giovedì 30 ottobre 2008

周恩來


Dicono - ma forse non è mai accaduto - che una volta Henry Kissinger chiese al braccio destro di Mao, Zhou Enlai, cosa ne pensasse della rivoluzione francese.
"E' troppo presto per giudicare", rispose Zhou Enlai.
Vera o falsa che sia, è troppo bella.


P.S.
E io che cerco sempre di storicizzare tutto quanto...

mercoledì 29 ottobre 2008

Una frase, un rigo appena


Oggetto: dimissioni dalla carica di Assessore alla Cultura, allo Sport, al Tempo Libero e al Marketing territoriale.

Egregio Segretario,
con la presente rassegno le mie dimissioni dalla carica in oggetto a far data da martedì 30 ottobre 2007.

Distinti saluti, eccettera eccetera.


Non ci volle molto, as you can see. Una frase, un rigo appena, per dirla con Manuel Puig.
So cosa state pensando: che ci sono senz'altro delle cose più interessanti da ricordare, oggi.
Ma certo che ci sono, lo so anch'io.
Per esempio, oggi Winona Ryder compie gli anni...

martedì 28 ottobre 2008

Sostanza stupefacente



“L'interesse di coloro che trattano in un certo ramo commerciale o manifatturiero è sempre, sotto qualche aspetto, diverso da quello del pubblico, e anche opposto. La proposta di una nuova legge o di un regolamento di commercio che provenga da questa classe dovrebbe essere sempre ascoltata con grande precauzione e non dovrebbe mai essere adottata, se non dopo averla esaminata a lungo e attentamente, non solo con la più scrupolosa ma anche con la più sospettosa attenzione.”
Adam Smith dixit.

P.S.
Il liberalismo è roba forte.
Mica se la può pippare chiunque.

