 2010

Le fonti di Maurizio Belpietro

«Ebbene, sì. Lo confesso. Sono stato io, Willard Pogrebin, un tempo così mite e promettente, a sparare al presidente degli Stati Uniti. Fortuna ha voluto, però, che un tale tra la folla intervenisse a torcermi la mano che impugnava la Luger deviando il colpo, sicché la pallottola, dopo aver rimbalzato contro un'insegna metallica, andò a conficcarsi in una mortadella, nell'Emporio Insaccati Himmelstein. Dopo una lieve colluttazione, durante la quale diversi poliziotti fecero un nodo alla marinara con il mio gargarozzo, venni immobilizzato e mi portarono a razzo in osservazione al neuro-deliri.»

Ieri Maurizio Belpietro, il direttore del famoso quotidiano Libero, ha scritto che ci sarebbe in agenda, per la prossima primavera, un finto attentato al Presidente della Camera dei deputati, onorevole Gianfranco Fini, in occasione di una visita istituzionale di quest'ultimo in Puglia, lasciando in qualche modo intendere che sarebbe stato proprio il diretto interessato ad averlo commissionato, per 200mila ricchi euro, ad un manovale della criminalità locale.
Fini avrebbe ordito tutta 'sta machiavellica trama per poi far ricadere la colpa del proprio ferimento (lieve, ovviamente...) sul Presidente del Consiglio Berlusconi, condizionando in tal modo l'esito delle prossime elezioni politiche (che il direttore Belpietro prevede, dunque, molto vicine). L'attentatore prezzolato si sarebbe volentieri prestato ad accusare il falso mandante, ça va sans dire.
Oggi Fini ha querelato Belpietro.
A me tutto ciò ha ricordato una storiellina di Woody Allen, Tempi duri e scellerati. La trovate su Effetti collaterali, vedi mai desideraste leggervela.

Vi si racconta di un tizio pagato dal presidente degli Stati Uniti Gerald Ford (ve lo ricordate? Era il vice di Nixon e diventò presidente subentrandogli quando Tricky Dick fu costretto a dimettersi sull'ondata di piena delle rivelazioni dello scandalo Watergate. Secondo Lyndon Johnson, Ford era talmente dotato, sul piano intellettuale, da non riuscire a masticare del chewing-gum e a scorreggiare nello stesso momento) un tizio pagato da Gerald Ford, dicevo, per «tirargli, di tanto in tanto, una revolverata, badando bene di mancare il bersaglio. Questo, disse, gli avrebbe dato modo di comportarsi eroicamente e sarebbe servito a distogliere l'attenzione della gente dalla vere questioni importanti...».

lunedì 20 dicembre 2010

Al calduccio sotto le mie copertine (n.27)

Arcade Fire, Neon Bible, 2007

Do you know where I was at your age?
Any idea where I was at your age?
I was working downtown for the minimum wage.
And I'm not gonna let you just throw it all away.
I'm through being cute, I'm through being nice,
Oh tell me, Lord, am I the Antichrist?!

sabato 18 dicembre 2010

O Capitano, mio Capitano


L'ho appena saputo dalla pagina Facebook di Carlo Bordone, un giornalista del Mucchio, che ieri se n'è andato Capitan Cuordibue, al secolo Don Van Vliet, un artista immenso, irraggiungibile.
Non saprei davvero dire quante volte, in vita mia, ho risposto: “Certo che mi piace! E molto. Perché?” alla domanda: “Ma a te piace davvero, 'sta roba?”.
La “roba” in questione era Trout Mask Replica, un suo disco del 1969 composto in una sola seduta di otto ore e mezza al pianoforte – uno strumento che Captain Beefheart, clarinettista e armonicista, prima di quel momento non aveva mai suonato – provato poi per mesi e mesi in una villa in mezzo a chissà quale deserto americano e inciso infine in meno di cinque ore.
Rock dadaista, venne definito da qualche bello spirito: musica sul serio pazzesca, sciamanica (Gimme dat ole time religion/ Gimme dat ole time religion/ Gimme dat ole time religion), primitiva, istintiva, disturbante, figlia di quell'irripetibile esplosione di creatività che furono gli ultimi anni Sessanta, del Delta blues e del free jazz più selvaggio.

Era dal 1982, da un disco che si intitolava Ice Cream for Crows, che il Capitano non incideva più.
Ma se avete frequentato un pochino il Tom Waits post Swordfishtrombones (da Rain Dogs a Mule Variations passando per Bone Machine), allora Captain Beefheart l'avrete sentito cantare e suonare un sacco di volte anche dopo il 1982: sul grandissimo Tom la sua musica ha avuto infatti un'influenza enorme, sempre onestamente dichiarata.
Sia lieve la terra al Capitano.

lunedì 13 dicembre 2010

I confess

Oggi, a pranzo.
Si chiacchiera, con mia moglie, del più e del meno.
Ad un certo punto si finisce per parlare di Berlusconi che è arrivato a comprarsi dei voti utili a ottenere la fiducia dal Parlamento.
Io dico che il papi della Patria non riesce più stupirmi: è un farabutto conclamato e c'è poco da aggiungere.
Elena è più profonda: Berlusconi non stupisce nemmeno lei, ma...
«È un imprenditore - ancorché molto anomalo, lo sappiamo - e ragiona da imprenditore. Deve raggiungere un determinato risultato? Si compra le professionalità che gli servono per ottenere quel risultato, sottraendole alla concorrenza. E c'è poco da aggiungere...».
Eh, sì: gli imprenditori in politica fanno cose molto strane, a volte.
Cose che con l'impresa, magari, c'entrano molto: il problema è che non c'entrano niente con la democrazia.
E chi meglio di me può saperlo?
Non ho forse votato Riccardo Illy per ben due volte, io?

venerdì 10 dicembre 2010

Parole celebri dalle mie parti (n.93)


"Se la mano è leggera non vuol dire che sia estranea al delitto."

(Alda Merini)

mercoledì 8 dicembre 2010

Renegade communists do it better!

“L'intellettuale è più su, più giù. L'intellettuale è più oltre!”
(da C'eravamo tanto amati, di Ettore Scola, 1974)






Che forte, Massimo D'Alema!


