martedì 8 gennaio 2008

Le pere (Ennio Flaiano)

La commissione per il codice etico (e sticazzi! Sticazzissimi!!!) del Partito Democratico (che, per quanto mi riguarda, continua ad essere un po' com'era l'araba fenice per Pietro Metastasio. Ad oggi, almeno), apprendiamo da la Repubblica, ha lavorato e sta lavorando alcremente. Pare ci sia già "una bozza ormai avanzata" di tale codice etico (e sticazzissimissimi!) del Partito Democratico che sarà presentato al plenum della commissione domenica prossima. Delle indiscrezioni sui contenuti sono filtrate, comunque. Secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro, il testo conterrebbe "riferimenti alla sobrietà e il democratico che verrà chiamato a incarichi di governo s'impegna a 'non modificare il mobilio' del nuovo ufficio".
Ora, io son rimasto veramente, ma veramente, impressionato da tutto ciò: perderemo di certo qualche voto tra i mobilieri, noi del PD, ma chissenefrega, via... Sobrietà, per diana! It's the new frontier.

Ho perciò deciso di pubblicare in talkischeap un Ennio Flaiano d'annata che mi pare rispondere in maniera eccellente allo spirito dei tempi. Lo trovate in La solitudine del satiro, Adelphi Edizioni. E in Adelphi c'è tanto Flaiano, ricordatevene quando vi trovate in libreria... Ché leggere Flaiano fa bene alla salute, sapete? Trust in tic.





Molti anni fa, nel terzo o quarto anno del suo mandato presidenziale, fui invitato a cena al palazzo del Quirinale, da Luigi Einaudi. Non invitato ad personam – il Presidente non mi conosceva affatto – ma come redattore di una rivista politica e letteraria diretta da Mario Pannunzio. A tavola eravamo in otto, compresi il Presidente e sua moglie. Otto convitati è il massimo per una cena non ufficiale, e la serata si svolse dunque molto piacevolmente, la conversazione toccò vari argomenti, con una vivacità e una disinvoltura che davano fastidio all'enorme e unico maggiordomo in polpe che ci serviva. Questo maggiordomo, una specie di Hitchcock di più vaste proporzioni ma completamente destituito di ironia, aveva sulle prime tentato di intimidirci posandoci il prezioso vasellame davanti come se temesse che l'avremmo rotto; e fulminandoci con occhiate di sconforto se non riuscivamo a individuare tra le tante (alcune nascoste persino tra i merletti della tovaglia) le posate giuste.


Poiché il Presidente, nei suoi anni verdi, aveva frequentato un fiaschetteria di via della Croce, la Fiaschetteria Beltramme (che noi ancora frequentiamo), si parlò anche di questa: e dei suoi colleghi di università coi quali vi andava, del proprietario e di altri clienti che egli vi intravedeva: Bruno Barilli, Cardarelli, il pittore Bartoli. Da un argomento all'altro, tra aneddoti che per il gran ridere scuotevano il Presidente come un uccellino bagnato; tra riflessioni che seguivano gli aneddoti, pensieri economici e altri sul futuro, la cena si stava prolungando oltre il lecito. Il Presidente sembrava un nonno felice di rivedere nipoti lontani. Ma eccoci alla frutta.
Il maggiordomo recò un enorme vassoio del tipo che i manieristi olandesi e poi napoletani dipingevano due secoli fa: c'era di tutto, eccetto il melone spaccato. E tra quei frutti, delle pere molto grandi. Luigi Einaudi guardò un po' sorpreso tanta botanica, poi sospirò: “Io” disse “prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c'è nessuno che vuole dividerne una con me?”.
Tutti avemmo un attimo di sgomento e guardammo istintivamente il maggiordomo: era diventato rosso fiamma e forse stava per avere un colpo apoplettico. Durante la sua lunga carriera mai aveva sentito una proposta simile, a una cena servita da lui, in quelle sale. Tuttavia, lo battei di volata: “Io, Presidente” dissi alzando una mano per farmi vedere, come a scuola. Il Presidente tagliò la pera, il maggiordomo ne mise la metà su un piatto, e me lo posò davanti come se contenesse la metà della testa di Giovanni il Battista. Un tumulto di disprezzo doveva agitare il suo animo non troppo grande, in quel corpo immenso. “Stai a vedere” pensai “che adesso me la sbuccia, come ai bambini”.
Non fece nulla, seguitò il suo giro. Ma il salto del trapezio era riuscito e la conversazione riprese più vivace di prima; mentre il maggiordomo, snob come sanno esserlo soltanto certi camerieri e i cani da guardia, spariva dietro un paravento.
Qui finiscono i miei ricordi sul Presidente Einaudi. Non ebbi più occasione di vederlo, qualche anno dopo saliva alla presidenza un altro e il resto è noto. Cominciava per l'Italia la repubblica delle pere indivise.


14 commenti:

barone von furz ha detto...

...è un peccato che non si possa vedere come avresti applicato la SOBRIETA' nei tuoi uffici...un peccato che ti sia dimesso...e finalmente un post con argomenti conosciuti...notevole Flaiano, dovrebbe essere libro di testo in tutte le scuole.

Fabio Montale ha detto...

Sacrosanto! Lo vivo cotidie sul lavoro ma siamo sempre stati il paese delle onorificenze (Fantozzi docet), del lei non sa chi sono io, dell' io so' io e voi non siete un cazzo. Altro che condividere...

Fabio Montale ha detto...