domenica 26 ottobre 2008

Io c'ero



Ieri sera ho accompagnato mia moglie a un appuntamento nella zona industriale delle Noghere, in comune di Muggia, provincia di Trieste.
Per lei, dovere di cronaca. Per me, dovere coniugale.
C'era nientemeno che il famosissimo ministro Renato Brunetta ad officiare un rito di purificazione (questa ve la spiego dopo) nella sede della locale Confartigianato.
E' stata una serata assai istruttiva, per il vostro affezionato.
Provo a raccontarvela.
Il frizzantissimo omarino è arrivato puntualissimo. Anzi, pure con qualche minuto d'anticipo rispetto all'ora d'inizio della funzione (fissata per le 20 e 30).
Platea, ovviamente, molto amica. Anzi, direi di più: molto innamorata. Piccoli imprenditori, in genere, quasi tutti accompagnati dalle loro gentili signore meravigliosamente in ghingheri per l'occasione. Sala (non grandissima) piena come un uovo, un sacco di gente in piedi. Età media attorno ai cinquanta, balla lì, balla là. In tutto direi un duecento persone, forse qualcuna di più.
Brunetta raggiunge il piccolo palco salutato da un'ovazione incandescente e dal padrone di casa (il presidente di Confartigianato, suppongo) che lo ringrazia di esistere: “Grazie, grazie al ministro Brunetta per aver saputo evidenziare la differenza che c'è tra i nostri dipendenti e i dipendenti pubblici!”.
Il senatore Giulio Camber (boss di Forza Italia a Trieste, Signore delle tenebre), che si accomoda accanto al ministro, va persino oltre: “Grazie, grazie per quello che hai fatto, per l'Italia e per il mondo”: testuale, ve lo giuro. “Il ministro Brunetta non è uomo da salotti (più volte evocati, nel corso della cerimonia, i famigerati salotti dove la sinistra, spocchiosa e parolaia, ordisce le sue trame contro chi lavora, n.d.r.), ma uomo per la gente: per la gente che lavora! Noi triestini lo conosciamo da tempo e abbiamo contribuito a mandarlo al Parlamento Europeo con ottomila voti. Voti che, rispetto agli altri ottantamila che ricevette, non son stati certo determinanti per la sua elezione ma comunque c'erano (sottinteso: io, Giulio Camber, sono stato capace di portare a 'sto dio in terra ben ottomila preferenze di triestini, n.d.r.) e fanno sì che il ministro sappia che noi triestini gli vogliamo bene. E noi sappiamo che lui ci vuole bene”.
Il Grande (beh...) Riformista Brunetta si commuove, ostia se non si commuove: “Sappiate che io mi sento più triestino che veneziano!”. E poi attacca a gorgheggiare che sembra proprio la Caballé in serata di grazia: e il governo di qua, e il governo di là, e siamo in “quasi recessione”, tecnicamente in stagnazione, ma “dobbiamo star tranquilli perché il governo c'è. Come saprete, abbiamo cercato di porre rimedio alla carenza di liquidità delle banche con robuste iniezioni di capitale. Soprattutto per fare in modo di mantenere aperte le linee di credito alle imprese. Vedete, marxianamente parlando (sic: e d'altra parte Brunetta, come Giulio Tremonti, è uomo di sinistra, si sa. La platea, pertanto, non batte ciglio. Gente d'ampie vedute, n.d.r.), a me, a noi, piace l'economia reale. E' l'economia reale, il nostro obiettivo, non certo la finanza (e qui partono l'applauso e i 'bravo!' degli uomini del fare presenti in sala, n.d.r.). La finanza non va certo demonizzata (eh, no, n.d.r.), ma dev'essere strumentale all'economia reale. E il mestiere delle banche (cari compagni... No, compagni non l'ha detto, in effetti. Ma ce lo metto io, visto che Brunetta, proprio come Giulio Tremonti, è uomo di sinistra, n.d.r.) è far funzionare l'economia reale, è stare vicino a gente come voi” e via sopraneggiando. “No alle rottamazioni, abbiamo già dato (applausi e 'bravo!', n.d.r.). Bisogna però far di tutto per aumentare il potere d'acquisto dei consumatori, in questo momento, e io farò la mia parte: ho sei miliardi di euro a disposizione e li voglio spendere subito. Settanta euro in più in busta paga per i dipendenti pubblici non sono poco (sic: io non ho capito, sinceramente, se i settanta euro in più se li beccheranno pure i fannulloni, ma penso di sì: anche i fannulloni sono consumatori, e che no? n.d.r.) e possono servire, io credo, a rilanciare i consumi”.
A questo punto arriva il direttore de Il Piccolo, Sergio Baraldi. In ritardo di una buona mezz'ora. Appena lo vede entrare, Brunetta lo punzecchia subito: “Il governo c'è e stiamo facendo quello che dovevamo fare. Anche se Il Piccolo dice di no”. Il giornalista avrebbe dovuto esser lì fin dall'inizio, a intervistarlo, ma - ahi ahi ahi - non c'era. Perciò Brunetta ha dovuto cominciare a intervistarsi da solo (questo glielo dice pure in faccia, a Baraldi, e la platea giù a ridere): continuerà a farlo fino alle dieci e mezza. Davvero. Se al posto del povero Baraldi a fare da interlocutore al ministro ci fosse stato Ciccio di Nonna Papera, non si sarebbe notata la differenza. Brunetta lo tratta da subito come un oppositore (come un nemico, via...) e lo rimprovera aspramente: “Avete scritto che quando facevo il parlamentare europeo ero un assenteista!”. Baraldi prova a ribellarsi e si becca del 'falso!': “Provate a riscriverlo, provateci. Fatelo. Io vi querelo, vi faccio neri!”.
La prima domanda azzardata dal direttore de Il Piccolo è la seguente: “Signor Ministro, la vostra manovra economica (quella approvata dal governo Berlusconi in nove minuti, n.d.r.), con trentacinque miliardi di euro di tagli alla pubblica amministrazione (“Trenta di tagli, cinque di maggiori entrate", precisa immediatamente Brunetta, n.d.r.) non rischia di deprimere l'economia?”.
Renat, l'ami du peuple, risponde trattandolo come un povero coglione e non mollerà l'osso fino a quando Baraldi non se ne sarà andato: “La spesa pubblica corrente è spesso fuori controllo, in molti comparti della pubblica amministrazione. Noi facciamo solo quello che bisognava fare. Centocinque miliardi per la spesa sanitaria? Ma si può? E che mi dice di quello sconcio che è la proliferazione di sedi universitarie? Noi abbiamo messo la finanza pubblica sotto controllo, altro che! Eppoi, cosa vuole, lei? Ci pensano gli italiani a risponderle: Prodi ha goduto di tassi di crescita del 2,8%. Ha goduto pure del tesoretto. Ed è caduto (applausi, n.d.r.). Noi siamo in stagnazione e la gente ci premia con un consenso che mai nessun governo ha avuto, dalla fine della guerra in qua. Che siano intelligenti, gli italiani? (e qui la sala viene giù: ma certo che gli italiani sono intelligenti. E i più intelligenti di tutti sono quelli che hanno votato per Silvio Berlusconi, naturalmente, n.d.r.). Caro direttore, gli italiani approvano chi sta facendo cose difficili. E' troppo facile promettere tutto a tutti. Eppoi, l'economista professor Brunetta (parla di sé in terza persona, come Giulio Cesare nei Commentarii o Diego Armando Maradona, n.d.r.) può andare in giro a viso alto perché sta dalla parte di chi ha realmente bisogno (e qui giù applausoni al ministro di sinistra dalla platea degli sfruttati: sempre marxianamente parlando, n.d.r.). Baraldi tenta, assai blandamente, di replicare qualcosa, ma Brunetta lo svillaneggia, lo sbeffeggia e gli dà del bugiardo, richiedendo continuamente “un giurì d'onore” (?): “Col sottoscritto bisogna essere precisi!”; “Direttore, guardi, la prego: lei confonde il TAR con la Corte Costituzionale!”; “Se lei vuol fare le pulci al sottoscritto, le deve fare precisine!”; “Direttore, sarò buono con lei...” e via toreando tra gli olèeeeeee dell'arena in delirio. Alla fine, il toro sarà matàto. Prima di spirare, Baraldi prova a dire che in fondo quella di Brunetta è solo “politica degli annunci”: “E allora? Intanto son calate le assenze per malattia, e non mi pare poco. Qualcuno dice che i fannulloni che ho riportato al lavoro se ne stanno in ufficio a fare niente? Intanto non sono a casa, intanto li ho riportati al lavoro, poi gli faccio un culo così (olèeeeee, n.d.r.). Il prossimo anno sappia che non ci saranno più consulenze nella Pubblica Amministrazione (olèeeee, n.d.r.). Ma lei si rende conto che in Italia abbiamo non so più quante polizie? Ma pensi a cosa si potrebbe fare se solo riuscissimo a superare le rivalità tra corpi separati, pensi! Ma quanto in meno spenderemmo? Io non ci dormo la notte (olèeeee, n.d.r.). I ricchi, vede, non hanno bisogno della Pubblica Amministrazione, perché se ne fanno una privata, parallela, se vogliono (olèeee, n.d.r.). E così per la sanità e la scuola: sanità privata e scuole per i figli all'estero (olèeeee, n.d.r.)”.
L'ultima incornata a Brunetta lo spentissimo direttore de Il Piccolo tenta di dargliela sulla scuola: “Sarkozy ha appena detto che, per affrontare al meglio la crisi mondiale, bisognerebbe investire tantissimo nell'Università e nella scuola. Voi invece tagliate...”. La platea urla il proprio disappunto e Brunetta pianta la sua ultima banderilla: “Ci sono troppi insegnanti, in Italia, in generale. E troppi insegnanti entrati senza concorso. Troppi insegnanti di qualità scadente. Chi ha dei figli lo sa bene!”. Boato di approvazione. “Ma cosa protestano, questi? Eppoi... Dai... I baroni. Quando io vedo i baroni che sfilano assieme agli studenti, dico che la cosa mi puzza... Mi puzza! A voi no?”. E qui ci sarebbe pure lo scoop, volendo: “E poi quella della Gelmini non è mica una riforma, su! Son solo dei punti...”, dice Brunetta. Strano: la Gelmini e Berlusconi parlano invece di 'riforma' della Scuola e dell'Università. Bisognerà avvisarli. Ma Baraldi è troppo spento per farlo rilevare. Sembra un Moai dell'Isola di Pasqua. Imbarazzante davvero.
Che altro dire? Sergio Baraldi è la stampa come non dovrebbe mai essere: muta e sorda. Ma pensateci un attimo: Brunetta afferma che le forze dell'ordine in Italia, per come sono organizzate, rappresentano essenzialmente uno spreco di risorse e il direttore del maggior quotidiano regionale non fa rilevare come sia quantomeno incoerente che, a fronte di un spreco di risorse conclamato (conclamato da un ministro della Repubblica...), la giunta regionale del FVG abbia deciso di stanziare, di suo, (proviamo a essere consequenziali, giusto?) ben 16,3 milioni di euro per la sicurezza. E pensate che l'assessore regionale alla Sicurezza, la signora Federica Seganti, era lì, seduta in prima fila...
Povero, inutile Baraldi. Brunetta sembrava caricato a molla: un misirizzi che sparava numeri su numeri, numeri a nastro, numeri come se piovesse. E mai, mai che al direttore de Il Piccolo sia venuto in mente di domandare: “Scusi, ministro, può gentilmente fornirci le sue fonti? Dove possiamo trovarli, noi, tutti questi numeri? Vede, vorrei controllare se sono esatti. Non si offenda: la sua parola non basta mica. E non mi pare proprio il caso che lei continui a invocare un giurì d'onore, sa?”.
Ma Baraldi niente. Niente di niente. Il nulla sotto vuoto spinto.
Che altro dire?
Che ho visto la Destra italiana, ieri. E quello che viene considerato uno dei suoi ideologi più brillanti. Niente di inedito, in realtà: l'indicazione ossessiva di un capro espiatorio, lo scaricamento di responsabilità su una categoria di reprobi (i dipendenti pubblici, in questo caso), l'effetto 'lavacro purificatore': tutte cose che richiamano, per molti aspetti, la prosa manzoniana della Colonna infame per cui dàgli, dàgli, dàgli all'untore! Voi, intanto, brava gente che lavora, siete tutti assolti.
Brunetta è molto abile a stabilire una comunicazione emotiva con la sua gente: sa interpretarne gli istinti, le paure e le passioni all'interno della collaudatissima simbologia binaria buono-cattivo, nemico-amico. E sa semplificare: emblematica la fotografia degli studenti che sfilano in corteo con i baroni. Tutti baroni, i professori universitari? Ma davvero?
George Halifax, autore delle Maxims of state (1692), parlò di “organizzazione degli odi”: ecco, Brunetta è uno che sa benissimo come organizzare l'odio. Senza star lì a preoccuparsi troppo delle conseguenze. D'altra parte, dov'è il problema? Quello italiano è da tempo un “dibattito politico senza comunicazione” (per dirla con Albert Hirschman), lui non fa altro che adeguarsi. E se “lo scopo della democrazia è rendere possibile un dialogo razionale” (questo è Norberto Bobbio), Brunetta, in tutta evidenza, è uno che se ne impipa alla stragrande, della democrazia. E se ne impipa pure della realtà, forse perché sa perfettamente che la realtà è cosa un po' demodè, dalle nostre parti: altrimenti, come farebbe a dire che “non serve, non serve andare in piazza: c'è bisogno di proposte convergenti per il bene del Paese”?
Ma quali proposte convergenti sono possibili, in questo Paese, di grazia? Com'è che ha detto, Berlusconi? “Me ne frego dell'opposizione”? Ecco. E mò provateci voi, a convergere...
Dunque Renato Brunetta, apparentemente così poco mediatico, è un vero leader, per questo tempo da lupi: uno che sa come si fa a suscitare un'ebbrezza collettiva, “una deliziosa ebbrezza che ci fa facilmente dimenticare saggezza, umanità e persino lo spirito di conservazione, e che rende ugualmente facili i più atroci massacri e i più eroici martiri” (così Bertrand Russell, e ammazza quanto cito, oggi).
Io, ieri sera, ho visto quell'ebbrezza.
"Grazie, grazie e ancora grazie, ministro Brunetta, per quello che stai facendo per l'Italia e per il mondo" significa innanzitutto grazie per l'assoluzione e grazie per le tue condanne apodittiche (ma piene zeppe di numeri, in compenso) che condannano sempre gli altri: non noi, che siamo i puri, non noi, la brava gente che lavora, ma quegli altri lì.
Gli untori.

venerdì 24 ottobre 2008

Tu vuò fa l' americà!