L'altro ieri era comunista (sapete i comunisti, no? Quelli che ritenevano che dare a uno del 'socialdemocratico' fosse molto peggio che dargli del coglione), ieri socialdemocratico (perché sarebbe stata “un'anomalia tutta italiana” - ricordate? - un Ulivo che dalla socialdemocrazia europea pensasse di prescindere) e oggi... ma oggi è oltre, no? Anzi, più oltre!
Perché la socialdemocrazia non basta più, perdinci. L'ha scritto qualche giorno fa, l'intelligentissimo D'Alema, su un giornaletto di quelli tanto à la page tra i riformisti de noantri (“la principale sfida che socialisti e socialdemocratici devono affrontare oggi è la progettazione di un nuovo ciclo politico, che non deve essere il semplice ritorno al vecchio modello tradizionale socialdemocratico. Piuttosto, dobbiamo considerare il contributo che la socialdemocrazia europea può offrire ad una coalizione progressista e democratica. Non lo dico soltanto dal punto di vista partitico, ma anche in termini culturali e sociali più ampi e profondi. Un’ampia coalizione della quale la socialdemocrazia sarà solo una componente”) e tutto ciò forse sarà pure vero ma suona malissimo, detto da lui.
Non so a voi, ma a me stanno proprio sulle palle quelli che pensano di essere perfettamente in grado di recitare tutte le parti in commedia e con esiti ugualmente brillanti...
Il problema, però, è il pubblico e solo il pubblico, visto che – incredibilmente! - Massimo D'Alema un suo pubblico ce l'ha ancora.
E le alternative mica sono migliori.
Prendiamo Vendola.


Me lo ricordo bene, io, l'immaginifico Nichi, quando andava in giro per l'Italia, dopo la Bolognina, a spiegare al popolo beota che era proprio tanto bello continuare a chiamarsi comunisti, e che no? Gli piaceva un sacco, quella vecchia narrazione del Novecento, al nostro. Così diceva, almeno. E – sapete? - lo diceva precisamente con la stessa prosopopea che sfoggia di questi tempi: ma la stessa proprio sputata sputata, eh!
Poi l'ho visto sedere soddisfatto, per anni annorum, accanto al pensoso Fausto Bertinotti, il subcomandante degli happy hour: gli piaceva una botta, al Nichi, la narrazione del Fausto e lo comunicava molto volentieri a tout le monde perché, si sa, lui è uno comunicativo. E sempre con la stessa prosopopea che sfoggia di questi tempi, lo comunicava: ma la stessa proprio sputata sputata, eh!
Poi me lo vedo negli ultimi mesi, negli ultimi giorni, in giro a destra e a manca dopo esser stato miracolato dall'intelligentissimo D'Alema che per ben due volte ha scelto di fargli la guerra, giù in Puglia, e mica candidandoglisi contro direttamente, cosa che avrei pure capito, bensì utilizzando tutte e due le volte lo stesso carneade - anzi lo stesso utile idiota (leninisticamente parlando, si intende...) - nella convinzione, squisitamente progressista, che a) mai e poi mai i pugliesi – gente tradizionalmente moderata e timorata di dio - avrebbero votato per un comunista omosessuale e che b) la Puglia fosse cosa sua e solo sua, e quindi i pugliesi potevano benissimo votare per il cavallo del politico più intelligente d'Italia e si ricordassero pure di ringraziare.
Invece Vendola, ahi ahi ahi, vinse... Tra parentesi, si sa: se qualche mese fa Adriana Poli Bortone non avesse deciso di correre da sola, alla facciaccia del Pdl pugliese, forse mò staremmo raccontando un'altra storia, staremmo. Ma tant'è.
Ora, siccome da tempo, a sinistra, D'Alema è considerato una sorta di Re Mida al contrario – tutto quello che tocca si trasforma in merda: è cosa nota – al suo per-ben-due-volte-nemico Nichi Vendola è toccato per forza di assurgere a vette iperuranie, tra i tanti orfani della sinistra italiana (magari solo tra gli orfani della sinistra comunista italiana, che non era poi una cosa tanto banale da doversi meritare dei curatori fallimentari dello stampo di un D'Alema o di un Veltroni).
E qui siamo, a tutt'oggi: Nichi, Nichi, Nichi! Salvaci tu!!!
È stato Silvio, a insegnarcelo: un uomo solo al comando ci salverà tutti! Che poi Nichi lo chiamano Nichi perché Silvio lo chiamano Silvio, no?
Vendola ieri era comunista, l'altro ieri - assieme a Fausto Bertinotti - rimestava minchiate in nome della 'sinistra radicale' (chi se le ricorda, “le due sinistre”?) e oggi proclama che lui detesta sentir parlare di sinistra radicale perché sinistra radicale non significa (effettivamente...) nulla di nulla.
E sempre con la stessa prosopopea, il Vendola, eh: sempre con la stessa faccia come il culo.
Tutte le parti in commedia, via... Anzi, tutte le parti nella sceneggiata: iss', ess' e o' malament'.
Tanto il pubblico - dopo sedici anni di berlusconismo che, tra le altre cose, hanno letteralmente raso al suolo la sinistra italiana - è di bocca buonissima.
Massimo più oltre e Nichi: e sarebbe 'sta gente, a doverci salvare, sì?


E al di là dell'aspra invettiva - qualcuno potrebbe chiedermi - cosa proponi?
Di ricominciare a studiare, intanto.
Poi di andare meno in tivvù.
Poi di lasciar perdere la politica come biografia personale, la politica come narrazione e la politica come narrazione di una biografia personale.
Poi di smetterla di firmare deleghe in bianco a chiunque, e in special modo a certi valorosissimi condottieri da talk show.
Poi di lasciar perdere tutta quella gente che si autoassolve nella convinzione di essere l'eterna vittima dei politici cattivi e non la mamma dei medesimi.
Poi di ricordarsi di dire 'noi', qualche volta.
Poi, se non fa troppo schifo, di riscoprire un po' il gusto dell'indignazione e dell'intransigenza.
Infine, di darsi tempo.
Perché per uscire da 'sto casino immane ci vorrà del tempo.
E molta pazienza.

lunedì 6 dicembre 2010

Una lettura consigliatissima (e una recensione, forse...)

