lunedì 25 agosto 2008

Left-Handed Poems 1




Uno dei libri più importanti della mia vita si intitola A ovest della legge.
Ci ho sognato sopra per anni e, mi accorgo sfogliandolo, i miei sogni l'hanno molto consumato.
Firmato da Piero Pieroni e Riccardo Gatteschi, fu pubblicato nel 1975 nella Collana Americana dei Fratelli Fabbri Editori. Non ricordo chi me ne fece dono, al tempo: ricordo però che fu in occasione di un mio compleanno.
Basterebbe solo il suo apparato iconografico, ad affascinare il lettore, se non ci fosse il testo che sentite un po' come veniva presentato in quarta di copertina: “Ad ovest della legge” fa parte della collana “americana” che in una serie di volumi monografici su diversi argomenti, intende esplorare il mondo del continente americano, quello che Cesare Pavese chiamava “il più grande palcoscenico sul quale si recitano i nostri drammi”. Scopo di questa collana è un tentativo di definizione dell'”America”, del suo passato e del suo presente, cercandone la verità oltre le nebbie del mito e semmai cercando di capire perché i miti sorsero, a chi o a cosa servirono; per la stesura sono stati impiegati i materiali più disparati: dalle testimonianze dei protagonisti, all'inchiesta giornalistica, alla musica, al folklore e altri ancora, sempre funzionali agli intenti che l'hanno ispirata.

E insomma, Pieroni e Gatteschi raccontavano il West. La frontiera. La Colt Navy. La Colt .45 Peacemaker. Il Winchester .44. I baroni del bestiame e le guerre per i pascoli. Abilene. Deadwood. Tombstone. La sfida all'O.K Corral. Wyatt Earp e Doc Holliday. Le grandi rapine ai treni. I linciaggi. Gli sceriffi. I cacciatori di taglie. Jesse James. I Dalton. Butch Cassidy e Sundance Kid. Il giudice Roy Bean. I Texas Rangers. Calamity Jane e Wild Bill Hickok. Pat Garrett e Billy the Kid.
Dovrei averlo già scritto, da qualche parte: io son venuto su guardando film western alla tivvù assieme al mio babbo (che era ed è un fan terminale di John Wayne) e leggendo Tex Willer, almeno fino ad una certa età. Poi, siccome presi a considerarlo alquanto ottuso, il capo bianco dei Navajos (e non solo lui, ma pure i suoi fedeli pards), decisi di tradirlo per Ken Parker e quella fu, decisamente, tutta un'altra storia (che, prima o poi, se avrete la pazienza di seguirmi, vi racconterò).
Insomma, Ad ovest della legge si trovò a germogliare su un terreno già profondamente arato e davvero molto fertile. Solo da grande (ero all'Università) sono riuscito a misurare con esattezza quanto quel libro avesse plasmato il mio immaginario. Quanto cioè avesse contribuito a fondarmi.


Ieri sera, gratta che ti gratta nella mia biblioteca, mi è capitato tra le mani un bellissimo testo di Michael Ondaatje, Le opere complete di Billy the Kid (The collected works of Billy the Kid. Left-Handed Poems), che lessi nel 1995, quando fu pubblicato per i tipi di Theoria. So che c'è in giro un'edizione Garzanti (Ondaatje dovrebbe essere tutto su Garzanti). Se, per dire, vi garba la scrittura (l'estetica...) di un Cormac McCarthy, è il libro che fa per voi. E perciò accattatevelo pure senza paura: soddisfatti o rimborsati, d'accordo? Ondaatje – narratore nato nello Sri Lanka nel 1943, ma canadese d'adozione – lo fece uscire nel 1970, in anni cioè di aperto revisionismo western. Revisionismo di celluloide soprattutto: da Arthur Penn a Sam Peckinpah passando per Sydney Pollack. Lo scrittore finge che sia il Kid a scrivere di sé e dunque Le opere complete di William Harrigan Bonney, il bandito conosciuto come Billy the Kid, sarebbero dunque un apocrifo. Left-Handed Poems, poesie scritte con la mano sinistra: un chiaro rimando al pistolero mancino e al film di Penn del 1958, The Left-Handed Gun (da noi, Furia selvaggia), con un Paul Newman in gran spolvero.