Giovanna Melandri ha passato qualche giorno in giro per la Pennsylvania a sostenere la candidatura di Barack Obama.

fatuo (fà-tuo) agg. (pl. m. -tui; f. -tua, pl. -tue)
1 Vuoto, vano, leggero, insulso: una persona fatua; chiacchiere fatue; un amore f. // SIN frivolo, vacuo 2 Fuoco fatuo, fiammella che appare talvolta nei cimiteri, dovuta all'accensione spontanea di sostanze gassose prodotte dalla decomposizione dei cadaveri // fig. Illusione effimera, passione passeggera
ETIM Dal lat. fatuus, a, um, agg., semplice, sciocco, stupido, balordo, insensato: non modo nequam et improbus sed etiam fatuus et amens es, non sei solo un uomo da nulla e malvagio, ma anche uno sciocco e un pazzo, Cic.; aut regem aut fatuum nasci oportere, bisogna nascere o re o idiota, Sen.
vacuo (và-cuo) agg. (pl. m. -cui; f. -cua, pl. -cue)
1 lett. Vuoto: niuno luogo era di combattitori vacuo, eccetto che la fila ultima (Machiavelli) 2 fig. Privo, povero di contenuto, idee, sentimenti: parole vacue di senso; cervello vacuo // Privo di consistenza, futile: discorso vacuo // Privo di fondamento, vano: speranze vacue // Occhi vacui, senza espressione // Promessa vacua, destinata a non essere mantenuta
ETIM Dal lat. vacuu(m), deriv. di vacare "essere vuoto"


P.S.
Con dirigenti del genere, ma chi ci ferma più?

mercoledì 22 ottobre 2008

Razzista io? Parla lei che è negro!


La battuta è di quel grande umorista (e giornalista sportivo) che è stato Beppe Viola e mi serve per raccontarvi di un'incazzatura omerica.
Che cos'è accaduto? Presto detto.
Stamattina apro il giornale locale alle pagine dedicate alla mia città (vabbé, città, insomma... Si fa per dire) e ci trovo una bella letterina, firmata da tal Fabio Berti.
Leggete un po' cosa scrive questo.

Razzista, io? Parlando con amici, appena ho messo sul tavolo il mio disagio nei confronti dello stile di vita «zingaro», sono stato prontamente tacciato di razzismo.
«Ecco un bel quadretto che spiega le fortune del nano», mi sono detto. Ho provato ad insistere, a spiegare; niente da fare. Mi sono visto costretto a ripiegare su un altro argomento con un senso di rabbia impotente che mi ha fatto pensare: «Hanno ragione a votare Lega le migliaia che hanno la tessera della Cgil in tasca! Devono ancora toccare il fondo!». Poi, sfumata la rabbia, sono stato colto da un'accorata compassione per il popolo di sinistra che manca di occhiali adatti alle circostanze. Gira usando il binocolo internazionalista, con ancora nelle orecchie il proclama «proletari di tutto il mondo unitevi!», incapace di ascoltare senza pregiudizi i discorsi «de privata» o «della siora Maria» che danno la reale misura dei bisogni.
Demonizzare i sentimenti di milioni di persone, chiamandoli «discriminatori», «segreganti» o peggio, è una politica facile, ma in realtà inefficace per la soluzione del problema. Le ansie e le preoccupazioni della gente non si dovrebbero trascurare, e nemmeno si possono controllare efficacemente etichettandole come razziste o xenofobe.
Inoltre, dire alla gente che «ha bisogno» degli immigrati per motivi economici o per il calo demografico genera un dibattito valido e utile, ma non risponde ai suoi dubbi più profondi. La sfida che abbiamo davanti è trovare modi legittimi ed empiricamente validi per rispondere costruttivamente a queste preoccupazioni. Apriamo uno spazio fisso di dibattito su queste questioni.

Legenda: per chi, tra i lettori, non fosse residente nella Venezia Giulia, la “privata” è un luogo (quasi sempre una piccola azienda agricola) dove, in certi periodi dell'anno, c'è mescita di vino. Non è un'osteria o un bar, avrete inteso, ma un'attività gestita da privati (appunto) cittadini che sono autorizzati ad aprire le porte della propria casa (della propria cantina) ad una clientela che in genere (ma direi per antonomasia) è molto popolare. Per cui dire gente “de privata”, dalle mie parti, è un modo per dire 'popolo'. E i discorsi “de privata” di Fabio Berti sarebbero le parole e i ragionamenti del popolo.

E insomma, ho deciso di rispondere stans pede in uno alla richiesta del signor Berti: dibattito, dibattito, perdiana!
Pertanto ho inviato a il Piccolo questa missiva.

Il signor Fabio Berti scrive al Piccolo del suo disagio nei confronti degli zingari e racconta che per tale motivo è stato “prontamente tacciato”, da alcuni suoi amici di sinistra, di “razzismo”. All'inizio si è arrabbiato, poi ha provato “un'accorata compassione” nei confronti di chi, a sinistra, non sa più ascoltare senza pregiudizi i discorsi “de privata” o “dela siora Maria” (parole sue).
Poiché egli termina chiedendo che venga aperto uno spazio fisso di dibattito su tali questioni, ho deciso di rispondere subito al suo richiamo.
Al signor Berti non piacciono gli zingari? Secondo me questo è un problema solo suo: non vedo cosa c'entri la sinistra...
A me gli zingari non fanno né caldo né freddo, in quanto categoria. Ma nemmeno gli sloveni, gli americani, gli elettricisti e i dipendenti pubblici, in quanto categorie. E questi sono solo cavoli miei: non credo che la sinistra debba farsene carico.
Detto ciò, secondo me uno dei problemi più pressanti per la sinistra, in questo particolare momento storico, consiste nel ritrovare, da qualche parte, la voce per urlare che se (come ha fatto notare la Caritas) sono quindici milioni gli italiani a rischio povertà (leggasi: costretti a campare la vita con 600 euro al mese o poco più); se il 48% del reddito nazionale è nelle mani del 20% delle famiglie più ricche del Paese; se il 20% delle famiglie più povere percepisce solo il 7% del reddito nazionale; se tutto questo è vero, la colpa non è precisamente degli zingari, o magari degli immigrati clandestini.
Concludo dicendo che mi va benissimo che la sinistra presti orecchio, senza pregiudizi di sorta, ai discorsi “de privata” o “dela siora Maria”, e alla povera gente insicura. Lo faccia pure, per 29 giorni al mese. Basta che si ricordi, il trentesimo giorno, di chiedere anche al professor Piredda come la pensa. Il professor Piredda, infatti, appartiene pure lui al famoso popolo anzi, alla famosa gente (anche se i 1.322 euro che prende al mese di stipendio lo qualificano, indubbiamente, come un privilegiato: non ha detto così, il ministro Brunetta?). Anche il professor Piredda vota. E infine (ebbene sì) pure al professor Piredda, qualche volta, capita (pensi un po', signor Berti) di andare a bere in privata. Ma non ha mai chiesto alla sinistra (la sua parte politica, nonostante tutto) che per questo motivo gli venisse appuntata al petto una medaglia.

Legenda: per chi, tra i lettori, non lo sapesse, il professor Piredda di cui sopra sarei io...

Ho fatto fatica a mantenermi calmo col Berti, sapete?
Ne ho pieni i coglioni di sentire certi discorsi, a sinistra (il Berti è in tutta evidenza un elettore della sinistra e probabilmente del PD, vista la sicumera 'modernista' profusa a piene mani). Siete lontani dalla gente, siete lontani dalla gente, siete lontani dalla gente: la destra ce lo ripete ogni giorno e noi, in alto e in basso, ci crediamo pure.
Dire 'a' o 'ba' sul razzismo che serpeggia nella società italiana sarebbe un male perché la cosiddetta gente comune (io però - con tutta la mia distanza dal popolo - non mi permetterei mai di definire qualcuno 'gente comune': trovo che sia un modo osceno di riferirsi a delle persone) certe cose non solo le pensa, ma ormai le dice apertamente visto che, oilallà oilallà, ormai si possono dire, sono, massì, sdoganate: e noi, noi sinistra à la page, non possiamo mica “demonizzare” i sentimenti di milioni di persone...

E il riferimento alla “siora Maria” e alle private? Dai... Roba alla Joe l'Idraulico, quel simbolo della classe media ''impaurita dal piano di Obama di alzare tasse e uccidere posti di lavoro'' che si sono inventati i ferocissimi strateghi della campagna elettorale di John McCain.
Ma quante vittime della cattiva televisione ci sono, ormai, in questo Paese? Quante?
Sono stato buono, sono stato tanto, tanto buono con il signor Berti. Ma checcazzo... Perché io non sarei popolo?
Perché leggo qualche libro? Perché penso che “le ansie e le preoccupazioni della gente” siano di molto influenzate da telegiornali e programmi di intrattenimento scandalosi? Perché penso che la tivvù abbia un'enorme responsabilità nella diffusione della violenza, in questo Paese e altrove? Perché penso che la tivvù contribuisca ad innescare non solo meccanismi di emulazione della, ma anche – ed è persino peggio – meccanismi di assuefazione alla, violenza? Perché penso che la sovrapposizione continua tra dimensione reale e proiezione virtuale sia all'origine di quella sensazione di insicurezza vissuta da larghi strati della popolazione italiana? Perché penso che l'opinione di milioni di persone potrebbe pure essere una grandissima cazzata, alla facciaccia dei milioni di persone? Perché io so come si fa a inventare un capro espiatorio?
Ma vaffanculo, va: vaffanculo ai discorsi de privata e pure a tutte le sioremarie del mondo.