"Silvio Berlusconi è un grande comunicatore."

"Umberto Bossi è un animale politico dal fiuto straordinario."

"D'Alema, a sinistra, è il più intelligente."

martedì 30 novembre 2010

L'armata Brancaleone (di Mario Monicelli)


“Abbiate fede ne lo cavalcone! Esso tiene!”



P.S.

In realtà, per questo film capolavoro, una battuta sola non basta. Potevo mettercene altre venti.
Che so?
- "Avrete sentuto, suppongo, lo nome di Groppone da Figulle"
- "Mai coverto!"
- "Groppone da Figulle fue lo più grande capitan di Tuscia. E io son colui che con un sol colpo d'ascia lo tagliò in due. Lo mio nome - stare attenti! - lo mio nome est Brancaleone. Da Norcia!"
O magari
- " Non mia è la colpa, ma della mala bestia!"
O ancora
- "Aquilante della malasorte!"
Oppure
- "A tuo ammaestramento. Sai tu qual sia, in questa nera valle, la risultanza e il premio d'ogni sacrifizio umano? Calci nel deretano! D'ora in poi verrò nomato lo cavaliere amaro!"

Ho pensato per prima a quella de "lo cavalcone" giusto perché prende per il culo gli uomini di fede, che di esser presi per il culo hanno sempre tanto bisogno.
Mario Monicelli (un italiano che "fingeva cinismo perché non amava la retorica", come ha voluto ricordarlo quel genio di Paolo Villaggio) se n'è andato.
E se n'è andato scegliendo lui quando e come.
Gli sia lieve la terra

venerdì 26 novembre 2010

Fai vedere che ci tieni

Sopra o sotto?
Davanti o dietro?
Zuppa o pan bagnato?
Caterina d'Aragona o Anna Bolena?
La va o la spacca?
Indiani o cowboy?
Essere o non essere?
Maradona o Pelè?
Pane o brioches?
Liscia o gassata?
Beatles o Rolling Stones?
Carne o pesce?
Bionde o more?
Stalin o Trotzki?
Con o senza?
Caldo o freddo?
Alto o basso?
Cani o gatti?
Con me o contro di me?
Scapoli o ammogliati?
Tanto o poco?
Lungo o corto?
Vivo o morto?
Guardia o ladro?
In piedi o seduti?
Galleria o platea?
Grasso o magro?
Diritto o rovescio?
Lento o veloce?
A vela o a motore?
Acceso o spento?
Teoria o prassi?
Lusco o brusco?
Con zucchero o senza?
Toscani o cubani?
Soli o male accompagnati?
Mare o montagna?




Siete... disorientati?
Confusi?
Turbati?
Sgomenti?
Tranquilli, dai.
Adesso facciamo le primarie e passa tutto...


giovedì 25 novembre 2010

Al calduccio sotto le mie copertine (n.26)

Steve Earle, Copperhead Road, 1988

About the time that daddy left to fight the Big War
I saw my first pistol in the general store
In the general store, when I was thirteen
I thought it was the finest thing I ever had seen

So I asked if I could have one someday when I grew up
Mama dropped a dozen eggs, she really blew up
She really blew up, and she didn't understand
Mama said the pistol is the devil's right hand.

venerdì 19 novembre 2010

Gatti che assomigliano a Hitler

Visto The Social Network, ieri sera.

Non mi ci metto, a recensirlo, mò... Sappiate comunque che è davvero un bel film: ottimi interpreti, grandi dialoghi, sceneggiatura non banale.
Ad un certo punto della storia qualcuno accenna a un sito internet che si chiama Gatti che assomigliano a Hitler: rido forte (si ride parecchio, con The Social Network, in effetti) perché solo a figurarsela, una roba del genere, c'è da s'ciopare.
Poi torno a casa, vado su Google, digito - così, tanto per - cats e Hitler e...
Esiste!!! Diobono, esiste!!!
Fateci un salto, se volete capire cosa intendeva Oswald Spengler quando parlava di “tramonto dell'Occidente”.

http://www.catsthatlooklikehitler.com/

martedì 16 novembre 2010

Gli splendidi ottantadue anni di Piero Bassetti

Ad ogni batosta nel Nord Italia per la sinistra in generale e il Pd in particolare, spuntano sui giornali, puntuali come una passeggiata di Immanuel Kant, gli esperti 'di sinistra' o di 'centrosinistra' della cosiddetta “questione settentrionale” che ci spiegano come dovrebbero fare, la sinistra in generale e il Pd in particolare, per ritornare in sintonia con il Nord Italia dopo secoli e secoli di incomunicabilità e sangue cattivo, premessa indispensabile – eccheccazzo! - per ritornare a vincere nelle regioni del Nord Italia che poi sarebbero le regioni dove da secoli e secoli è aperta la cosiddetta “questione settentrionale” che nel Nord Italia condanna al dileggio, più che all'irrilevanza, la sinistra in generale e il Pd in particolare i quali, come è noto a tutti, della cosiddetta “questione settentrionale” non sospettano neppure l'esistenza e dunque giù batoste e batoste come se piovesse!
Sono sempre gli stessi, ad essere interpellati: Ilvo Diamanti, Massimo Cacciari, quel fesso del sindaco di Torino che non mi ricordo nemmeno più come si chiama, Mario Carraro, Piero Bassetti...
Oggi su La Stampa il giornalista Michele Brambilla si chiede e chiede: “Perché il Pd sembra non capire il Nord?”. Che domandona, nevvero?

