"The wolf that lives in Lindsey" è una canzone di Joni Mitchell. La trovate in un suo lavoro del 1979 che si intitola MINGUS, un omaggio a quello che è stato forse il più grande contrabbassista della storia del jazz e sicuramente uno dei più grandi compositori del Novecento, non solo in ambito jazz. Genio disadattato e infelice, uomo dolcissimo e intrattabile allo stesso tempo, violento e generoso, sincero e spietato (ci ha lasciato, oltre a musica sublime, un testo autobiografico davvero memorabile, "Beneath the underdog", pubblicato nel 1971. Il titolo italiano è "Peggio di un bastardo". In catalogo ce l'ha MARCOS Y MARCOS. Caldamente raccomandato anche se, puta caso, di contrabbassisti jazz non ve ne importasse proprio nulla).
E Lindsey.
La canzone è l'unica in MINGUS ad essere interamente firmata da Joni Mitchell (le altre hanno musica di C.M. e di J.M. solo parole).
Ed è una delle canzoni più inquietanti che io abbia mai ascoltato. Un pezzo con lupi che ululano e la chitarra in accordatura aperta con Mi basso digrignante. Perché, credetemi, è così: le corde dello strumento digrignano. E ci si mette anche la performance vocale di Joni Mitchell, che a volte sembra un po' lamentosa, fino ad apparire in qualche modo ululante.
Comincia così: "Of the darkness in men's minds/ what can you say...". E racconta di Lindsey che "loved the ways of darkness" e ha un lupo nel cuore.
"There lives a wolf in Lindsey/ that raids and run/ through the hills of Hollywood/ and the downtown slums". Lindsey va a caccia. E uccide. Meglio: ama uccidere.
Semplicemente una canzone su un serial killer?
No, qualcosa di più: una canzone sull'istinto, su "the inner laws of spirit/ and the outer laws of nature" che nessun uomo, in fondo, può sperare di sconfiggere. "No man can", canta Joni
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