E' in uscita, per minimum fax, una nuova edizione de La solitudine del maratoneta, di Alan Sillitoe.
Ne avevo già parlato, in talkischeap (http://tic-talkischeap.blogspot.com/2007/10/proposito-di-canzoni-e-di-maratoneti.html). Era l'ottobre del 2007. Il mio quindicesimo post (o giù di lì...).
Ricordo che qualcuno, al tempo, mi chiese perché caspita avessi mai scritto di Tom Courtenay, di Tony Richardson e di Alan Sillitoe.
Io lo capii una decina di giorni dopo, il perché. Nel momento in cui decisi anch'io di smettere di correre (e di chiudere, in questo modo, una lunga pagina della mia vita).
Ne avevo già parlato, in talkischeap (http://tic-talkischeap.blogspot.com/2007/10/proposito-di-canzoni-e-di-maratoneti.html). Era l'ottobre del 2007. Il mio quindicesimo post (o giù di lì...).
Ricordo che qualcuno, al tempo, mi chiese perché caspita avessi mai scritto di Tom Courtenay, di Tony Richardson e di Alan Sillitoe.
Io lo capii una decina di giorni dopo, il perché. Nel momento in cui decisi anch'io di smettere di correre (e di chiudere, in questo modo, una lunga pagina della mia vita).
Il corridore alle mie spalle doveva essere molto lontano perché era tutto così tranquillo, e c'era persino meno rumore e movimento che alle cinque di un gelido mattino d'inverno. Non era facile capire, e tutto ciò che sapevo era che dovevi correre, correre, correre, senza sapere perché correvi, ma via che andavi attraverso campi che non capivi e dentro boschi che ti mettevano paura, scavalcando colline senza sapere che eri salito e disceso, e saltando ruscelli che t'avrebbero gelato il cuore se ci fossi caduto dentro. E il traguardo d'arrivo non era la fine, anche se la folla t'avrebbe accolto con applausi, perché dovevi continuare a correre prima di riprender fiato, e l'unica volta in cui ti fermavi sul serio era quando inciampavi in un tronco d'albero e ti rompevi l'osso del collo oppure cadevi in un pozzo abbandonato per giacere in eterno nelle sue buie viscere. Allora pensai: no, non mi lascio mettere nel sacco da questa presa in giro della gara, questo correre e cercare di vincere, questo trottare per un pezzo di nastro azzurro, perché non è questo il modo di tirare avanti, per quanto loro spergiurino che lo è. Non dovresti preoccuparti di nulla e andare dritto per la tua strada, non lungo un percorso segnato apposta per te da gente che tiene in mano una caraffa d'acqua e una bottiglia di tintura di iodio nel caso tu cada e ti tagli per poterti raccattare – anche se vuoi restare dove sei – e rimetterti in moto.
(da La solitudine del maratoneta, Einaudi, Torino, 1981, pp. 52-53).
(da La solitudine del maratoneta, Einaudi, Torino, 1981, pp. 52-53).
5 commenti:
Mai letto A PERDIFIATO di Mauro Covacich?
Mai letto niente di Covacich, Lucià...
La roba che mi a impazzire è la prefazione di Giordano. Che ormai viene chiamato in causa ogni volta che si parla di solitudine. L'Allevi della letteratura.
Mi domando a quando il suo commento a "Cent'anni di solitudine". "Solitudine" di Saba. "La chiesa della solitudine". "Il pozzo della solitudine". "L'invenzione della solitudine". "La solitudine del manager". "La solitudine del satiro".
Per finire con "Le dieci regole della donna single: valorizzare l'indipendenza e la solitudine per goderne appieno i vantaggi", edizioni Armenia.
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