Ed ecco s'avanza con rapido incedere Piero Bassetti, ottantadue anni, ex presidente della Regione Lombardia e della Camera di Commercio di Milano, oggi presidente della Fondazione Giannino Bassetti (me la farò anch'io una Fondazione, prima o poi, giuro: sarò mica il figlio della serva, no? Un giorno o l'altro ne parliamo) e di Globus et Locus che, mi dicono, sarebbe una “Associazione di istituzioni il cui scopo è l'analisi dei rapporti tra il globale e il locale” (perché, si sa, c'è sempre una morale, nelle delocalizzazioni delle imprese italiane: quelli di Globus et Locus sono tra noi per spiegarci qual è).
Secondo Michele Brambilla, Piero Bassetti, "democristiano", sarebbe “l'uomo che ha creato il centrosinistra a Milano negli anni Sessanta”.
E, guardate, lo si capisce fin da subito che il Bassetti, sfolgorante in soglio, punta a illuminarci tutti.
Sentite un po' qua: «Il Nord è il luogo del progresso, e la sinistra è il luogo della conservazione. Perché non ha risolto il suo rapporto tra valori e storia. Voglio dire: ha certamente dei valori buoni, ma non capisce qual è la possibilità concreta di inverarli oggi. Spinge con la marcia indietro».
Capito com'è? La sinistra «vede una società che è quella di cent'anni fa. Parla di una “classe operaia” che non esiste più. Pensa che la giustizia sociale sia da affidare allo Stato, quando lo Stato non è più in grado di assicurarla».
Verrebbe da chiedere al democristiano Bassetti - “l'uomo che ha creato il centrosinistra a Milano negli anni Sessanta”: e un bel 'mecojoni!', a questo punto, possiamo pure mettercelo - verrebbe da chiedere a Bassetti, dicevo, come sta messo il mondo cattolico, nella Lombardia leghista e ciellina: lo avrà risolto, in qualche modo, il proprio rapporto tra "valori e storia"? Quelli della Compagnia delle opere sostengono di sì, ma chissà cosa ne pensa il cristiano democratico Bassetti, che ciellino non è...
Ci fossi stato io, al posto di Michele Brambilla de La Stampa, avrei chiesto a Bassetti di fare i nomi, ostia: «Chi è che parla di “classe operaia”, a sinistra, a parte Giorgio Cremaschi della Fiom che però non è che abbia poi tutto 'sto gran seguito? Eh?». Anzi, meglio, dai: avrei chiesto: «Scusi, Bassetti, ma cosa intende, Lei, per sinistra? Il Pd, per caso? Cioè, secondo Lei il Pd è sinistra, Bassetti? E mi dica: così, tanto per sapere... ha sentito ultimamente qualcuno del Pd parlare di “classe operaia”, Bassetti? Chi? No, perché, sa... neanche nel vecchio Pds usava più, la “classe operaia”.».
Però io non sono Michele Brambilla, che comunque, poverino, non può interloquire in nessun modo col Bassetti datosi che il Bassetti viene intervistato dai giornali solo perché qualcuno dovrà pur insegnarglielo, alla sinistra in generale e al Pd in particolare, com'è che si dovrebbe stare al mondo dopo l'ennesima batosta presa nel Nord Italia; e dunque manco per sbaglio si può far presente a uno così che - a proposito di quello Stato di merda a cui giammai dovrebbe essere affidata “la giustizia sociale” - l'evasione fiscale, in Lombardia, è a livelli monstre, e da secoli e secoli ormai: perché il Bassetti, in quanto Grande Esperto del Nord Italia come “luogo di progresso”, mica può perdere il suo tempo in quisquilie e pinzillacchere, giusto?
E butta anche lì un paio di pensieri divergenti, il nostro.
Fuori uno: «Il Pd è un ferrovecchio». Perché? Ma perché «l'ambito di aggregazione irrinunciabile del Pd , ad esempio, è ancora il territorio. Si continua a credere che se due milanesi abitano entrambi al Lorenteggio debbono pensarla allo stesso modo, perché una volta l'organizzazione della vita privilegiava il luogo. Oggi non è più così, ci si aggrega con le “comunità di pratica”, cioè si aggregano coloro che svolgono la stessa funzione nella società».
Grandissimo, eh? Questa cosa delle “comunità di pratica” la dovrò illustrare a quel mio collega berlusconiano che oggi, in sala insegnanti, mi spiegava, tutto compunto, come adesso il Silvio ferito “dovrà per forza scatenare l'inferno” e trascinare con sé, nella sua caduta, la nostra povera Repubblica. Sì: gliela illustrerò per bene, poi ci aggregheremo in una “comunità di pratica” e vivremo felici e contenti!
Fuori due: «E ci si aggrega con i media: io sostengo sempre che se Carlo Marx tornasse al mondo non si occuperebbe più delle filature di cotone ma dei grandi giornali e delle televisioni».

Capito, asini? Avete preso nota? Se Carlo Marx tornasse al mondo, sostiene Bassetti, sarebbe Silvio Berlusconi.
E comunque, la sinistra «ha certamente dei valori buoni, ma non capisce qual è la possibilità concreta di inverarli oggi. Spinge con la marcia indietro».
Invece Bassetti corre: uh, come corre Bassetti!

mercoledì 10 novembre 2010

Parole celebri dalle mie parti (n.92)


"Ho imparato tanto tempo fa a non fare la lotta con i maiali. Ti sporchi tutto e, soprattutto, ai maiali piace."

(George Bernard Shaw)

martedì 9 novembre 2010

Sagre, dialetto e devastazione

Un bel pezzo di Veneto è finito sott'acqua, povero Veneto.

Il commento migliore al disastro, secondo me, è stato quello di Bepi De Marzi da Arzignano (VI), gran musicista (sua la celeberrima Signore delle cime) e grandissima anima: «Bastavano, come aveva la Serenissima, quattro “savi alle acque”, ma adesso abbiamo i savi alle sagre. I leghisti si occupano di sagre e dialetto, delle cose sciocche di un'identità inventata. E si è costruito troppo, dappertutto abbiamo capannoni sfitti. Poi, se versi l'acqua in un vaso di fiori, l'acqua cola via. Ma se la versi su una tavola, dove finisce?»
Chiunque conosca un po' il Veneto - con le sue urbanizzazioni selvagge, senza limiti e decenza, i suoi centri commerciali infiniti, i capannoni a migliaia che se passi per certe strade non vedi altro che capannoni, capannoni, capannoni e niente più campagna, forse perché la campagna ricorda troppo la miseria di un tempo – chiunque, negli ultimi anni, sia passato solo una volta per certe zone della provincia di Venezia (o di quella di Treviso, di Padova, di Vicenza), sa bene che quanto detto da Bepi De Marzi è drammaticamente vero.
E alla fine tutto torna, come no: un pezzo di mondo così devastato (irrimediabilmente devastato, temo) cosa potrà mai produrre, se non schizofrenia e leghisti di merda?