Anch'io voglio!


"Il senso critico del nostro popolo di centrosinistra è esagerato. Guardate a destra: Berlusconi può dire qualsiasi cosa, e tutti stanno zitti (...) tra i suoi Berlusconi non è il leader, è il proprietario: se qualcuno gli dà fastidio, Berlusconi lo spegne. Io non posso".


Ma ti piacerebbe, dì la verità... Ti piacerebbe essere come lui.

martedì 21 ottobre 2008

Parole celebri dalle mie parti (n.42)


"Il mondo è una polveriera in cui non è vietato fumare."

(Friedrich Dürrenmatt)

lunedì 20 ottobre 2008

Fede


L'orologio, di Carlo Levi, è un libro non facilmente classificabile. Si tratta di un romanzo? Di un saggio?
Einaudi lo pubblicò inizialmente (1950) nella collana dei «Saggi», e solo successivamente nei «Supercoralli» come romanzo.
Facciamo allora romanzo-saggio e non se ne parli più.
Vi si racconta della caduta, nel novembre 1945, del governo post resistenziale del partigiano Ferruccio Parri e dell'avvento al potere di Alcide De Gasperi (un “vecchio e navigato serpente”, parole di Levi), in quel momento ancora alleato a Palmiro Togliatti: il vento del Nord che smette di soffiare mentre s'avanzano uomini politici “fin troppo umani, accorti, abili, attenti, astuti, avidi di cose presenti” che segneranno la storia d'Italia, nel bene e nel male, negli anni (nei decenni...) successivi.
Molti personaggi del romanzo sono a chiave: per dire, Valenti è Manlio Rossi-Doria, Roselli è Altiero Spinelli, Moneta è Carlo Muscetta e Fede, beh, Fede è Vittorio Foa.
Ecco come lo descrive Carlo Levi.


“Fede (...) era piccolo, sottile, fragile, con un viso allungato e trasparente, scintillante del brillio degli occhiali, un naso appuntito, diritto in mezzo alle guance pallidissime, come una sentinella in un campo coperto di neve. Sotto, si apriva una bocca minuta dalle labbra arcuate e carnose: il mento, robusto, era spaccato in mezzo da una fossa. Aveva un'aria concentrata, attenta, come di chi abbia per le mani una pistola carica; e, quando taceva, non pareva ascoltare o riposarsi, ma badare piuttosto a far sì che il grilletto della sua arma non scattasse inavvertitamente. E l'arma c'era davvero, e pericolosa; perché, quando parlava, non era un colpo di pistola, ma una scarica di mitragliatrice, anzi un fuoco multiplo e incrociato di tiri arcuati che non si capiva di dove venissero. Questa abilità, questa astuzia della mente, che lo portava a nascondere gli argomenti per tirarli fuori improvvisi nel momento più inaspettato, che lo faceva girare attorno ai concetti, attorcigliandoli in matasse e in gomitoli e sciogliendoli a un tratto, come un pescatore di trote che avvolge paziente la lenza sul verricello con mossa annoiata e monotona e poi lancia lontano, con subita violenza, gli era naturale. Ma la natura era rafforzata dalla volontà. Nelle sue meditazioni su quel cielo della politica dove ora spaziava, egli pensava di averne scoperte le leggi, immutabili e eterne; dure, machiavelliche leggi alle quali si confermava con sicurezza entusiasta, come un eroe di Stendhal.
E molto più egli aveva del Julien Sorel quando doveva, per qualche breve istante, volger gli occhi a qualcosa di diverso da quel suo cielo politico. Come chi aveva poco vissuto ed era stato privato, sotto una campana di vetro, degli anni migliori, egli sentiva un bisogno irresistibile di vivere, di vivere in fretta, di rifarsi del tempo perduto, di invecchiare, di raggiungere la propria età, come un soldato rimasto indietro in una marcia, che corra lungo il reggimento per ritrovare il proprio posto nella fila. Ma proprio la troppa fretta, l'ansia di esperienza, gli impediva di vedere le cose e di riuscire veramente a toccarle; come un affamato che inghiotta in furia, tutti insieme, i cibi di una grande tavola, senza poter distinguere il gusto di nessuno. Avrebbe voluto amare tutte le donne, o forse avrebbe voluto che tutte le donne lo amassero – chissà, egli stesso non lo sapeva: e le assaliva tutte con un fuoco, una violenza, una passione così eccessiva, frettolosa e inesperta, che esse si spaventavano, e si offendevano, e, per quanti altri meriti gli trovassero, tutte lo respingevano. Alle prime repulse rispondeva raddoppiando il suo errore, secondo piani elaboratissimi; mostrando troppo allo scoperto la sua impazienza, passando a doni eccessivi e inaspettati, a mazzi di fiori giganteschi, dai quali si attendeva meravigliosi e sicuri risultati – ma poiché quelle, maggiormente intimorite o stupefatte si rafforzavano nel diniego, egli, spinto da quell'ansia di vita e dall'orrore del tempo perduto, abbandonava il campo, per ritentare subito con altre, con la stessa impazienza e maggior furore. Passava così, che io mi sapessi, di insuccesso in insuccesso, ma si rifugiava nella politica, dove non aveva a che fare con esseri strani come le donne, ma con dei propri simili, e con le eterne Idee."


Vittorio Foa se n'è andato.
Era molto, molto vecchio: apparteneva a un'altra Italia, a un altro mondo.
E a un'altra politica.

domenica 19 ottobre 2008

Ei fu.


"E' morto un grande uomo", ha detto ieri il Governatore (mecojoni!) del Friuli-Venezia Giulia, Renzo Tondo, ai funerali del collega Joerg Haider, Governatore della vicina Carinzia.
Se ci fosse stato Riccardo Illy, al posto di Renzo Tondo, il commento sarebbe stato esattamente lo stesso: non ho dubbi.
Haider, il grande uomo, aveva idee di estrema destra? Era uno xenofobo, e forse pure un razzista?
Quisquilie. Pinzillacchere.
Tondo, a Klagenfurt, ha affermato che "dobbiamo ragionare sull'eredità che ci lascia" e l'avrebbe affermato pure l'algido Illy, fosse stato al suo posto.
E me li vedo, me li vedo, i boss del PD del Friuli-Venezia Giulia (lo Zvech, il Moretton, il Tesini), ripresi dalla televisione accanto al Governatore Illy ai funerali di Haider, che fanno 'si si si' con la testolina.

venerdì 17 ottobre 2008

Qui non si parla di politica


Dichiarazione di Marcello Lippi riportata da la Repubblica il 15 ottobre.
“Ho detto ieri a Moni Ovadia che avrei partecipato a un dvd didattico per le scuole contro il razzismo in genere, non contro il nazismo: lui invece ha riferito che avrei dovuto interpretare letture di Primo Levi sulla Shoah o qualcosa di simile. In 40 anni di carriera non ho mai preso posizione politicamente e non intendo farlo ora, il video io lo intendo in chiave antirazzista e basta”.
Da quanto sopra si può senz'altro dedurre che il nazismo, per Marcello Lippi, è un'idea politica come un'altra.
E noi, a questo punto, dobbiamo decidere: abbiamo a che fare con un povero stronzo, con un povero coglione o solamente con un povero ignorante?

giovedì 16 ottobre 2008

Reality bites

Promemoria.
Secondo la Caritas, sono quindici milioni gli italiani a rischio povertà (leggasi: costretti a campare la vita con 600 euro al mese o poco più).
Il 48% del reddito nazionale è nelle mani del 20% delle famiglie più ricche del Paese. Il 20% delle famiglie più povere percepisce solo il 7% del reddito nazionale.

mercoledì 15 ottobre 2008

Anch'io di Ronda

La Lega Nord della mia regione continua, praticamente indisturbata, a proporre soluzioni per l'oramai notissima Emergenza Sicurezza.
Il Friuli Venezia-Giulia è una delle regioni più tranquille d'Europa? Ma chissenefrega: chissenefrega delle statististiche, chissenefrega della realtà. Siamo tutti insicuri.
Per decreto.
Un paio di giorni fa l'assessore regionale leghista alla Sicurezza (anzi, all'Emergenza Sicurezza), signora Federica Seganti, ha presentato una bozza di riforma della polizia locale. Venticinque articoli per dire che, nel Friuli Venezia-Giulia, i vigili urbani dovranno essere armati (“Dopo opportuno addestramento le dovranno avere tutti”, le pistole, di giorno e di notte: “Le situazioni potenzialmente pericolose non hanno orari. Chi ha le caratteristiche per usare un'arma l'avrà a disposizione”) e se ne dovrà per forza assumere qualcuno in più (“L'intenzione è di arrivare a 1.100 + 10%”. In media, un addetto ogni mille residenti).
Nel sesto articolo della bozza Seganti si parla delle ronde, ovvero dell'impiego di volontari per garantire la Sicurezza degli insicuri cittadini del Friuli Venezia Giulia. Dice la Seganti che “la Regione formerà le ronde: ci sarà più uniformità e risparmieremo soldi”. I volontari disposti a far la ronda saranno una presenza “aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella garantita dalla polizia locale” e sarà la Regione a formarli, diventeranno “una sorta di protezione civile per la sicurezza”.
Io non so che dire, davvero. Vorrei solo poter rimuovere, almeno per un po' di tempo, o fingere che tutto questo sconcio non stia avvenendo sul serio.
Ci provo, va bene?

Per me Ronda è una bellissima cittadina andalusa a 740 metri sul livello del mare.
Si erge su un dirupo a picco sul Guadalevin, è tagliata in due da un orrido impressionante (ma i leghisti sono più orridi ancora, e molto più impressionanti) che i nativi chiamano, appunto, el Tajo , attraversato da un ponte a tre arcate, el Puente Nuevo, una costruzione del XVIII secolo: lo stesso periodo in cui fu edificata l'arena cittadina che è, quindi, la più antica di Spagna (1785).

Probabilmente è a Ronda e al Tajo che fa riferimento Hemingway nel capitolo X di Per chi suona la campana, raccontando un episodio molto cruento della Guerra Civil.

Nella Serranìa di Ronda io e mia moglie E. abbiamo passato due giorni bellissimi, nel giugno dello scorso anno. Risiedevamo in un albergo da urlo, in mezzo ai campi di frumento e agli oliveti, qualche chilometro di strada bianca per arrivarci. Si chiama el Molino Del Arco.
Ora, Ronda viene definita la culla della tauromachia.
Era rondeño Francisco Romero, l'inventore della muleta, suo figlio Juan organizzò per la prima volta la cuadrilla (ovvero la squadra che sostiene il torero), suo nipote Pedro fu un iradiddio nell'arena.
Orson Welles amava alla follia la tauromachia (proprio come Ernest Hemingway...). Lo sapevate?
Sentite un po' cosa raccontò un giorno a Peter Bogdanovich (trovate tutto in Io, Orson Welles, un libro bellissimo, di quelli più grandi della vita. Tascabili Baldini Castoldi Dalai: se lo pescate ancora in circolazione, fiondàtevici sopra. Trust in tic) e magari son tutte balle ma che importa?


“Be', avevo quella borsa di studio per Harvard.
Anche dopo quell'anno di mattane in Irlanda pensavo che la maledetta trappola potesse acchiapparmi. Così sono partito per la Costa d'Avorio, sono arrivato fino in Marocco e ho finito per sistemarmi a Siviglia, nel quartiere zingaro di Triana. Avevo un bell'appartamento in quello che Billy House chiamava «una magione del pelo» (un bordello); una sistemazione diciamo alla pari, anche se con ingresso separato. Avevo anche la mia carrozza personale e pagavo da bere a tutti i barboni dell'Andalusia. Vivere come Diamond Jim Brady mi costava un cinquanta dollari la settimana, e li facevo sbucando fuori di tanto in tanto a mandare racconti ai
pulps, le riviste popolari.
Che anno è stato! Ero popolare e ricco – in ordine inverso – e immune dal più lieve prurito dell'ambizione...
Volevi sapere dei tori. Bene, in quell'angolo della Spagna – e in quell'angolo di quella città - i tori costituiscono l'intero e unico significato e scopo della vita. Avendo diciassette anni, ed essendo un ricco principe dei
pulp come me, si poteva diventare toreri con il semplice espediente di comprarsi i tori. E così ho fatto. Tutto molto piccolo, molto provinciale, capisci, ma verso la fine, per un paio di volte, sono stato pagato io. Non mi hanno dato quasi niente ma per qualche minuto sono stato un vero professionista; una fifa mortale, naturalmente, ma il più gran divertimento della mia vita.
Eppure, anche con tutte le mie favoleggiate ricchezze yankee, non mi sarei mai convinto a uscire nell'arena, davanti alle corna ricurve di
becerros (torelli) che parevano cattedrali - e davanti a pubblici ipercritici e impazienti, composti di provinciali andalusi esperti di corrida - se davvero ci avessi tenuto.
(...) Quel che mi teneva su, tanto in scena che nell'arena, non era l'assenza di paura, ma l'assenza di ambizione. Non mi prospettavo nessun futuro di gloria, in nessuno dei due casi”.


Orson Welles è sepolto nei pressi di Ronda, nell'hacienda della famiglia Ordòñez. Famiglia di toreri...
La sua tomba non si può visitare. Ci avrei portato un fiore volentieri, perché amo i suoi film come poche cose al mondo. Soprattutto l'Otello e L'infernale Quinlan. Era un genio, Welles, e c'è poco altro da aggiungere a meno di non essere Jean Cocteau.
“Orson Welles è un gigante con la faccia da bambino, un albero pieno di uccelli e di ombre, un cane che ha rotto la catena ed è andato a dormire sul prato in mezzo ai fiori. E' un attivo perdigiorno, un saggio pazzo, una solitudine circondata di umanità”.
E adesso mi piacerebbe pure parlarvi dell'Orson Welles “ossessionato” dal Chisciotte, ma mi fermo, mi fermo, ché la farei troppo lunga...Magari in futuro, magari scrivendo di Terry Gilliam e di Lost in La Mancha.
Ronda è uno splendore, un gioiellino architettonico dove si ritrovano armonizzati perfettamente lo stile tardo gotico e quello mudéjar (nato dopo la Reconquista, ricalca lo stile arabo), il rinascimentale e il barocco, balconi in legno e in ferro battuto, patios ombrosi, viuzze strette, azulejos e secoli di storia.
Cos'altro posso raccontarvi, per restarmene ancora per un po' lontano, col pensiero, dalla signora Seganti e dalle sue squallidissime ossessioni securitarie?
Ah, si... Che in una venta appena fuori Ronda, sulla strada che portava al nostro albergo, io ed E. abbiamo mangiato davvero molto bene.
Si chiama venta una casa di campagna dove, in passato, si poteva sostare per rifocillarsi e dormire (lo faceva pure il Cavaliere della triste figura).
Sono ancora presenti, le ventas, in diverse zone dell'Andalusia. I contadini ci vanno per incontrarsi la sera, dopo aver finito con il lavoro dei campi, a bere una birra insieme, o un bicchiere di vino. In alcune ci si può mangiare: vi danno quello che c'è, roba di casa. Si paga uno scherzo.
Ricordo che la nostra Routard consigliava qualcosa tipo: “fermatevi pure in mezzo alla campagna se, vicino ad un gruppo di case, vedete un cavallo attaccato a un albero”.
Il cavallo che pascolava vicino alla venta c'era davvero, sapete? E pure un gran grigliata che mi aspettava, c'era...
Ecco, per me Ronda è tutte queste cose. Di altre ronde non vorrei sapere.
E vaffanculo a tutti i leghisti del mondo.


(nella foto: Tic nell'arena)

lunedì 13 ottobre 2008

Parole celebri dalle mie parti (n.41)


"Nessuno ha mai perso dei soldi sottovalutando l'intelligenza del pubblico italiano."

(tic)


P.S.
Devo essere onesto con voi: questa mia uscita è stata, ehm, ispirata da quanto ebbe a dire una volta quel simpaticone di P.T. Barnum.
A raccontarvela proprio tutta, io ho solo sostituito la parola 'americano' con 'italiano'...

domenica 12 ottobre 2008

Enrico Morando, un uomo politico responsabile



Enrico Morando è uno del Partito Democratico.
Sentite un po' cosa ha dichiarato a il Giornale, house organ della famiglia Berlusconi.
E uno: "La manifestazione del 25 ottobre non sarà anti-governativa...in questa situazione, dobbiamo incoraggiare e sostenere il governo nello sforzo che sta facendo per fronteggiare l’emergenza".
E due: "Quando ci sono emergenze del genere è inevitabile che l’opinione pubblica si stringa attorno al governo".
E tre: "Quindi la nostra manifestazione del 25 sarà in equilibrio tra queste due esigenze: il sostegno all’iniziativa per far fronte ad una crisi che rischia di avere un forte impatto negativo sull’economia reale. E insieme una nostra grande capacità di mobilitazione per ottenere un cambio di marcia nella politica economica".
Adesso capisco perché Enrico Morando assomiglia così tanto a Gianfranco D'Angelo.

sabato 11 ottobre 2008

Tic schiaccia! (file under: facilissime battute)

Silvio Berlusconi, parlando della crisi finanziaria in atto, sparge ottimismo a destra e a manca e ci invita a confidare nelle sue facoltà premonitive: "Mi considero una mezza strega. Ho un'intima serenità, bisogna mantenere i nervi saldi e non avere paura".

Io invece considero Berlusconi una mezza sega. Sarà mica per questo motivo che un po' di paura ce l'ho?

venerdì 10 ottobre 2008

Serie A


Non voglio scrivere di Cofferati e della sua scelta di non ricandidarsi a sindaco di Bologna.
Non me ne frega niente.
E' solo che il mio quotidiano di riferimento oggi mi ha ricordato che era da tempo che la gestione familiare del Cofferati-papà (papà del bambino Edoardo) cozzava con quella politica del Cofferati-sindaco: i weekend lontani da Bologna del primo cittadino facevano storcere il naso a molti bolognesi.
"Finché l'equilibrio precario crolla - ha scritto Michele Smargiassi su la Repubblica - la domenica in cui il Bologna guadagna la promozione in A ma lui in tribuna non c'è, quel giorno è da qualche parte su un traghetto per portare al mare Edoardo (...). «Speriamo che non prenda troppi traghetti da qui alle elezioni» lo avvisano, preoccupati per una certa «aria ostile» che tira in città, i compagni di partito".
Ma ci rendiamo conto? Cofferati ha perso voti a Bologna perché non è andato al "Dall'Ara" a festeggiare la promozione in A della squadra di casa... Leggasi: non è andato al "Dall'Ara" a fare il pagliaccio in tribuna con una merda di sciarpa al collo.
Ma è roba da matti, pensateci un po' su.
Ma che cazzo di Paese siamo?
Ma vale ancora la pena di crederci, in questo Paese?

giovedì 9 ottobre 2008

Domande impertinenti


In Italia si diventa insegnante di religione (anzi, di “religione cattolica”: perché questo sta scritto sulla pagella di un ragazzino della scuola media) se lo decide un vescovo.
Problema: la direttiva comunitaria del 2000, quella contro la discriminazione, afferma che un lavoratore non può essere discriminato per ragioni “fondate sulla religione”.
In più, la Dichiarazione universale dell'ONU, richiamata dal Trattato di Maastricht e dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo, afferma che bisogna garantire a tutti parità di trattamento a prescindere dalla confessione religiosa.
I radicali hanno fatto presente tutto ciò alla Commissione europea.
Sostengono inoltre che nel nostro Paese ci sia diversità di trattamento tra i professori di religione e quelli delle altre materie: infatti, chi insegna religione (religione cattolica...) se ne può sbattere tranquillamente dei corsi di abilitazione all'insegnamento e pure di quella precarietà che molti insegnanti, in Italia, conoscono bene.
Ad un insegnante di religione (religione cattolica...) basta solo ottenere la nomina del suo vescovo di riferimento...
E ci sarebbe pure dell'altro, da aggiungere, ma fermiamoci qui.
L'Unione Europea non può tollerare, dicono i seguaci di Marco Pannella, tale trattamento privilegiato e pare (pare...) che le loro argomentazioni abbiano fatto breccia, in qualche modo, tra gli odiatissimi (dalla Destra italiana) burocrati (che se non sono massoni, han da essere ebrei senz'altro) di Bruxelles.
Perciò la direzione generale Affari sociali e pari opportunità della Commissione ha chiesto una serie di informazioni al governo italiano.
Titolo di ieri de la Repubblica “Assunti in base alla fede, l'Italia spieghi”.
E voglio proprio vedere, come la spiegheranno.

mercoledì 8 ottobre 2008

Pout-pourri




" - Ma voi moderati cosa siete? conservatori?
- Oibò, siamo noi i veri progressisti.
- E voi progressisti che progressi volete? siete radicali, siete democratici?
- Dio liberi! Anzi siamo noi i veri conservatori.
- Con questi giochi di frasi si fa la politica italiana. E se si viene alle strette, e si domanda loro se sono democratici, tutti e due sono, tutti e due vogliono per sé quella bandiera. E se si pone la questione dei clericali, peggio che peggio; tutti vogliono i preti per sé quando fa comodo, e tutti sono contro i preti.
Come si chiama questo pout-pourri?
Politica italiana! perché non conosco nessun paese, dove sia tale babele. Di che nasce l'equivoco, lo scetticismo, la demolizione de' partiti legali, l'abbassamento de' caratteri, la corruzione degli ordini costituzionali. Il campo rimane così aperto agli avventurieri, fabbricatori di combinazioni politiche almeno una volta al mese, lusingando tutti e ingannando tutti."

(Francesco De Sanctis, 7 ottobre 1877)


Tutto questo per dire che in Italia non cambia mai un cazzo in saecula saeculorum.
Il solito melodramma. La solita commedia dell'arte. Il solito fascismo. La Carrà.
Bella quella sui giochi di frasi della politica, vero?
Beh, sapete, noi, nella città di M., abbiamo un sindaco (un bell'uomo, va detto) che spesso, negli ultimi tempi, se n'è uscito così: "La Sicurezza non è di destra né di sinistra".
Che vorrà mai dire? Mistero!
L'ultima è di oggi.
Dal ponte di comando ci viene fatto sapere che in una dozzina di strade cittadine verrà potenziata l'illuminazione pubblica. Per prevenire le azioni di malintenzionati, atti vandalici e furti. Perché anche l'illuminazione delle strade, orpodibacco, gioca la sua parte nell'ambito dell'operazione-sicurezza: accanto alle telecamere il secondo posto tra le priorità di intervento della nostra amministrazione comunale è legato al miglioramento delle condizioni di visibilità in diverse aree cittadine. Il che, unitamente al decoro urbano e all'aspetto estetico, dovrebbe inevitabilmente produrre un effetto dissuasivo, fondamentale ai fini della prevenzione dei reati. Ma tutto ciò si farà, attenzione attenzione, tenendo debitamente conto del risparmio energetico e della riduzione dell'inquinamento luminoso.
E' stato detto, giuro. Non mi sto inventando nulla.
Come posso chiudere, a 'sto punto? Vediamo...
Ecco. Trovato.



Topolin, Topolin, viva Topolin!
Assomigli a tutti noi, sei furbo e birichin
e perciò noi gridiam, viva Topolin!

Solo tu - Topolin! - puoi capir - Topolin!
i mille e mille sogni di un bambin, ah! ah! ah!

Noi gridiamo in coro, evviva, evviva, urrà, sì, sì!
Topolin, Topolin, viva Topolin!

Che fa sempre divertire i grandi ed i piccin
e perciò noi gridiam, viva Topolin!

Solo tu - Topolin! - puoi capir - Topolin!
i mille e mille sogni di un bambin, ah! ah! ah!

Noi gridiamo in coro, evviva, evviva, urrà, sì, sì!
Topolin, Topolin, viva Topolin!

Su venite a far baldoria insieme a Topolin,
anche noi, come voi, canterem così.
Come noi bambini, tu sei tanto piccolin,
Topolin, Topolin, viva Topolin!


martedì 7 ottobre 2008

Non per soldi... ma per denaro?


"I soldi sono niente, solo Dio è sicuro". Così (parola più, parola meno) papa Ratzinger.
L'otto per mille, allora, non lo volete più?


P.S.
Seeeee, come no...

lunedì 6 ottobre 2008

Stay on the scene, like a sex machine


Un giorno (era San Valentino, la festa degli innamorati...) Hugo Chavez fece alla moglie l'occhiolino in diretta e disse: «Marisabel, mamaìta! Stanotte ti do il tuo!».

Qualche giorno fa il Bokassa del Viagra se n'è uscito così: «Se dormo tre ore, poi ho ancora energia per fare l'amore per altre tre. Vi auguro di arrivare a settant'anni nello stato di forma in cui ci sono arrivato io».
E adesso tutti in coro, su:
Get up, (get on up)
Get up, (get on up)
Get up, (get on up)
Get up, (get on up)
Get up, (get on up)

sabato 4 ottobre 2008

E' passato un anno e manco me ne sono accorto


Pazzesco.
Ieri cadeva il primo anniversario di talkischeap e io non me ne sono ricordato!
Ma checcazzo...
Il mio primo post, dedicato al grande Lele Luzzati, lo pubblicai infatti mercoledì 3 ottobre 2007.
Il secondo e il terzo post arrivarono già il giorno dopo (l'entusiasmo, sapete...): uno per Enrique Vila-Matas (un grande scrittore), l'altro per il povero W. (un piccolo politico. Anzi, per dirla à la Cerami, che di W. è pure amico, un politico piccolo piccolo).
Questo è il post numero 283 e non mi sembra vero: me l'avessero detto un anno fa, che talkischeap sarebbe arrivato a compiere un anno, mica ci avrei creduto.
Nel frattempo son successe tante cose: mi son dimesso dalla carica pubblica che ricoprivo (ed è stata una delle cose migliori che ho fatto in vita mia), sennò col cacchio che avrei potuto vergare (si, insomma, scrivere) ben 283 post in talkischeap; il professor Prodi è caduto (stava nelle cose, che dovesse cadere? E chi se lo ricorda più?); W. ha perso le elezioni e col cacchio che si è dimesso dalla guida del PD; la Sinistra l'Arcobaleno non è entrata in Parlamento (e su 'sta cosa ci ho maramaldeggiato sopra parecchio, al tempo: infame canaglia che non sono altro); Silvio Berlusconi è tornato al governo con tutte le sue carabattole; sarà un caso ma gli italiani sono... Sono... Cosa sono? Un popolo sempre più fratricida, a voler seguire il Saba di Scorciatoie e raccontini? ("Vi siete mai chiesti perché l' Italia non ha avuto in tutta la sua storia - da Roma ad oggi - una sola vera rivoluzione? La risposta - chiave che apre molte porte - è forse la storia d'Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi: Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani... Gli italiani sono l'unico popolo (credo) che abbiano alla base della loro storia (o della loro leggenda) un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia la rivoluzione.").
Forse si, magari è proprio così. Fatto sta che, a proposito del fratricidio, oggi (adesso) mi risuonano in testa (e immaginatevi un po' l'effetto 'grande Pasqua russa': ormai lo sapete, vero?, che il tic ha un sacco di spazio vuotissimo, in testa...) le parole di Antonio Machado: “L'invidia della virtù rese Caino criminale. Gloria a Caino! Oggi è il vizio ciò che si invidia di più”.
Come la mettiamo, allora, povera Italia, poveri noi? Gloria a Caino?
Ma ora basta! Basta parlare di politica, ostia!
Molte altre cose sono accadute.
Intanto talkischeap mi ha riconciliato (a spese vostre. Di voi che mi leggete ogni giorno, intendo. E siete parecchi, a leggermi ogni giorno) con la scrittura. Erano anni che non scrivevo più nulla e arieccomi: maniacalmente citazionista, talvolta leziosetto (sono senz'altro disposto ad ammetterlo), grondante incisi e subordinate. Insomma, mica un cliente facile. Come fate a sopportarmi, gente mia bella gente?
E visto che sto parlando di voi, con voi rimango. Un anno di talkischeap mi ha dato modo di fare amicizia con un sacco di belle persone. Ne nomino qualcuna? Il signor Luciano Comida, il colto bizantino zimisce, xtiana (una che ha ben due blog, e son intriganti entrambi), vladimiro, manfredi (prossimo Pulitzer), marco pierfranceschi (il mammifero bipede), riccardo uccheddu, felson.
Li ringrazio perché passano spesso a trovarmi ma soprattutto per i loro blog (assai più belli del mio).
Con loro ringrazio tutti gli altri: quelli che magari han postato solo una o due volte (come vale, che è giovanissima davvero, marina, melania, medonzo, il mitico Dario Predonzan, offender, mio gemello di nick, rudy m. leonelli a cui è piaciuto il mio post su quello stronzone di Pansa e zauberei che ammazza come scrive, ahò), quelli che mi leggono sempre e non postano mai (come Luciana e Renzo, Alessandro, Massimo), quelli che leggono talkischeap quando se ne ricordano (Dandi, Window Man, Barbie) e infine (but not least) certe mie, ehm, vecchie conoscenze che invece postano eccome. A cominciare da yodosky, ovviamente (sennò chi la sente?). E poi l'uomo tigre, il barone von furz con la gentile baronessa, fabio montale (detto 'il marsigliese calvo', o anche 'il marsigliese dal naso enorme'), lapsuscalami, diogene, carla, lalligatore, l'adespoto (io so chi è. E non lo dico a nessuno).
Adesso magari dovrei provare a farvi capire perché talkischeap esiste...
Ha scritto Marino Niola che qualcuno considera i blog come la versione immateriale dello Speakers' Corner di Hyde Park, un luogo dove chiunque può montare su una cassetta di legno a mo' di palco “e predicare sul mondo in assoluta libertà. Occupando un angolo di spazio pubblico per dire la sua. Quella minuscola cassetta garantisce una sorta di extraterritorialità che consente a ciascuno di dire fino in fondo tutto ciò che pensa”. Tutto molto bello, tutto molto giusto.
Poi Niola ha scritto pure che i blog sarebbero i nuovi luoghi della condivisione pubblica “in un tempo caratterizzato dalla scomparsa progressiva dello spazio pubblico tradizionale: un po' circolo, un po' palcoscenico, un po' salotto, un po' sezione di partito, un po' piazza, un po' caffè”. E mi pare che ci siamo, ma vi rimando in ogni caso ad una recente, interessante riflessione di Marco Pierfranceschi (la trovate qui, http://mammiferobipede.splinder.com/post/18505109/Condividere+parole. Ha un gran blog, Marco. E scrive molto bene).
Insomma, credo di aver messo in piedi talkischeap non solo per erigere un (patetico) monumento a me stesso, al mio snobismo, alla mia intelligenza brillante e alla mia notevolissima cultura (di tutto ciò avete avuto prova, nevvero? E ditemi, orsù, che non ne avete ancora abbastanza: vi supplico!), ma anche perché ritengo che i diari in rete rappresentino (sono sempre parole di Niola) “modi diversi di sentirsi comunità. Non più comunità locali, e localistiche, basate sulla prossimità geografica, residenziale, cittadina, ma su forme inedite di appartenenza”.
We belong together
, cari, come diceva una grande canzone di Rickie Lee Jones: talkischeap serve a condividere qualcosa con persone che, in qualche modo, mi assomigliano. Magari alla lontana, ma mi assomigliano.
Lasciatevi servire



P.S.
Non devo spiegarvi perché ci sono tutti 'sti ritratti di Keith Richards, giusto?

Parole celebri dalle mie parti (n.39)


"Molte oneste persone fanno letteratura... La maggior parte di costoro vanno a letto sapendo o sperando o, piuttosto, essendo certi che si sveglieranno il mattino dopo. E questo mi lascia un pò perplesso. Io vorrei che qualcuno avesse qualche dubbio, sul suo risveglio."

(Gianfranco Contini)

venerdì 3 ottobre 2008

I ciuchini e l'Omino di Burro



Finalmente il carro arrivò: e arrivò senza fare il più piccolo rumore, perché le sue ruote erano fasciate di stoppa e di cenci.
Lo tiravano dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame.
Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati a uso pepe e sale, e altri rigati a grandi strisce gialle e turchine.
Ma la cosa più singolare era questa: che quelle dodici pariglie, ossia quei ventiquattro ciuchini, invece di essere ferrati come tutte le altre bestie da tiro o da soma, avevano in piedi degli stivaletti da uomo di vacchetta bianca.
E il conduttore del carro?...
Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d'un gatto che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa.
Tutti i ragazzi, appena lo vedevano, ne restavano innamorati e facevano a gara nel montare sul suo carro, per essere condotti da lui in quella vera cuccagna conosciuta nella carta geografica col seducente nome di “Paese de' balocchi”.
Difatti il carro era già tutto pieno di ragazzetti fra gli otto e i dodici anni, ammonticchiati gli uni sugli altri, come tante acciughe nella salamoia. Stavano male, stavano pigiati, non potevano quasi respirare: ma nessuno diceva ohi! Nessuno si lamentava. La consolazione di sapere che fra poche ore sarebbero giunti in un paese, dove non c'erano né libri, né scuole, né maestri, li rendeva così contenti e rassegnati, che non sentivano né i disagi, né gli strapazzi, né la fame, né la sete, né il sonno.

Pinocchio è uno dei libri cruciali della nostra storia letteraria.
Un capolavoro assoluto purtroppo inchiodato - non si può dire sempre, ma si può senz'altro dire molto spesso - alla definizione di 'letteratura per ragazzi' (che è comunque una gran bella croce a cui restare inchiodati, niente da dire).
In realtà Pinocchio è anche altro: trattasi infatti di testo a doppio e triplo fondo, che si presta come pochi a interpretazioni le più diverse (ma che bella frase fatta del prispolo! Come sono creativo, oggi, eh? E mò chi mi regge?) e a molteplici approcci critici (uh, mamma mia: sempre più originale! E suona pure parecchio sensuale, quell'approcci: non trovate?) ovvero a essere usato, come tutti i grandi libri (quelli detti anche classici. Secondo Italo Calvino – ma questa l'avrete già sentita, da qualche parte: ne sono certo - il classico è quel libro “che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” e che arriva a noi “portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture” che ha attraversato “o più semplicemente nel linguaggio e nel costume”).
Uno dei critici letterari che ha usato meglio Pinocchio, negli ultimi anni, è stato Alfonso Berardinelli: ne ha fatto una lente di ingrandimento sulla morfologia degli italiani, sul nostro carattere nazionale e sulle nostre tare eterne di popolo bambino.
Ne è uscita un'interpretazione del fenomeno Berlusconi intelligente come poche altre.
La potete trovare in Nel paese dei balocchi. La politica vista da chi non la fa, Donzelli, 2001.
Eccovene un assaggio.


Basta, non si può demonizzare un uomo così perbene come Silvio Berlusconi!
Pacato conduttore e pastore delle anime degli Italiani, lui, cari amici e concittadini, non è il Diavolo. Lui è tutt'altro. E' un personaggio che tutti voi dovreste conoscere bene: è un fondamentale personaggio di Pinocchio, su cui il nostro profeta nazionale impareggiabile, Carlo Collodi, ha già da tempo detto l'essenziale.
Ricordate l'Omino di Burro? Strano nome davvero per uno strano individuo. Sì, l'Omino di Burro è un piccolo uomo come tutti noi, non è un Grand'Uomo. E' comune e normale e medio. Soltanto è più liscio, è più roseo, più calmo, più sicuro, più bello...
Rileggete Pinocchio, cari elettori e concittadini, rileggete quel nostro classico perfetto, che è padre e madre di tutte le favole che si sono viste nel nostro così amato Paese.
Ma soprattutto andate a rileggere con l'occhio reso lucido dalle vicende presenti quel capitolo fondamentale in cui Pinocchio (il Popolo Italiano) viene portato nel Paese dei Balocchi, dove, dopo un paio di mesi beati, si sente spuntare «un bel paio d'orecchie asinine, e diventa un ciuchino, con la coda e tutto».
Bisogna notarlo e osservarlo bene, nella sua faccia, nei suoi gesti e nelle sue parole quel tale Omino di Burro, che conduce tutti nel Luminoso Futuro nel quale i giovani e i disoccupati vanno tutti a lavorare in televisione, si pagano poche tasse, si ride, ci si diverte a vedere sempre partite di calcio, perché lì, in quell'Italia, è sempre domenica, c'è sempre una luce dorata e calda, i gesti sono misurati, e un Grande Capo Buono, un vero Padre del Popolo, veglia su di noi, sia che siamo giovani, sia che siamo vecchi, oppure, come lui, di una mezza età che si promette eterna...
«Che bel paese, che bel paese, che bel paese» l'Italia in cui il dolce Omino di Burro ci porterà se saliamo sul suo carro.
Io non conosco altra storia bella come questa per illuminare le vicende presenti. «Finalmente il carro arrivò», dice Collodi (arrivò il carro di Berlusconi) «e arrivò senza fare il più piccolo rumore». E' esatto anche questo: perché il nuovo Omino di Burro (in ogni momento difficile ne compare uno in Italia, soccorrevole e suadente) è l'Uomo delle Televisioni e delle Partite di calcio: era già fra noi, abitava già stabilmente nell'anima o nell'inconscio di tutti gli italiani, modellati così nel corso di tutto il decennio dorato degli anni ottanta: quando l'Italia inventò il modo (i mille modi) di dare uno Stile alla Volgarità, fino a che nessuno o pochi si sarebbero accorti della differenza fra l'una e l'altra cosa. Così quando il carro dell'Omino di Burro è arrivato nessuno poteva credere che le sue ruote fossero così morbide e «fasciate di stoppa e di cenci» per non allarmare. Imbottiture: anche le ruote per camminare devono essere imbottite e soffici come cuscini.
E questo carro lo tiravano «dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame». E non sono proprio così tutti quei bravi asinelli che stanno aggiogati al Carro di Berlusconi e lo mandano avanti? Grande varietà (Gran Varietà) ma solo apparente: tutti lì legati insieme con la stessa mansione di tirare lo stesso carro: «Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati a uso pepe e sale, e altri rigati a grandi strisce gialle e turchine» (maglie da calciatori? casacche da carcerati?).
Vi sembra un insulto, vi sembra un'esagerazione parlare di persone umane come se fossero degli asinelli? No, cari lettori, non sono asinelli, lo sono diventati. Guardate bene, leggete bene: «Ma la cosa più singolare era questa: che quelle dodici pariglie, ossia quei ventiquattro ciuchini, invece di essere ferrati come tutte le altre bestie da tiro o da soma», no, non erano lavoratori che faticano, erano animali trattati bene, di lusso, perché «avevano ai piedi degli stivaletti da uomo di vacchetta bianca». Ciuchini che tirano un carro. Ma eleganti, con scarpette di lusso, costose e firmate!
(...) E poi c'è Lucignolo, il turbolento Umberto Bossi, il ragazzo indisciplinato, «quella birba di Lucignolo» Bossi. Chi l'avrebbe detto? Basta una promessa dell'Omino di Burro e ogni turbolenza si acquieta: «Appena il carro si fu fermato, l'Omino si volse a Lucignolo e, con mille smorfie e mille maniere gli domandò sorridendo: “Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?”».
«“Pazienza!” replicò Lucignolo “se non c'è posto dentro, io mi adatterò a star seduto su le stanghe del carro”. E spiccato un salto, montò a cavalcioni su le stanghe.»
Come andrà a finire? Anche questo nuovo Omino di Burro si dimostra incredibilmente suadente. Femministe scanzonate, comici cinici, operai che guardano in alto, gente che si prepara a fare il salto e ogni sorta di turbolenti individui improvvisamente ubbidiscono, perdono la testa, si riempiono di un entusiasmo da mutanti, saltano a cavalcioni sulle stanghe del carro. Ma Pinocchio?
Il popolo italiano, che all'inizio sembrava un po' riluttante, alla fine ha trovato irresistibile il richiamo dell'Omino di Burro, è salito sul carro e si è messo in viaggio per il Paese dei Balocchi e dei Miracoli Economici che non finiscono mai.
Gli inviti fatti in coro dal carro strapieno erano troppo insistenti: «Vieni via con noi e staremo allegri, vieni via con noi e staremo allegri». Quando mai un italiano, un vero italiano a simili richiami è riuscito a resistere? Quando la bugia è molto dolce, si prende il dolce e si dimentica che è una bugia.
L'Omino di Burro però non è sempre tenero come appare. Lo si capisce subito. Se succede che ci sia un asinello ribelle o poco disciplinato, possono anche succedere cose poco belle. Niente caos sul carro di Berlusconi, non ci si illuda di fare a modo proprio.
In quel tempo, in un caso di disubbidienza, avvenne questo: «(...) l'Omino non rise. Si accostò pieno di amorevolezza al ciuchino ribelle e, facendo finta di dargli un bacio, gli staccò con un morso la metà dell'orecchio destro».
Attenti, ciuchini ribelli e turbolenti che salite su quel carro o lo tirate. Attenti alle vostre orecchie...




Giorgio Manganelli nel suo Pinocchio: un libro parallelo (magnifica rilettura, diabolicamente rivelatoria dei doppi e tripli fondi del testo di Collodi) se n'era già accorto: l'Omino “per la foggia, la statura pare partecipare della natura vessatoria e astuta dell'adulto, e della indole serpentesca e menzognera dell'infanzia. Costui, per le notturne leggi del male, ha licenza di percorrere una strada infantile e rovinosa, anzi di esercitarvi un potere di corruttore e di perverso educatore. Forse, alle sue spalle, sta un oscuro, occhiuto committente".
E ancora: "l'Omino è l'imprenditore in grande, che raccoglie i ragazzi, li lavora, li trasforma, li porta al mercato a venderli. Secondo ogni verosimiglianza, egli è l'unico fornitore di ciuchi di quel mercato, anche se è detto esplicitamente che egli vende ciuchi dappertutto «su le fiere e sui mercati». Così «era diventato milionario».
E' possibile, a questo punto, sospettare che il Paese dei Balocchi sia stato costruito e venga amministrato dallo stesso Omino".