martedì 27 luglio 2010

Giorgio Agosti su Aldo Moro


Giorgio Agosti, torinese, classe 1910, fu tra i fondatori, nel 1942, del Partito d'Azione. Fece la Resistenza: dal marzo del 1944 fino alla Liberazione fu commissario politico delle formazioni piemontesi di Giustizia e Libertà, a fianco di Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco. Nel 1945 venne nominato dal Cln questore di Torino, carica che abbandonò due mesi prima delle elezioni politiche del 1948.
Da giovane era stato magistrato, lo ricordano coraggioso e indipendente nei suoi giudizi. Negli anni Cinquanta divenne dirigente della Sip, la Società idroelettrica piemontese, e successivamente dell'Enel, vicedirettore per il Piemonte e la Liguria: fu tra i fautori della riforma per la nazionalizzazione dell'energia elettrica.
Di cultura si occupò sempre: lo vollero presidente del Museo del Risorgimento nel 1972 e, nel 1974, presidente dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, dal 2004 intitolato a lui.
Se ne è andato da questo mondo nel 1992.

Nel 2005 è stata pubblicata una versione del suo diario (ridotta a circa un quinto delle dimensioni originarie a cura del figlio Aldo, storico), redatto giorno per giorno fra il 1946 e il 1988 (con un'interruzione di sei anni, tra il 1947 e il 1953): si intitola Dopo il tempo del furore, l'editore è Einaudi (stavo per scrivere 'naturalmente Einaudi' ma ai berlusconiani al timone di via Biancamano non mi pare proprio il caso di concederli, certi avverbi).
In data 4 ottobre 1966 Agosti scrive: “Val la spesa di aver vissuto in questo secolo agitato soltanto per avvicinare uomini come Ernesto Rossi, Calamandrei, Salvemini”.
Rossi, Calamandrei, Salvemini, con Ferruccio Parri, furono i modelli morali della sua vita; i democristiani, le sue bestie nere. Fanfani una “canaglia intrigante”, Rumor “il gatto di un prete”, Tambroni “un centurione della milizia”, Leone “un mediocre paglietta” e Moro – Moro, che sta nel pantheon del famoso Piddì, assieme a Enrico Berlinguer - “viscido e infido”.
Dopo aver letto la sua ultima lettera dalla prigione brigatista, Agosti annota: “Lo stile, che dice e non dice, è suo. Parri, nelle sue condizioni, una lettera del genere non l'avrebbe mai scritta. Questi uomini, allevati tra preti e sacrestani, abituati all'eterno compromesso, non sono in grado di resistere a un certo tipo di prove. Non per nulla se ne videro così pochi nella lotta antifascista e poi nella guerra di Liberazione”.


3 commenti:

Anonimo ha detto...

ma che grande. in effetti la morolatria ci ha rotto.

Zimisce

Fabio Montale ha detto...

una volta uno del pds (ho detto una volta) mi raccontava di quando Moro pernottava nel pordenonese...
Stop
(cosi' cito anche Gino Bramieri)

Fabio Montale ha detto...

(e invece ho sbagliato ma mi e' venuto in mente adesso: Bramieri diceva "Punto e Basta".

"Piove.
Un negro entra in un bar.
Punto e basta"

era cosi'.)