martedì 2 novembre 2010

Il sorpasso (di Dino Risi)


“A me Modugno mi piace sempre, questo Uomo in frac me fa impazzì, perché pare 'na cosa de niente e invece c'è tutto: la solitudine, l'incomunicabilità, poi quell'altra cosa, quella che va di moda oggi... la... l'alienazione, come nei film di Antonioni. Hai visto L'eclisse? Io c'ho dormito, 'na bella pennichella...”

domenica 31 ottobre 2010

Quando la nave andava


Ha scritto Giuseppe Pontiggia che “la seconda metà della vita viene spesso impiegata, più che a scoprire nuove verità, a liberarsi dalle menzogne della prima”.
Mi ci ritrovo pienamente, in queste parole.
Per dire, ricordo come se fosse oggi una serata del 1987 in cui io e i miei sodali Fabio M., Franco V., Stefano F. e Paolo B. ci ritrovammo a casa dei miei genitori per assistere, emozionatissimi ed eccitatissimi, alla storica intervista concessa da Fidel Castro a quella macchietta di Gianni Minà. Facevamo il tifo per Cuba, noi. Anzi, siccome devo parlare per me, io facevo il tifo per Castro.
E già che ci sono mi ricordo anche di quando facevo il tifo per l'I.R.A.: perché, vedete, una volta ero “antimperialista”, io. Perciò ritenevo che sparare ai militari inglesi e far esplodere delle automobili imbottite di Semtex in giro per l'Irlanda del Nord fossero cose sacrosante in quanto, appunto, “antimperialiste”. Per provare a giustificarmi potrei dirvi che rimasi parecchio impressionato dalla morte di Bobby Sands e degli altri nove a Long Kesh, nell'Ottantuno, e che tutto il resto venne di conseguenza, ma insomma... simpatizzavo per il terrorismo dell'I.R.A., questo è quanto: non l'ho rimosso, ahimè, non ci sono mai riuscito.
E dunque nella mia complicata adolescenza ho detto (e fatto) moltissime cazzate di cui oggi mi vergogno parecchio. Potrei raccontarvene tante altre, ma credo che quanto sopra sia già più che significativo.
Di una cosa, però, non mi sono mai pentito: di aver odiato profondamente Bettino Craxi.

Odiavo le sue lunghe pause tra parola e parola. Odiavo vederlo in maniche di camicia ai congressi del suo partito, sudato come una bestia dopo ore e ore di parole e lunghe pause. Odiavo i suoi occhiali. Odiavo vederlo agitare minacciosamente quel suo ditone da gorilla. Odiavo i nomi dei suoi sottopanza (Giusi La Ganga... La Ganga, ma vi rendete conto? Paris Dell'Unto... Dell'Unto?!?). Odiavo l'evocazione ossessiva di quella sua 'Grande Riforma' dei cui reali contenuti nessuno ha mai capito un accidente di niente e che però era 'Grande', ostia.
E poi odiavo la nave che andava. Odiavo le grottesche piramidi di Panseca. Odiavo la pubblicità dell'Amaro Ramazzotti. Odiavo la Vanoni. Odiavo Gianni Versace.
Sì, lo odiavo ferocemente, Bettino Craxi, che fu 'garibaldino' a Sigonella, come no, e che alla fine di quella splendida garibaldinata fece scappare dall'Italia, e con tutti gli onori (ma nessuno, chissà perché, lo ricorda mai), gli assassini di un povero paraplegico ebreo.
Ho pensato tanto a Bettino Craxi, in questi ultimi giorni.
Perché è a lui, proprio a lui, che dobbiamo lo schifo indicibile che, da qualche anno in qua, abbiamo imparato a chiamare berlusconismo.

Craxi, al tempo, lo chiamava modernizzazione.

martedì 26 ottobre 2010

Al calduccio sotto le mie copertine (n.25)

Richard and Linda Thompson, Shoot out the lights, 1982

Let me ride on the Wall Of Death one more time
Let me ride on the Wall Of Death one more time
You can waste your time on the other rides
This is the nearest to being alive
Oh let me take my chances on the Wall Of Death.

domenica 24 ottobre 2010

Io non ce l'ho, un Giordano in cui battezzarvi. Lo giuro.

Su la Repubblica di oggi, pagina 19: “AVETRANA - Stop al turismo dell'orrore. Avetrana si ribella al nuovo esodo annunciato per oggi nella cittadina del Salento, dopo l'invasione di domenica scorsa. Addirittura si ha notizia di carovane di curiosi pronti a muoversi con bus gran turismo, in partenza dalla Basilicata, dalla Calabria e da Ancona. Tutti vogliono vedere i luoghi della tragedia di Sarah Scazzi. La casa dalla quale è uscita per andare incontro al suo terribile destino. E anche la villetta in cui, secondo gli investigatori, è stata assalita e strangolata dallo zio Michele Misseri con la complicità della cugina Sabrina”.
Secondo Elena, nel mio turpe cazzeggio di venerdì scorso sarei stato addirittura “profetico”.
Rispondo canticchiando.

E però...

venerdì 22 ottobre 2010

La Talkischeap Travels organizza!



Pellegrinaggio per gruppi min. 25 persone a San Giovanni Rotondo (FG) e Avetrana (TA) . Pensione completa 4 giorni, 3 notti.