Poesie violente e romantiche, dolci e brutali, primitive e innocenti. Il libro di Ondaatje (il libro del Kid...) si presenta come un collage di testi e fotografie ed è un distillato di fonti le più disparate: “la morte di Tunstall, le reminiscenze di Paulita Maxwell e Sallie Chisum su Billy sono perlopiù ricavate da dichiarazioni fatte a Walter Noble Burns nel suo libro The Saga of Billy the Kid pubblicato nel 1926. Il commento sulle fotografie scattate nel periodo 1870-80 è tratto dal grande fotografo western L.A. Huffman e compare nel suo libro Huffman, Frontier Photographer (alcune delle fotografie di questo libro sono sue). L'ultimo brano di dialogo tra Garrett e Poe è preso da un verbale steso dal vicesceriffo John W. Poe nel 1919, quand'era presidente della National Bank di Roswell, New Mexico. (...) Sulla base di questo materiale, ho montato, riformulato e lievemente ritoccato gli originali. Ma le emozioni appartengono ai rispettivi autori”.

Viene spesso in mente, leggendo Ondaatje, il Pat Garrett and Billy the Kid di Sam Peckinpah, del 1973. Uno dei film che il tenutario di codesto blogghe ama di più (io piango, sapete, quando vedo Katy Jurado che piange mentre guarda morire Slim Pickens, lo sceriffo Baker. E piango quando Alamosa Bill/Jack Elam, che non aveva mai imparato a contare, muore ucciso in duello dal Kid. Che ci volete fare? Io son fatto così...).
Ma adesso non voglio parlare di Peckinpah, altrimenti la tiriamo troppo per le lunghe.
Billy the Kid è uno dei miei miti, avrete intuito (d'altra parte, non si stava parlando del mio immaginario?) e la Storia, quella con la maiuscola, ha poco a che fare col mito, lo sapete.



Come ha scritto Alex Shoumatoff nel suo in-cre-di-bi-le Leggende del deserto americano, il mito ha due epicentri nel Sudovest: la contea di Lincoln nel New Mexico, e Tombstone in Arizona. La contea di Lincoln è il posto in cui William H. Bonney, alias Billy the Kid, trascorse la maggior parte della sua violenta e breve vita. La cosa più straordinaria non sono gli eventi in sé, né la figura storica del Kid (secondo uno studioso, Billy aveva «il quoziente d'intelligenza di un quattordicenne semiritardato» ed era «un brutto adolescente con le adenoidi», alto un metro e sessantacinque, con un lungo mento praticamente attaccato al collo), bensì l'interesse che continuano a suscitare. (...) Come icona popolare ha ormai raggiunto lo status e la complessità epistemologica di Dracula, Topolino ed Elvis.
Di questa icona popolare, e del suo mondo, Michael Ondaatje ci dà un ritratto unico (e giunto a 'sto punto rubo qualche parola ad Ottavio Fatica, un po' perché non saprei dirle meglio, certe cose, un po' perché è tardi) “mescolando blocchi di prosa semidocumentaristica, primitiva, di frontiera, e sprazzi di poesia ancor più scarna, scarnificata, che sa cogliere e restituire quel che di brutale e pur poetico può esprimersi solo attraverso bravate, scorribande, bevute, orge, scannamenti, cavalcate senza meta. Con la sua originale proposta di raccogliere le «opere» di Billy the Kid, l'autore ha accolto ed è riuscito a vincere nel modo più singolare per uno scrittore la sfida del cinema, ritagliando in poche, sbilenche e dense, intense pagine, una figura solitaria e isolata, chiusa nel suo mistero come ogni leggenda e, come ogni leggenda, indimenticabile".

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