martedì 15 giugno 2010

Un bel film e le vuvuzelas


Ieri pomeriggio alle cinque sono andato al cinema a vedere Il segreto dei suoi occhi, il film del regista argentino Juan José Campanella che ha vinto il premio Oscar 2010 come miglior pellicola straniera. Ero da solo in sala. Non mi era mai capitato e devo dire che è una cosa strana e molto forte.
Strana e molto forte anche in rapporto a un film che racconta di solitudini immense: quella del protagonista, Benjamin Esposito (lo straordinario Ricardo Darin), durata in pratica una vita intera; quella, davvero terrificante, del vedovo di una giovanissima e bellissima sposa, violentata e ammazzata di botte da uno psicopatico; quella di Pablo Sandoval, l'aiutante del protagonista (come si direbbe in narratologia) alcolizzato, incasinatissimo e dolcissimo che riesce a capire come prendere l'assassino e finirà poi ammazzato come un cane da una squadraccia fascista.
Il segreto dei suoi occhi vuole essere una riflessione sulla giustizia e sulla memoria (l'Argentina è un Paese dove la negazione della giustizia e della memoria, negli ultimi trent'anni, è stata molto spesso una scelta politica compiuta dalla classe dirigente democratica: a volte per paura, a volte per convenienza, altre volte per inettitudine e viltà) ma anche, come ha affermato il regista, “una storia che parla d'amore nella forma più pura. Un amore finito ancora prima di sbocciare, senza nemmeno il tempo di sfiorire e di morire. Come avrebbe potuto essere vissuto, un amore così? Quali effetti avrebbe sulle persone coinvolte? Quali atti di pazzia potrebbero compiere occhi come questi quando l'amore venisse loro portato via?”.
E insomma: cercate di intercettarlo in ogni modo, questo bel film.
Io ieri me ne sono tornato a casa entusiasta e ho provato a raccontarlo a mia moglie mentre cenavamo in giardino. Riassumerlo non è stato facile: un po' per la trama, non lineare (e non banale), un po' perché dalle case vicine, dove i televisori erano sintonizzati sulla partita della nostra Nazionale, proveniva un rumore di fondo fastidiosissimo, come di mille alveari impazziti.
Mia moglie ha detto che si trattava del suono prodotto da certe trombette, chiamate vuvuzelas: secondo il mio quotidiano di riferimento, tali trombette sarebbero il “simbolo del Mondiale africano”, nientemeno, e qui direi che un bel “mecojoni” ci può pure stare.
Zzzzzzzz e zzzzzzzzz e zzzzzzzz e zzzzzzzzz e zzzzzzzzzzz e zzzzzzzzz e zzzzzzzzz e certo che le minchiate, attorno ai campi di calcio, non mancano proprio mai.
A volte poi, com'è accaduto in Italia, tracimano dagli stadi e vanno al potere.

1 commento:

yodosky ha detto...

Lo vedrò in dvd mi sa. In più mi sto perdendo anche la versione cinematografica dell'A-Team. Ahi lasso!