PROGRAMMA VIAGGIO


1° giorno - VERSO SAN GIOVANNI ROTONDO - SAN PIO.
Partenza in torpedone ore 8:00 dal luogo convenuto. Soste lungo il percorso e arrivo previsto a San Giovanni Rotondo (FG) in prima serata. Sistemazione in hotel 2*. Cena al ristorante Tuppe tuppe, marescià e pernottamento in hotel.
2° giornoSAN GIOVANNI ROTONDO - Visite libere.
Prima colazione in hotel. Giornata a disposizione per visite individuali e devozioni presso il moderno Santuario la cui cripta ospita la Tomba di San Pio (poco lontano troviamo anche la Casa della Sofferenza e il piccolo Convento di S. Maria delle Grazie dove visse e operò il Santo da Pietrelcina). Pranzo al ristorante Tuppe tuppe, marescià. Pomeriggio a disposizione per continuare le visite ed il pellegrinaggio alla tomba del Santo. Cena al ristorante Tuppe tuppe, marescià e pernottamento in hotel.
3° giornoAVETRANA E LA TRAGEDIA DI SARAH.
Prima colazione in hotel. Partenza in torpedone ore 9.00 dal luogo convenuto. Soste lungo il percorso ed arrivo previsto ad Avetrana (TA) nel primo pomeriggio. Sistemazione in hotel 2*.
Nel corso della giornata: visita in gruppo alla casa di via Deledda in cui la piccola Sarah Scazzi è stata aggredita e soffocata da Michele Misseri - lo zio orco - il 26 agosto 2010 (sosta davanti al portone che immette al garage e alla cantina sotterranea della "casa dell'orrore"); proseguimento del pellegrinaggio alla volta della dimora della piccola Sarah, in Via Verdi (sosta davanti al portone di casa Scazzi); visita al campo sportivo di Avetrana dove sono state celebrate le esequie della piccola Sarah (con possibilità di assistere all'allenamento dell' A.S. Sant’Antonio Avetrana); visita alla tomba della piccola Sarah al cimitero di Avetrana. Cena al ristorante da Savino 'u pacce e pernottamento in hotel.
4° giorno - RIENTRO A MONFALCONE.
Prima colazione in hotel. Partenza in torpedone ore 9.00 dal luogo convenuto per il viaggio di rientro con soste lungo il percorso e arrivo previsto a Monfalcone in tarda serata.



QUOTA PER PERSONA € 200.
Una batteria di pentole in regalo ai partecipanti!!!

giovedì 21 ottobre 2010

Dilemmi

In Le Père Goriot, uno dei capisaldi della Commedia umana di Balzac, lo studente Eugène de Rastignac chiede al suo amico Bianchon (vado a memoria): “Cosa faresti se qualcuno ti proponesse la ricchezza e in cambio ti chiedesse di uccidere, con la sola volontà e senza muoverti da Parigi, un vecchio mandarino della Cina?”

Rastignac sostiene di aver trovato quella domanda da qualche parte nell'opera di Jean Jacques Rousseau. In realtà è roba di Chateaubriand, e qui si potrebbe divagare un bel po', chiedendosi come mai Balzac l'abbia invece attribuita Rousseau e cercando di dare una qualche risposta, ma questo, nel tempo, lo ha già fatto altra gente - tutta gente mooolto più qualificata di me - e dunque non mi pare proprio il caso di mettermici pure io (sappiate però che non si è trattato di distrazione).
Proprio una domandaccia, nevvero? Ne fu particolarmente colpito il famoso dottor Freud, che ne Il disagio della civiltà la riprese e cercò di interpretarla da par suo (fidandosi di Balzac, continuò però ad attribuirla a Rousseau): si ha un bel discettare della Morale dell'Uomo Occidentale (tutta in maiuscolo, naturalmente) o dei Valori della Civiltà Occidentale (come sopra) e però però però... se andiamo a grattare solo un pochino, cosa c'è sotto?
Ma sotto troviamo l'irrazionale, gente mia bella gente: ovvero istinti e pulsioni le più elementari, povero il vecchio mandarino cinese.
E anche il grandissimo Richard Matheson... Ma insomma, basta: tanto che son colto lo sapete, no?

In un film di Woody Allen del 1994, Pallottole su Broadway, un personaggio se ne esce così: “Mettiamo che ci sia una casa in fiamme e che accorrendo possiate salvare una cosa sola, o l'ultima copia esistente dell'opera completa di Shakespeare o un qualche anonimo essere umano... Voi che fareste?”.
Forte anche questa, come domanda, no?
E ne ho una ancora migliore: perché vi sto dicendo tutto questo?
Ma semplicemente perché ieri ci pensavo su... Cioè, prima ho pensato alla bava di Bossi, a quel suo figliolo grullo da far spavento e ciò nondimeno paraculatissimo, a Gentilini, a Borghezio, al sindaco di Adro, a Matteo Salvini, a Calderoli, a Castelli, a Miss Padania.
Poi mi sono chiesto cosa farei se qualcuno mi proponesse la ricchezza e in cambio mi chiedesse di seccare, con la sola forza di volontà, il bavoso mandarino di Gemonio.
E mettiamo che ci sia una casa in fiamme e che accorrendo io potessi salvare una cosa sola, o l'ultima copia esistente dell'opera omnia del Bardo o Gentilini in cappello d'alpino: io che farei?
E voi, voi che fareste?

venerdì 15 ottobre 2010

Parole celebri dalle mie parti (n.90)


"Alla Storia non va concessa l'ultima parola/ o la prima affermazione..."

(Seamus Heaney)

giovedì 14 ottobre 2010

I vinti: una saga


Domani, al Deutsches Historisches Museum di Berlino, verrà inaugurata una mostra dal titolo Hitler und die Deutschen. Volksgemeinschaft und Verbrechen. Traduzione: Hitler e i tedeschi. Comunità nazionale e crimine.
Secondo il quotidiano la Repubblica, “vale la pena di venire qui per vedere la mostra. E constatare come, in un'Europa dove riemergono ovunque i fantasmi del passato, il paese-leader si flagella in pubblico pur di tentare di esorcizzarli”.
Ecco allora “i primi manifesti del regime, le foto di folle che accolgono il Führer sedotte da un futuro radioso, ecco i busti di Hitler in ghisa prodotti a milioni per ogni devota famiglia, o i poster della Luftwaffe risorta che pochi anni dopo avrebbe raso al suolo Guernica e Varsavia, Rotterdam e Coventry". E ancora, e qui la cosa si fa interessantissima, i “documenti che provano il clima di delazione di massa, quell'atmosfera – spiegano i curatori della mostra – in cui la maggioranza della gente si adeguò passiva all'alternativa tra il consenso e la spirale di isolamento, denuncia, repressione. Così i tedeschi di allora – conclude il giornalista di Repubblica - marciarono alla guerra e alla catastrofe del 1945. I tedeschi di oggi non chiudono gli occhi, scelgono il monito della Memoria”.
E noi, in Italia?
Ma noi, in Italia, nella nostra notte fonda in cui tutte la vacche sono nere, abbiamo Giampaolo Pansa (nella foto).