Sacrosanato anche cio' che dice il Barone, as usual!

tic. ha detto...

Ma no, ma no!
Quale peccato?
Sto benissimo, adesso. Erano anni che non me la passavo così bene.
Quanto alla sobrietà in ufficio, bah... Non mi importava un cazzo dell'ufficio che occupavo quando ero assessore. Odiavo starci.

Non riesco ad immaginare cosa può esserci dentro la crapa di chi è talmente contento di esser stato eletto in qualche (inevitabilmente, credetemi)triste consesso da arrivare a far cambiare i mobili dell'ufficio che gli è stato assegnato. A cosa serve? Forse a far capire al pueblo unido che jamas serà vencido che un nuovo cazzone nei posti di comando ha bisogno di un ambiente tutto, ma proprio tutto nuovo per esprimersi al suo meglio?
Però ci dev'essere chi lo fa,in effetti, se è vero che qualcuno ha sentito il bisogno di mettere nero su bianco che, via, non è mica il caso di farlo.

Io ho sempre detestato di ricordare al popolo (al quale un certo coglione che conosco dice che non bisogna MAI dichiarare guerra) che, perdio, ero un assessore.

I più, tra l'altro, mi sono accorto, pensano che far l'assessore sia un ONORE, sticazzi, e che chi lo fa lo debba vivere il suo ruolo, come dire? Un pochino bovinamente, ecco. E perciò le cariche pubbliche sarebbero quella cosa che porta i politici a pavoneggiarsi, tronfi e boriosi, in qualche cerimonia pubblica e bona lì.

Beh, che mi crediate o meno, a me la pompa legata al potere faceva e fa CAGARE. E detestavo la gente che pensava fosse in qualche modo obbligata a ossequiarmi, a farmi da codazzo, e assessore di qua e assessore di là e cosa vuol fare dopo aver terminato di fare l'assessore, caro, caro assessore? Il sindaco, forse? Eh?
E non sto parlando di chi ti si sdraia davanti all'ufficio per chiederti un cazzo di contributo all'attività per qualche scalcagnatissima associazione culturale. No. Parlo di gente che non ha proprio nessun interesse a leccarti il culo.

Perciò, una delle cose che ho imparato, nella mia esperienza, è che il sentimento prevalente della ggggggente nei confronti dei politici non è il disprezzo, aggratis o meritato che sia, per la loro incompetenza o magari anche per la loro competenza (può pure capitare, oggi come oggi).
No.
E' l'invidia. Tu sei, ai loro occhi, uno che è arrivato IN ALTO. Dove starebbero volentieri perché si immaginano chissà cosa...

Certi coglioni - proprio quelli che fanno cambiare i mobili all'ufficio - sono evidentemente qui per dare a intendere al popolo che caaaaazzo, è una figata il potere! Che bene che si respira, quassù, alla facciaccia vostra.

Ecco perché credo che l'Italia può solo andare a fondo. Con queste risorse morali qui, dove minchia vuoi andare?

Fabio Montale ha detto...

Scusate l'OT, ma in termini di possibile snobismo lessicale o gergale vorrei levarmi un dubbio: 'class action' e' mobilitazione di categoria?

Anonimo ha detto...

confesso...preso possesso dell'ufficio c'ho attaccato un gagliardetto della Sampdoria

tic. ha detto...

Non credo...
Direi che si può semplicemente tradurre come 'azione collettiva'. Per ottenere cosa, veda lei...

Fabio Montale ha detto...

lei dissemina indizi... io quando entro in un nuovo ufficio riempio un cassettino di roba che mi rompo di portare in giro. Un tempo si capiva che era il mio solo per un portacenere pieno di cicche

Fabio Montale ha detto...

(quello prima era per lalligatore)
Grazie Tic, sul sito di Repubblica si minaccia il governo di class action quasi ogni giorno da parte di ogni sindacato o associazione...

tic. ha detto...

Si, si... L'Italia è la democrazia del Gabibbo.
(ma sa quanta gente ormai, se ha da protestare, e figuriamoci se non ha un motivo per farlo,ti dice: "Scriverò al Gabibbo?". Io da assessore ne ho conosciuti tantissimi: "Guardi che chiamo Striscia la notizia!". Al che tu pensi:"E chi se ne sbatte, ignorante di un pezzo di merda?". Ma non glielo puoi dire...)

Il Gabibbo è l'unico Woodward possibile in un Paese senza opinione pubblica (ma con diversi milioni di porci comodi a pretendere visibilità e soddisfazione).

Per la serie: L'italiano - un pupazzo è il suo profeta.
Mi viene da piangere. Poi vomiterò...

Anonimo ha detto...

Nel mio ufficio i cassetti dei miei piani di lavoro sono ancora colmi delle masserizie di quello che c'era prima... e quando dico prima intendo l'anno 2001 o giù di lì...

Anonimo ha detto...

Non vorrei la mia sembrasse un'indebita intromissione, però... che cavolo... quasi tutti i commenti "postati" su questo bel blog sono troppo autoreferenziali... certe cose dovreste scrivervele direttamente in chat altrimenti chi, come me, viene in visita rischia un po' di spaesamento, con grave nocumento per la degustazione di ogni singolo post, tanto che... alla fine... non ho ben capito... ma che cazzo ci faceva Viggo Mortensen a cena con Einaudi...???

tic. ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
tic. ha detto...

Ma quale Viggo Mortensen! Era David Cronenberg quello invitato a cena al Quirinale da Luigi Einaudi.