giovedì 19 giugno 2008

Democratici




Chissà se Obama...
Chissà.
Se vincerà forse...
Forse.
Trovo che poche battute siano state, su un piano politico, più sceme (e pericolose) di quella, purtroppo famosissima e quindi citatissima, di Margaret Thatcher per cui la società non esiste, esistono solo gli individui.
Beh, per quanto io voglia un sacco di bene all'individuo, insisto a pensare che la società esiste eccome.
Il pensiero liberale arriva a giustificare le diseguaglianze in quanto prodotto dei meriti di ciascuno, delle capacità e dell'impegno individuale: e tutto ciò a me sta bene, lo sapete.
Però gli altri esistono, ostia, e io credo dipenda solo da noi, da una nostra libera scelta, riconoscerli.
E magari provare (provare...) ad immaginare la loro esistenza.
Thomas Mann sosteneva che l'etica nasce, semplicemente, dal “presentimento del tu” e dunque ha bisogno di un esercizio immaginativo.
La signora Thatcher si fermava all'individuo perché, evidentemente, non aveva voglia di immaginarsi proprio niente e nessuno.
Se Obama vincerà, chissà...
I legami che noi europei abbiamo con gli Stati Uniti d'America, piaccia o non piaccia (e a me piace, pure questo sapete), non li abbiamo con nessun altro Paese al mondo. Nel bene come nel male.
Se Obama vincerà, forse...
Forse andrà fuori corso, negli States, la moneta cattiva che ha scacciato quella buona. E pian pianino magari pure dalle nostre parti, in Europa e soprattutto nell'Italietta, dove assorbiamo, assorbiamo, assorbiamo sempre tutto quello che proviene da oltreoceano...
Per moneta cattiva intendo l'ultraliberismo, le teorie di Milton Friedman, la meravigliosa scoperta della supply side economics, i tagli alle tasse per distruggere il settore pubblico e colpire a morte quelle politiche che venivano definite da qualcuno, simpaticamente, "collettiviste” nonché, dulcis in fundo, quella cazzo di curva di Laffer in base alla quale alla riduzione del peso fiscale corrisponderebbe (magia, magia!) un incremento del gettito.

E la cosa terribile (terribile soprattutto perché paradossale) è che l'egemonia culturale di questa barbarie è stata raggiunta dalla destra americana conquistando il consenso di elettori le cui vite venivano in realtà messe fortemente a rischio dalla sua azione politica: Ronald Reagan riuscì a convincere quote consistenti della piccola e media borghesia bianca ad abbandonare il proprio tradizionale voto per i democratici investendo politicamente sulla guerra fra poveri, cioè lasciando intendere che il welfare state serviva soprattutto ad aiutare fasce sociali (i neri, gli immigrati) che erano in diretta concorrenza con le classi bianche meno ricche.
Se Obama vincerà, magari...
Magari tornerà egemonica, negli Stati Uniti d'America (e da noi, di conseguenza), l'idea che ci sono grandi bisogni pubblici (come l'educazione e la salute) che non dovrebbero mai essere trascurati e depauperati in nome del mercato (di un mercato a cui i suoi corifei più ispirati attribuiscono quasi una sorta di potenza magica), pena l'abbruttimento e la decadenza, etica prima che economica, dell'intera società.
E a questo punto mi rendo conto che devo un po' alleggerire, sennò chi mi regge?
Perciò cercherò di finire in gloria...

Scrivendo, mi è venuto in mente quel liberal di straordinaria caratura che fu John Kenneth Galbraith. Conoscete, spero. Un grandissimo economista che operò da consigliere di Franklin Delano Roosevelt, di John Fitzgerald Kennedy e, se non ricordo male, pure del vispo presidente Clinton.
Galbraith era uno a cui piaceva un sacco tirare sassi in piccionaia e demolire miti.

Una delle sue bestie nere era il mito della sovranità del consumatore: sapeva benissimo, il nostro, che quando i bisogni più naturali e urgenti sono soddisfatti, i consumatori tendono a perdere del tutto il controllo della loro domanda per mettersi, senza timori di sorta, nelle mani dei produttori. E sapeva pure che i produttori sono sempre in grado di manipolarla alla grande, la domanda, ad esempio attraverso la pubblicità: perciò, ed era questo che lo faceva imbufalire di più, molto spesso (troppo spesso...) la ricchezza di una società viene trattenuta nella sfera di bisogni privati assai futili e fatui, con il rischio che quanto è pubblico sia invece trascurato e lasciato andare a ramengo.
John Kenneth Galbraith considerava particolarmente disdicevole che tra le classi dirigenti del suo Paese d'elezione (lui era canadese, ma naturalizzato statunitense) avesse corso legale certa retorica manageriale d'accatto: è rimasta proverbiale la sua allergia per l'uso e l'abuso, nel discorso politico, di quell'espressione, “Azienda America” (vi suona qualcosa?), che on his opinion serviva solamente a mettere in circolo nella società la tossina dell'equivalenza tra il business e la democrazia.
Non si faceva particolari problemi, il nostro: era sempre molto duro ed aggressivo con quell'establishment U.S.A. di cui in ogni caso faceva parte a pieno titolo.
E l'establishment lo ricambiava. Con tutto il cuore.
Si racconta che, durante un ricevimento, una signora cui Galbraith fu presentato finse di non capire il suo nome, se lo fece ripetere un paio di volte e poi disse: “John Kenneth Galbraith... Deve essere imbarazzante per Lei andare in giro con quel nome. Somiglia a quello di quel gran figlio di puttana che lavora per Kennedy”.


