mercoledì 6 febbraio 2008

Urrà per i pompieri!



Ho appena finito Cronosisma, uno dei pochi lavori di Kurt Vonnegut che non mi era mai capitato di leggere (un altro, per dire, è Galapagos).
Sul romanzo non mi sento di dire proprio nulla: ovvero, ho scoperto da tempo che, parlando di Vonnegut, non sono granché affidabile (ammesso e non concesso che io sia affidabile in qualcosa... Boh... Quanto a questo, direi che vi tocca vedervela un po' da soli).
Quindi, volete sapere com'è Cronosisma (e cos'è un cronosisma)? Provate a leggervelo. Io, al massimo, posso offrirvene un assaggino.
E dirvi solo, in poche parole, quello che penso di Kurt Vonnegut.
E cioè che è stato (magari ex aequo con J. D. Salinger, Saul Bellow, Philip Roth, Flannery O'Connor e Cormac McCarthy: si può fare, no?) il più grande scrittore statunitense della seconda metà del Novecento.
No contest.


Immaginate questo. Una grande università americana abbandona il football in nome della civiltà, e trasforma lo stadio ormai inutile in una fabbrica di bombe. Ripeto: “In nome della civiltà.” Roba che neanche Kilgore Trout...
Mi riferisco alla mia alma mater, la University of Chicago, il cui stadio ospitò la prima reazione a catena di uranio: sotto le tribune dello Stagg Field, nel dicembre del 1942 – cioè molto prima che io andassi a studiarci – e grazie ad alcuni scienziati intenzionati a dimostrare la fattibilità di una bomba atomica. Eravamo in guerra con Germania e Giappone.



Cinquantatré anni dopo, il 6 agosto 1995, nella cappella della mia università venne celebrata una funzione per commemorare il cinquantesimo anniversario dell'esplosione della prima bomba atomica sulla città di Hiroshima, Giappone. Io c'ero.
Uno degli oratori fu il fisico Leon Seren. Aveva partecipato all'esperimento – pienamente riuscito – nei sotterranei dello stadio deserto, tanti anni prima. State a sentire cosa disse: che gli dispiaceva averlo fatto!
Qualcuno avrebbe dovuto spiegargli che essere un fisico, nel pianeta dove gli animali più intelligenti non sopportano di vivere così a lungo, significa non dover mai dire: “Mi spiace.”



E adesso immaginatevi questo: un tizio realizza una bomba all'idrogeno per un'Unione Sovietica in paranoia, si assicura che funzionerà, e poi si becca il Nobel per la pace! Questo personaggio reale, degno di un racconto di Kilgore Trout, era il fisico Andrej Sacharov.
Sacharov vinse il Nobel nel 1975, per aver chiesto di interrompere la sperimentazione di armi nucleari. Ovviamente la sua l'aveva già abbondantemente sperimentata. Sua moglie faceva la pediatra! Che tipo di persona può perfezionare una bomba all'idrogeno quando è sposata con una specialista nella tutela della salute dei bambini? Che tipo di pediatra resterebbe al fianco di un compagno che sia andato fuori di testa?
“Successo niente di interessante oggi, amoruccio?”
“Sì. La mia bomba farà un figurone. E tu a che punto sei con quel caso di varicella?”


Nel 1975 Andrej Sacharov era una specie di santo, fatto che oggi, finita la Guerra Fredda, hanno smesso di strombazzare. In Unione Sovietica era considerato un dissidente. Aveva manifestato per la cessazione della sperimentazione e della produzione di armi nucleari, e anche per una maggior libertà al suo popolo. L'avevano cacciato dall'Accademia delle Scienze dell'URSS. Era stato esiliato da Mosca in uno sperduto buco del permafrost.
Non gli era stato consentito di recarsi a Oslo per ricevere il Nobel per la pace. In sua vece lo ricevette la moglie pediatra, Elena Bonner. Ma non sarebbe il momento di chiederci se lei stessa, o qualunque pediatra o medico, meritasse il Nobel per la pace più di chiunque avesse avuto una parte nella realizzazione di una bomba H per qualsiasi nazione del mondo?
Diritti umani? Esiste qualcosa che più di una bomba H sia indifferente ai diritti di qualunque forma di vita?


Nel giugno del 1987 a Sacharov venne conferita una laurea ad honorem dallo Staten Island College di New York City. Ancora una volta i suoi governanti non permisero che la ricevesse personalmente. Sicché fu chiesto a me di farlo per conto suo.
Avrei semplicemente dovuto leggere il messaggio che Sacharov aveva inviato. Il messaggio era il seguente: “Non cedete sull'energia nucleare.” Lo lessi come un robot.
Fui talmente educato! E questo avveniva un anno dopo la più letale calamità nucleare mai avvenuta su questo folle pianeta, a Chernobil, Ucraina. Per anni e anni nell'Europa settentrionale ci sarebbero stati bambini malati o peggio a causa delle radiazioni. Un sacco di lavoro per i pediatri!
Decisamente più incoraggiante per me rispetto alla ridicola esortazione di Sacharov fu in quei giorni il comportamento dei pompieri di Schenectady, New York. A Schenectady ci lavoravo. I pompieri scrissero una lettera ai loro colleghi di Chernobil, congratulandosi per il coraggio e la dedizione dimostrati nella loro opera di salvataggio di vite umane.
Urrà per i pompieri!
Benché alcuni di loro riescano a essere la feccia della terra nella vita quotidiana, si trasformano in santi nelle emergenze.
Urrà per i pompieri.

Nessun commento: