giovedì 18 settembre 2008

Miseria e nobiltà


Chiedono al Bokassa del Viagra (lo fa un inviato de Le Iene: un suo dipendente, quindi) se egli si senta o meno “antifascista”. La risposta: “Io penso solo a lavorare e a risolvere i problemi degli italiani”.

Il professor Augusto Monti cominciò ad insegnare italiano e latino presso il liceo classico «Massimo D'Azeglio», a Torino, nel 1924.
Aveva alle spalle molti anni di insegnamento in ginnasi e licei di mezza Italia, da Bosa a Chieri, da Reggio Calabria a Brescia.
Al «D'Azeglio», in cattedra, c'erano alcune figure notevoli, professori che lasciavano il segno, come ebbe a dire Norberto Bobbio: ad esempio Zino Zini (che insegnava filosofia, era comunista e aveva collaborato a L'Ordine Nuovo di Gramsci) e Umberto Cosmo (ex redattore de La Stampa ed ex neutralista, che insegnava italiano).
Monti finì ad insegnare nella sezione B (Bobbio era nella A), avendo per allievi Cesare Pavese, Massimo Mila, Giulio Einaudi.
Proprio Massimo Mila ne lasciò un ritratto indimenticabile.

Gli capitavamo tra le mani, dunque, appena emessi dal ginnasio, e lì per lì ci sbigottiva con la severità soldatesca dei modi e la fierezza del cipiglio dietro le lenti spesse da miope: un volto duro, tormentato, scavato da rughe profonde, un volto da “riformatore”, da persona a cui non piace il mondo così com’è, ma non ha nessuna intenzione di limitarsi a deplorazioni e piagnistei, bensì, a questo mondo, è fermamente decisa a cambiar la faccia.
Erano gli anni che le ultime resistenze crollavano davanti al fascismo, e non c’era mattina che prima d’entrare in classe Monti non si fosse letto nel “Corriere della Sera” la sua razione quotidiana di notizie spiacevoli: Matteotti, il 3 gennaio, Amendola, Gobetti, a Torino le leggiadre imprese di De Vecchi e Brandimarte. Ma di queste cose noi non si sapeva nulla; a noi risultava soltanto che il professore d’italiano aveva sempre i nervi.
Guai se sentisse un bisbiglio in classe: certi colpi batteva sulla cattedra, che nessuno capiva come riuscisse a restare impassibile, col male che doveva farsi alle nocche. E se per caso, durante la lezione, avvertiva il rumore d’un temperino che cautamente tagliasse le pagine di un libro ( - Chi poteva immaginare, accidenti! Che avrebbe cominciato dalla fine? -), apriti cielo! Avevi finito di far bene.
Ma la scuola di Monti non tardava ad aprirsi in due settori ben distinti: le ore in cui “interrogava”, ed erano per i più – e pure per lui – l’inferno, che non si sapeva mai cosa diavolo volesse, certe domande ti faceva che nessun libro ne forniva la risposta, e se tu recitavi appuntino la lezione – biografia dell’autore, elenco delle opere e “giudizio”- lui ti ascoltava con una faccia come se gli stessi narrando di sua madre le peggiori infamie, e poi magari ti concedeva il sei, la sospirata sufficienza, ma con un sospiro di sopportazione, che tanto valeva ti dicesse in faccia quello che pensava: che sangue da una rapa non se ne può cavare.
Ma c’erano, e ben più numerose, le ore in cui Monti “spiegava”: ed erano il paradiso. La lezione culminava sempre nella lettura del testo; inquadramento storico, analisi stilistica, commento critico e spiegazione letterale dei passi difficili, tutto era semplicemente un aprire la strada e rimuovere ostacoli, perché avvenisse, alla fine della lezione, l’epifania, perché la lettura facesse la prova del nove di tutto quanto era stato spiegato, e quelle pagine che fino a poco prima t’erano parse magari nient’altro che un noioso vecchiume, si animassero meravigliosamente vive, giovani, ilari, entusiasmanti. (…) Monti a legger Dante, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto, Manzoni: che teatro! Quell’uomo così arcigno, all’aspetto, si faceva presto a scoprire ch’era l’uomo più divertente della terra, e c’era davvero chi, malato, si alzava da letto per non perdere l’ora in cui Monti spiegava e leggeva il settimanale canto di Dante. Quella scoperta dei classici, che in genere si fa per conto proprio dieci, venti, trent’anni dopo la scuola, quando d’essere un arnese di scuola i classici, appunto, hanno cessato, Monti te la faceva far lì, seduta stante, con un insegnamento che ripristinava la vita in tutte quelle cose che la scuola tende a imbalsamare.
Era la scuola della riforma Gentile: analisi estetiche, molto spirito e poca lettera, gran discorrere di “mondo poetico” e pazienza se non sai la data precisa della nascita di Ludovico Ariosto; puoi sempre andartela a vedere sul libro di testo o su un’enciclopedia, ma quell’altro la scuola ti deve apprendere – a leggere l’Ariosto , a gustare l’Orlando e le Satire, l’Ariosto sapere che è - ché se tutto ciò non lo impari direttamente da quelle ottave e da quelle terzine, attraverso la parola del maestro, nessun libro te lo potrà insegnare mai più.
(…) E guai se in classe, nell’ora di italiano, quando “spiegava”, Monti cogliesse qualche sgobbone che, la testa china sul banco, vergando all’impazzata la matita su un foglio, cercasse di quelle meravigliose spiegazioni, di fermare qualcosa per iscritto.
- Cosa fai, tu? cosa scrivi?
- Prendevo appunti…
- Porta qua.
Tric, trac, il foglio lacerato sulla faccia, i pezzi nel cestino, e il solito sermone, duro, severo, che se l’avesse sorpreso a giocare a tre sette col compagno di banco, non sarebbe stato tanto: - Non son cose da imparare a memoria, queste. Apri le orecchie. E il cervello, se l’hai. Poi rileggiti il testo, e ascolta quello che dice. Non c’è altro. Torna a posto. Ed era tutto così, a quella scuola, tutto ottenuto per vie che parevano indirette, e non erano. Tutto la negazione di quella bestialissima, fra le più bestiali invenzioni moderne, che è la propaganda. Idealismo involontario. Antifascismo involontario. In tre anni di quella scuola – e che anni! 1924-1927- mai che da quella cattedra una parola di “politica” si sia sentita cadere, se non fosse la politica del De Monarchia, del Principe, degli Ultimi casi di Romagna. Mai sentito la parola fascismo: Mussolini, De Vecchi, Gobetti, Amendola, Matteotti, nomi che mai si sentirono suonare in quell’aula.
Tu uscivi, da quel liceo, che manco sapevi qual governo ci fosse nel tuo paese. Ma tanti piccoli Bruti, si usciva, tanti odiator di tiranni, e pronti a mordere, ad azzannare, ed abili, alla prima occhiata che si desse fuor del nido, a riconoscere subito il marcio dove stava, e incapaci di chiuderci un occhio e farci l’abitudine. Macché: scomodi, duri, angolosi, tutto prender di petto, compromessi niente, “pensa a’ famiglia” niente, “e chi te lo fa fa” niente.
Di fronte a quei risultati Monti stesso rimaneva esterrefatto e costernato, e quando i suoi pulcini li vide filare, come montoni di Panurgo, chi al confino, chi nelle brigate internazionali di Spagna, chi in galera ( e naturalmente ci tirarono pure lui), si mise le mani nei capelli e cominciava perfino a giustificarsi e a tentare uno scarico di responsabilità.
- Mi dovete dar atto, che io in classe, di politica, mai una parola vi ho detto.
- Ma no; professore! Mai una parola. Cosa le viene in mente? Lei non c’entra. Ci lasci fare. Siamo noi che siamo fatti così.
Combinazione, tutti a quel modo erano fatti, di quell’Atlante, i Ruggeri.

Ragazzi (e poi uomini) straordinari che ebbero Augusto Monti maestro in classe o entrarono in contatto con lui per la sua attività di bibliotecario nel liceo torinese. Oltre a Mila, Einaudi e Pavese, Leone Ginzburg e Vittorio Foa, Norberto Bobbio e Tullio Pinelli.
Con loro il professor Monti si incontrava spesso anche fuori di scuola, per conversare e discutere, confrontarcisi e litigare: in centro a Torino, al caffè Rattazzi, o nelle piole di periferia.
Non volle mai iscriversi al PNF e perciò, nel 1932, temendo di essere cacciato dalla scuola, lasciò l'insegnamento.
Fu arrestato una prima volta nel '34. Il secondo arresto gli valse una condanna a cinque anni di carcere da parte del Tribunale Speciale. Non volle firmare, a 55 anni, una domanda di grazia e andò in galera senza far drammi, con stoica serenità: prima a Regina Coeli, poi a Civitavecchia

Subito dopo il suo arresto un funzionario dell’OVRA, alludendo agli altri arrestati, quasi tutti suoi allievi, gli chiese: “Ma cosa insegnavate, voi, a scuola?”. Rispose: “Ho sempre insegnato ai giovani ad amare e rispettare le idee”. “Ma quali idee?”. E Monti, lapidario: “Le loro idee”.
Quando qualcuno mi chiede che cosa sia, per me, l'antifascismo, io racconto questa storia.

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Bellissimo post, o mio Tic. E dico sul serio stavolta (ah-ah).
Comunque ciò mi invita ad aprire una discussione, di cui accennavo ieri. Ovvero: che me ne frega a me che Berlusconi si dica o meno antifascista, quando my world is crashing beneath my feet?
Che Berlusconi si dichiari o meno antifascista che cosa mi cambia? Conta quello che fa, non quello che è. Io posso anche dire di essere una strafiga biondazza, ma resto sempre una moretta di un metro e sessanta. Quindi: perchè ce ne stiamo a guardarci i piedini mentre il mondo ci frana addosso? Perchè ce ne stiamo a litigare per una caramella che è scaduta nel 1945? Quando riusciremo a discutere di qualcosa di più attuale? Dobbiamo aspettare che tutti i partigiani ed ex- repubblichini (o neanche tanto ex) siano all'altro mondo? Dire che l'antifascismo è un valore mi sta bene. Discuterci su mesi e mesi mentre nel frattempo tutto va in malora, anche no.

Anonimo ha detto...

"L'antifascismo è una questione di aristocrazia, di nobiltà e di stile". Piero Gobetti.

Detto questo, passiamo ad altro.

tic. ha detto...

Noi abitiamo il presente, non il passato.
Ed è vero che la politica può lavorare solo nel presente.

Io non sento il bisogno di discutere di antifascismo (cosa PER ME indiscutibile. In senso letterale) con nessuno.
Il punto è che AL PRESENTE, dei puzzolenti fascistoni insistono a sparare cazzate da puzzolenti fascistoni e a dire canaglierie da puzzolenti fascistoni.
E NON si può non dire nulla.
Non si può fargliela passare. Anche se SI SA - i più avvertiti tra noi SANNO benissimo - che, mentre discutiamo di cose come l'antifascismo, la politica del Bastardone va avanti. Ovvero, mentre noi discutiamo di antifascismo chissà quali porcherie vengono consumate da quel signore che ci governa.

Se poi mi chiedi: l'antifascismo, secondo te, in Italia è attuale? Ti rispondo di si, perché penso che il fascismo, per gli italiani, sia un cromosoma, ovvero un dato antropologico. Piero Gobetti sapeva bene che Mussolini, questo cromosoma, si limitò a battezzarlo.
Il fascismo non è solo il 'regime fascista' dalla marcia su Roma al disastro. Per molti nostri connazionali è una forma mentis.

"Il fascismo in Italia è un'indicazione di infanzia perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell'entusiasmo. Si può ragionare del ministero Mussolini come di un fatto d'ordinaria amministrazione. Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l'autobiografia della nazione" (Piero Gobetti, Elogio della ghigliottina).

Il trionfo della facilità (della semplificazione), della fiducia (ci pensa Silvio nostro, ci pensa), dell'entusiasmo (se lo lasciano lavorare, a Silvio nostro, l'Italia diventa il più ricco Paese del mondo e tutti ci invidieranno e anzi già ci invidiano un capo come Silvio nostro. E la gente - la brava gente, non i fannulloni della sinistra - lo capisce benissimo: non vedete che sondaggi?).

Siamo un popolo bambino, e il nostro omino di burro (son debitore dell'immagine a Collodi e ad un bellissimo articolo di Alfonso Berardinelli che, sooner or later, pubblicherò in talkischeap)ci porterà tutti al Paese dei balocchi.

Il fascismo: un indicazione di infanzia.
Ti suona niente, my dear wife?

tic. ha detto...

P.S.
Noto con piacere che pure il nostro filosofo cita Gobetti.
Giuro che non ci siamo telefonati.
Capisci, cara, di che pasta siamo fatti?

Anonimo ha detto...

Manca l'apostrofo, ingnoranton.
Comunque facendo dichiarare a S. di essere antifascista gli si impedisce di lavorare?
Come detto, non penso che ricordare fascismo e antif. sia una perdita di tempo, anzi. Ma che dipenda tutto da quello...
Forse è anche per tale incapacità di guardare più in là dei piedini che siamo ridotti in tale stato? Farci un esamuccio di coscienza e pensare che forse ci sono cose più urgenti su cui dibattere?

Anonimo ha detto...

Fra parentesi, che ci fai a casa a quest'ora?

Ah, Brunetta Brunetta! Io ti invoco!

tic. ha detto...

"Facendo dichiarare a S. di essere antifascista gli si impedisce di lavorare?".

Naturalmente no.

"Forse è anche per tale incapacità di guardare più in là dei piedini che siamo ridotti in tale stato?".

Ci siamo ridotti in tale stato perché un sacco di gente, a sinistra, si vergogna di essere di sinistra perché esserre di sinistra non fa fico come essere di destra.
Esagero?
Forse che si, forse che no.
Pensa solo a come tantissimi di noi son disposti a togliersi il cappello davanti a capitalsti (all'italiana: ovvero poca roba, bottegai del cazzo, generalmente ignoranti come capre. Gente abituata a rischiare sempre e solo coi soldi nostri e col paracadute ma che però SI PENSA internazionale. E MIMA il resto del mondo, che di questi tempi, tra l'altro, non mi pare passarsela granché bene, tra la finanza e l'industria. Quindi, oltre a non valere nulla, come capitalisti, prendono pure per il culo tutti noi, ex comunisti compresi) e preti.

Dico innanzitutto degli ex piccisti perché gli esempi più significativi di pidocchi rifatti, nella sinistra italiana, sono gli ex piccisti.
Gente che per essere à la page si è dimostrata disposta ad inseguire ogni moda culturale, ogni sondaggio del cazzo, ogni stormir di fronde della società dell'immagine, ma che non è più in grado di leggere la realtà.
E non è più in grado di farlo perché manca di profondità. E di memoria. E di cultura. Adesso però può entrare nei salotti buoni. Che culo, eh?

"Siamo ridotti in tale stato", inoltre, perché molti di noi hanno perso la capacità di indignarsi.

Su quelli di estrema sinistra taccio, perché non voglio infierire.

Anonimo ha detto...

Due giorni fa ho gridato al fotografo del Piccolo, da un marciapiede all'altro di via fratelli Rosselli, alla sua provocazione "Il problema di voi di sinistra è che fate santo ogni farabutto", "Il problema di voi di destra è che siete ignoranti".
Perchè dovrei invidiarli? I ricchi sono solo poveri che hanno i soldi, dice Gabriel Garcia Marquez. Proprio per questo, però, per questa mia-non invidia, vorrei che la sinistra si dimostrasse più sinistra nel presente, oltre che nel passato. Difficile, lo so, ma caspita...se non lo sapete fare voi...

Anonimo ha detto...

Non vorrei intromettermi in una questione "personale", ma oltre ad apprezzare moltissimo il post in questione trovo che sfiori solo marginalmente il "signor B." e le sue reticenze.
Che si proclami o meno antifascista poco cambia, contano i fatti, e quelli sono espliciti.
Ti dirò che, paradossalmente, se si definisse antifascista probabilmente mi farebbe infuriare ancora di più.
Almeno, a glissare, appare incidentalmente perfino più onesto del solito...