Cioè, abbiamo anche Angelo Del Boca, grandissimo storico che è una vita che ci ricorda di quale ferocia siamo stati capaci, noi italiani, tra la Libia, l'Etiopia e i Balcani. Ma Del Boca, dalle nostre parti, non se lo fila nessuno, o quasi.

Invece Pansa... Ah, Pansa!
Un uomo scomodo, un uomo ostracizzato dall'intero sistema culturale del nostro povero Paese comunista per aver osato violare il sancta sanctorum del Pensiero Unico di Sinistra purtroppo dominante qui in Italia (povera, povera Italia!), un uomo costretto a pubblicare i suoi libri – libri che immancabilmente e inesorabilmente infrangono tutti quei tabù gauchiste che da noi hanno prodotto una “storiografia dimezzata” - per un editore di nicchia come Rizzoli.
È uscita da poco la sua ultima fatica ('fatica' si fa per dire, naturalmente: a Pansa certe cose vengono facili), I vinti non dimenticano, in cui l'eroico combattente, autore di pagine “che gli storici faziosi, quelli rossi, si sono sempre rifiutati di scrivere”, ci racconta, al solito, gli scannamenti operati dai crudeli comunisti in giro per l'Italia (ma solo a Nord di Roma, naturalmente: e fortunatamente) tra il 1943 e il 1945, e lo fa senza omettere nulla, nessun particolare, anche il più scabroso e grandguignolesco.
Come faccio a sapere tutto ciò, visto che il libro non l'ho letto né mai lo leggerò?
Boh? Potrei rispondervi che frequento parecchio le librerie e Il sangue dei vinti mi è capitato di sfogliarlo parecchie volte (si può ben dire che l'ho letto, via: prosa elementarissima, aggettivazione per anime semplici, retorica moooolto scolastica, diciamo da prima media e non se ne parli più). Ora, siccome Giampaolo Pansa

(nella foto) è un vecchio bacucco, e come tutti i vecchi bacucchi tende a ripetersi, I vinti non dimenticano non può essere altro che una copia carbone de Il sangue dei vinti.
L'ha intuìto benissimo mia moglie che ieri sera mi ha chiesto: “E dopo questo suo ultimo libro Pansa che farà? Scriverà Giardinaggio con i vinti? In cucina con i vinti?”.
Non è male, come giochino, se ci pensate. Io, di mio, ci metto Alpinismo con i vinti; Lo Zen e il sangue dei vinti; Ginnastica aerobica con Jane Fonda e i vinti; Il linguaggio del tuo migliore amico. Guida all'interpretazione del comportamento del Golden Retriever, a cura dei vinti.
Metteteci anche voi qualcosa, volete? Poi spediamo tutto a Pansa che magari ce ne sarà grato.

P.S.
Avrei anche potuto buttarla sulla ciàcola culturale, sapete? Ricordando, per cominciare, quanto scrisse nel 1980 Arnaldo Momigliano: “ciò che è nuovo nel nostro tempo è che esistono importanti correnti di pensiero che relativizzano tutti gli storici e li considerano meri esponenti di ideologie o, in modo ancora più restrittivo, di centri di potere. La storiografia viene dunque privata di ogni valore nella ricerca della verità”. (Sui fondamenti, pagina 65). E da qui, poi, fare tutto un discorso su...
Avrei anche potuto, dicevo: ma perché avrei dovuto? Giampaolo Pansa non è mica uno storico, dopotutto, e il fatto che un sacco di gente (gente di destra, in genere) pensi che lo sia, non fa di lui uno storico. Probabilmente Pansa (per tacer dei suoi lettori) avrebbe bisogno di Wikipedia per sapere chi era e cosa ha scritto Arnaldo Momigliano.
Dunque, buttiamola pure sul ridere.

lunedì 11 ottobre 2010

Un po' à la Poe (un Poe dei poveri...)


Non ci sentono gridare,
dalla tomba fredda e scura:
siamo seppelliti vivi
e tremiamo di paura!

Senza il sole che ci scalda,
solo un verme per compagno,
la coscienza che si sfalda,
ride forte il toporagno.

Beccamorto, se mi senti,
fammi uscire dall'avello:
nel profondo della fossa
impazzisce il mio cervello.


(dedicata al Poeta Igor Gherdol, l'Ed Wood della letteratura)

giovedì 7 ottobre 2010

Obbedienti alla parola del salvatore?

Nichi Vendola, il Presidente, anzi: il Governatore della Regione Puglia, ha definito Fassino, D'Alema e Bersani “anime morte”. E ci può anche stare, come no.




Detto ciò, forse in Italia lo si trova ancora, qualche Číčikov disposto a comprarsele, quelle anime morte (se non avete letto il romanzo di Gogol', sicuramente non sapete di cosa io stia parlando, ma visto che Vendola cita, raccolgo la sfida e cito pure io: sarò mica il figlio della serva, no?).
Fuor di metafora e fuori dai denti: è facile, facilissimo prendere a calci in culo i dirigenti del Pd (anch'io, nel mio piccolo...), tuttavia Nichi Vendola – che, en passant, non si sa dove lo trovi, poi, il tempo di governare la Puglia: perché questo dovrebbe essere il mestiere suo: governare la Puglia – Vendola, dicevo, mi pare un tantinello arrogante: rispetto al Pd - ahilui - è ancora troppo piccolo.
Mah... Si vede che l'uomo si sente in forma, e buon pro gli faccia, dico io.
Ciò che mi ha lasciato alquanto perplesso è stato sentirlo fare l'elogio del leaderismo: per vincere servono leader, ha detto in un'intervista a Chi, l'house organ della famiglia Berlusconi. E pensava evidentemente a se stesso, il Governatore...
Ora, secondo me, il problema della Sinistra italiana non è che le manca un leader. Un condottiero. Un Obama. Un Io.
Il problema della Sinistra italiana è che non riesce più a dire 'noi'. Manco per sbaglio.
Lettura che consiglierei a Vendola (dicono sia uno che qualcosa legge e allora, vedi mai...), il Christopher Lasch de La cultura del narcisismo: un testo visionario, geniale e inquietante la sua parte il cui autore adattò al campo delle scienze sociali un termine che il famoso dottor Freud adoperava in quello della psicopatologia.