9 commenti:

marina ha detto...

invece di sforzarmi per mettere un commento intelligente metterò la prima osservazione che mi è balzata addosso: INCREDIBILE sguardo di Thomas Mann!
non avevo mai visto quella foto
GRAZIE!
marina

Anonimo ha detto...

A proposito di Galbraith anch'io ho un aneddoto.
Il presidente Kennedy (vispo come Clinton, ma di gusti superiori)chiese all'economista di assumere il ruolo di segretario di stato, Galbraith gli rispose che proprio non poteva perchè non era cittadino statunitense ma canadese. E canadese rimase per il resto della vita.
God bless America.

tic. ha detto...

Prego, Marina.
Felice di riaverti qui.



A quanto ne so io, caro filosofo, Galbraith era naturalizzato statunitense.
Wikipedia dice dal 1937.
E' sicuro, lei, di 'sta storia della cittadinanza?
Bell'aneddoto pure il suo, in any case.

In ogni caso, la vita accademica e quella politica di Galbraith furono tutte americane.
Insegnò praticamente sempre negli States, a quanto ne so.

In ogni caso, era canadese come lo sono Neil Young, Joni Mitchell e Leonard Cohen.

God (che col cacchio che esiste), comunque, bless America.
Sempre.

Anonimo ha detto...

Bellissimo post.
Uno di quei casi (e sui blog mi capitano spesso) in cui mi dico: "Squisquillie e pinzillacchere! Ma che bella gente che circola per il web...Mica come quegli imbecilli imbellettati che mi sbucavano dal televisore quando lo accendevo per guardar altro oltre alle partite di pallone!"
Aggiungo una sola cosa: sai cosa mi ha insegnato a capire che esistono anche gli altri e non solo io? E che l'unica etica possibile e giusta è quella che parte dal "tu"?
L'ho appreso leggendo fumetti e romanzi (anche di pessima qualità) e guardando film. E sempre mi immedesimavo nei personaggi che, volta per volta, decidevo di diventare. Così alla lunga ho cominciato a provare sulla mia pelle un sentimento e un valore immenso come l'empatia. E non si può essere di destra o thatcheriani o buschiani o talabani o torquemadiani o stalinisti se si prova l'empatia verso i nostri simili.
E allora una delle possibili chiavi per il progresso reale dell'umanità è (paradossalmente) la finzione, la letteratura, il cinema, il teatro, l'immaginazione, il gioco. Tutte cose non a caso detestate dalle dittature.
http://lucianoidefix.typepad.com/

tic. ha detto...

Grazie, Lucià...

Adespoto ha detto...

Grande incognita quella di Obama. Soprattutto elettorale.
Si tratta di un passionale, abile con la retorica, ma non è detto che basti.
L'America che decide i confronti presidenziali non è quella delle vetrine televisive di NY e LA, ma quella degli anziani della Florida e dei bianchi operai del Michigan.

Comunque ha un avversario il cui nome dice tutto...

Zimisce ha detto...

Sacrosanto il discorso sull'empatia. Proprio mentre l'antietica a la Margaret va sempre più per la maggiore...

Comunque gran bel post mastro Tic. Anche da non liberale, ho molto apprezzato.

Soprattutto l'atteggiamento critico verso alcuni dogmi del cosiddetto "riformismo" moderno che, come giustamente fai notare, nascono da ambienti di destra (credo che mister Antonio Blair abbia delle responsabilità in questa trasmutazione da apprendista stregone).

Ahimè non nutro le stesse speranze per il futuro, spero di sbagliarmi...

God burn America in Hell, Ex Oriente Lux!
heheheheh

tic. ha detto...

"God burn America in Hell, Ex Oriente Lux!"?????????!!!!!????

ANATEMA! ANATEMA!

Comunque, sai...
Riformismo non significa un prispolo di niente se non ci metti vicino uno straccio di aggettivo.

E attorno a noi c'è un sacco di gente che si frigge il cervello con mode culturali sempre più imbecilli.

P.S.
Io sono letteralmente imbevuto di America, in effetti. Si nota tanto?

Zimisce ha detto...

hehehhe

meno male che ci sono i modaioli imbecilli: danno da scrivere a noi male lingue!

e comunque sì, traspariva leggermente la tua americanità ;)