Il ritratto del professor Monti, concordo, è indimenticabile.
Peccato non averne di più, di professori così.
L'antidoto al fascismo è, obiettivamente, la cultura, strumento negletto ed ultimamente in declino, di pari passo con la facile ricchezza prodotta dai combustibili fossili.
Come scrivevo altrove, in un'economia povera avere un briciolo di cervello, saperi e competenze, ha ancora un valore. In un'economia ricca l'intelligenza viene mortificata ed appiattita.

Sul fatto che "essere di sinistra non fa fico"... ci devo pensare.
Se davvero "facesse fico", staremmo meglio?
Sarà che non riesco a considerare il concetto di "fico" tra le mie categorie di pensiero, o tra quelle della sinistra... non so.
continuo a ritenere che il problema principale della sinistra sia l'aver perso il senso di sé.
Storicamente la sinistra nasce per liberare dalla schiavitù, dalla povertà e dall'asservimento le classi subalterne, il proletariato. Di fatto, però, ormai il proletariato vero dobbiamo andarlo a cercare nel terzo mondo, o qui fra gli immigrati (che però sono polverizzati tra mille etnie e nemmeno possono votare). Gli italiani sono ormai un popolo borghese, tutti, chi più chi meno. Ugualmente appiattiti sui modelli calati dall'alto, sul successo, sull'eleganza, sulla bellezza, sulla macchina nuova, la tv satellitare, il cellulare di ultima generazione.
Il problema dei comunisti, dei proletari di inizio secolo, era sbarcare il lunario, riempirsi la pancia, dare un'istruzione ai figli.
Il problema di oggi è riuscire a sentirsi "fichi", ad apparire "fichi".
E' ovvio che c'è un abisso.

In questa società, in questa (non)cultura, strategicamente conviene essere dei pirla.
Chi legge troppo, chi studia, chi si informa... sta peggio!
Si rode il fegato, si arrabbia, si fa il sangue amaro.
Guarda noi!
:-/

Anonimo ha detto...

A destra ci sono uomini giusti per idee sbagliate.
A sinistra ci sono uomini sbagliati per idee giuste.
V.

p.s.
essere antifasciti è assolutamente attuale, perchè il cromosoma F. degli italiani è assolutamente attuale.

Anonimo ha detto...

Per mammifero bipede: non esistono questioni "personali" in questo blog, non ti preoccupare. Qua si vive sempre sotto i riflettori...

tic. ha detto...

Ogni tanto ai visitatori di talkischeap capita di finire in mezzo ai siparietti tra me e mia moglie.
Abbiate pazienza, vi prego.
Abbiate pazienza...

Zimisce ha detto...

Leggi l'ultima chicca dell'amico Pansa sull'Espresso di questa settimana! Non la smette più di sbrodolare.

tic. ha detto...

Letto, letto.

Si incazza con Fini perché ha detto che AN è antifascista.
Gli dispiace porprio un casino, al faccia da culo.
Perciò si appella "alle centinaia di migliaia di italiani onesti che respingono l'antifascismo obbligatorio che Fini vuole imporgli".
E scrive: "Penso che il Presidente della Camera avrà dei grossi problemi con i propri elettori".
Traduzione: mi auguro di cuore che Fini ce li abbia, i grossi problemi con i suoi elettori: così impara, brutto venduto di merda!

Il signor Pansa,a sinistra, è odiato come pochi esseri viventi al mondo.
Io non credo gliene importi qualcosa (con la denigrazione dell'antifascismo, 'sto tizio, c'ha fatto dei bei soldini), ma lui dice che invece si.
Facciamo finta per un attimo di prenderlo sul serio.
Ora: ma davvero si aspetta da noi qualcosa di diverso dal disprezzo, uno che scrive merdate simili?

Anonimo ha detto...

@ Vladimiro
A destra ci sono uomini giusti per idee sbagliate.
A me non è che sembrino poi tanto giusti, almeno la maggior parte... (BondiSchifaniDellutriPrevitiGasparriecceccecc...)
E comunque non credo che con le generalizzazioni si vada lontano.

@ Yodosky e Tic
Tra moglie e marito consigliano di... :-)

Zimisce ha detto...

E disprezzo è tutto quello che ha.