Lasch, nel 1979, seppe intuire che mondo di merda sarebbe stato quello dell'individualismo più trafelato e cocainomane, ovvero il nostro mondo: l'età del culto esasperato della propria personalità guerriera, del proprio io dominatore e della propria inestimabile coscienza (ma quante volte, negli ultimi anni, dalle nostre parti - cioè a Sinistra - siamo rimasti impiccati, tutti quanti, a singole coscienze tormentate e naturalmente preziosissime, eh? Quante volte? “La mia coscienza non me lo permette, di votare insieme a voi!”. Ricordate? Vi torna?).
E poi l'elogio del leaderismo, via... In questo Paese? In questi anni?




“Chi dice troppo spesso «abbiate fiducia in me» rischia di arrivare alla fine a dire: «Non disturbate il pilota». Ora, il «non parlate al manovratore» sta bene scritto sul tram. Scritto in una sala d'assemblea, sarebbe la prefazione al fascismo.”



(Guido Calogero)

domenica 3 ottobre 2010

Memories are made of this

Risale a esattamente tre anni fa, il primo post di questo blog che si chiama come un vecchio disco del brutto ceffo qui sotto.

Non è tanto tempo, ma nemmeno poco. Me l'avessero detto, tre anni fa, che tre anni dopo sarei stato ancora qui, a fare il coglione in rete a beneficio (?) di chissà chi, beh, mica ci avrei creduto...
Faccio sempre finta di non sapere che c'è mooolto narcisismo, dietro alla scelta di tenere un blog (specialmente un blog futile e sciocchino come questo), ma in realtà lo so benissimo, che credete?
Ieri sera tardi mi son riletto qualche cosa risalente a quell'ottobre di tre anni fa: a un periodo, cioè, in cui cambiarono un bel po' di cose, nella mia vita. Davvero fatidico, a ripensarci ora, il post che intitolai A proposito di (canzoni e) maratoneti, un cazzeggio su Alan Sillitoe, Tony Richardson, Tom Courtenay e The Loneliness of the Long Distance Runner.

"Il panciuto direttore dall'occhio bovino disse a un panciuto deputato dall'occhio bovino che sedeva vicino a quella puttana panciuta dall'occhio bovino di sua moglie che io ero l'unica speranza per conquistare la Coppa Nastro Azzurro Borstal Per La Maratona (gara aperta a tutta l'Inghilterra), il che era vero, e mi fece scoppiare in una risata, nell'intimo, e io non dissi a nessun bastardo panciuto dall'occhio bovino una parola che potesse dar loro una vera speranza, pur sapendo che tanto il direttore credeva che il mio silenzio volesse dire che lui aveva quella coppa già piantata sulla nel suo ufficio tra gli altri due o tre trofei muffiti".
E dunque. Dunque.
"Non farò gli ultimi cento metri a costo di sedermi a gambe incrociate sull'erba e di farmi tirar su e trasportare fin là di peso dal direttore e dai suoi accoliti senza il mento, il che è contro le loro regole dunque potete scommettere che non lo farebbero mai perché non sono tanto in gamba da infrangere le regole" .
Nell'ottobre del 2007 io smisi di correre con le regole degli altri. Da allora, corro solo quando voglio io, e con le mie regole.

O almeno, poveretto, mi illudo di farlo.

giovedì 30 settembre 2010

Al calduccio sotto le mie copertine (n.24)

Nick Drake, Bryter Layter, 1970

Please give me a second grace.
Please give me a second face.
I've fallen far down,
the first time around,
now I just sit on the ground in your way.

mercoledì 29 settembre 2010

Un impegno etico


Gustosissimo il siparietto riportato oggi da la Repubblica, con Veltroni che incrocia Massimo Calearo nel Transatlantico di Montecitorio e gli dice: “Massimo, non fare scherzi” datosi che Calearo, eletto alla Camera col Pd (da capolista!), minaccia di votare la fiducia a Silvio Berlusconi e al suo governo.
Veltroni ha ricordato a Calearo “l'impegno assunto prima e dopo il voto a sostegno del centrosinistra e in opposizione al centrodestra. Un impegno che è etico, perché comporta il rispetto degli elettori e della volontà espressa con il loro voto. Sono certo che sarà coerente con se stesso...” e altre amenità.
Peccato solo che nella Costituzione repubblicana ci sia l'articolo 67 a stabilire che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Eh, sì: Calearo sta in Parlamento a rappresentare la Nazione, non il partito politico a cui appartiene Veltroni.
Non lo sa, il povero Walter?
Eppure lui (e molti, molti altri, nel Partito democratico) ci si riempiono la bocca un giorno sì e l'altro pure, con “la difesa della nostra Costituzione repubblicana, una delle costituzioni più avanzate al mondo”.
Negli ultimi mesi, poi, l'articolo 67 della Costituzione è stato impugnato un sacco di volte, da diversi esponenti del Pd e da molti commentatori 'democratici', per darlo in testa volentieri a Silvio Berlusconi, reo di aver accusato Gianfranco Fini di aver tradito “un impegno che è etico, perché comporta il rispetto degli elettori e della volontà espressa con il loro voto”: io ho buona memoria e spero altrettanto dell'elettore medio del Pd (per l'elettore medio del Pdl, si sa, non nutro speranze di sorta).
Incazzarsi perché Massimo Calearo in Parlamento potrebbe votare con la Destra è veramente patetico.
L'errore del Pd è stato di averlo candidato (da capolista!).
Ignoro se sia stato un errore commesso dal solo Veltroni: propendo per il no, anzi spero francamente di no perché mi consolerebbe alquanto pensare che prima della candidatura nelle liste democratiche di quello che era considerato un falco, in Federmeccanica, ci sia stata almeno uno straccetto di discussione tra qualche persona, a Roma e in Veneto.
Che so? Magari da ciucchi, davanti a qualche bella bottiglia di Amarone della Valpolicella.