domenica 4 novembre 2007

A rest stop for rare individuals

Una volta The New York Times Book Review scrisse che il Chelsea Hotel si poteva considerare “uno dei pochi luoghi civilizzati” della città che non dorme mai, “se per civiltà si intende la libertà dello spirito, la tolleranza delle diversità, la creatività e l'arte". Il motto dell'albergo suonava così: “A rest stop for rare individuals”. E la sua lapidaria perentorietà ci stava proprio tutta.
Scorrere l'elenco degli ospiti del Chelsea Hotel significa passare in rassegna un secolo di arte. E non solo di arte americana. Ci visse Mark Twain. O. Henry vi abitò per anni registrandosi, ogni notte, sotto nomi differenti. Edgar Lee Masters vi scrisse 18 libri di poesie. Si racconta che Sarah Bernardt, quando scendeva all'albergo, si portava appresso lenzuola e coperte di sua proprietà. Al Chelsea Arthur Miller, che vi abitò per circa sei anni, scrisse “After the fall”. Una volta disse che quel luogo non apparteneva all'America. “This hotel does not belong to America. There are no vacuum cleaners, no rules and shame...it's the high spot of the surreal. (...) I witnessed how a new time, the sixties, stumbled into the Chelsea with young, bloodshot eyes” (Non ci sono addetti alle pulizie sciocchi, non ci sono regole e imbarazzo... E' il punto più alto del surreale. (...) Io fui testimone di come una nuova epoca, gli anni Sessanta, con i suoi occhi giovani e arrossati, inciampò nel Chelsea)”.
Fu lì che William Burroughs scrisse «Il pasto nudo». Nell'albergo passarono Jackson Pollock, Brendan Behan, Harry Smith (che proprio al Chelsea Hotel cucì insieme le migliaia di nastri della sua incredibile «Anthology of American Folk Music», pubblicata nel 1952 dalla Folkways Records, libro di testo sapienziale per generazioni di musicisti americani, da Dylan a John Fahey passando per la Band, Ry Cooder, Jerry Garcia e centinaia di altri fino ai nostri giorni), le stelle della corte di Andy Warhol - Edie Sedgwick, Viva, Ultra Violet, Candy Darling – che furono immortalate dal padre della pop art nel film Chelsea Girls del 1966.




E ancora: Sartre con Simone de Beauvoir, Jack Kerouac, Tom Wolfe, Gore Vidal. All'ingresso dell'hotel una targa ricorda un altro dei suoi famosi inquilini: «Dylan Thomas visse e soffrì qui... e da qui salpò verso la morte». Nella stanza 205 buttò giù diciotto whisky, prima del coma.
A metà degli anni Settanta, Patti Smith e Robert Mapplethorpe vissero il loro amore impossibile tra le pareti di una delle stanze del Chelsea.
Nella numero 100 Sid Vicious, bassista dei Sex Pistols, uccise la sua fidanzata Nancy Spungen. Una storia d'amore finita, ahi ahi ahi, malissimo, a differenza di quella che, negli anni Sessanta, unì per poche notti soltanto Leonard Cohen e Janis Joplin e alla quale il cantautore canadese dedicò Chelsea Hotel n. 2. E infine, parlando d' amore, c'è Bob Dylan (poteva mancare una citazione per il signor Zimmerman, nel blog del tic?) che sul letto della suite principale del Chelsea scrisse una delle sue più belle canzoni, Sad eyed lady of the Lowlands, dedicata alla sua prima moglie Sara Lowndes. Una cosa bella da togliere il fiato: occupa tutta l'ultima facciata di Blonde on blonde, il suo disco doppio del 1966. E non fu l'unica canzone ad essere composta al Chelsea: cito giusto Chelsea Morning di Joni Mitchell (che indirettamente ha dato il nome a Chelsea Clinton), Third Week in the Chelsea dei Jefferson Airplane, e Like a Drug I Never Did Before di Joey Ramone.
Un luogo mitico, insomma. E non solo a New York. Sul Chelsea Hotel, però, nel giugno scorso è calato il sipario. Fino a giugno, e per decenni, l'edificio era stato gestito dai membri della famiglia Bard. Pronti a far credito a tutti in cambio di un pizzico di creatività (a volte chiedevano, a chi non poteva pagare, un'opera d'arte prima della partenza). Stanley Bard, direttore per quasi quarant'anni, collezionava ogni libro che fosse stato scritto nell'albergo.
Adesso, i Bard sono stati messi da parte dal consiglio di amministrazione, che ha affidato il timone dell'hotel a un team reduce dalle ristrutturazioni di tre alberghi extralusso di Manhattan, il Chambers, il Maritime e il Bowery Hotel: alberghi di divi, modelle e stilisti.

Il Chelsea Hotel venne costruito nel 1883 con dodici piani di appartamenti per 40 famiglie (la prima coop di Manhattan) e rimase fino al 1902 l'edificio più alto di New York. Nel 1905 divenne un hotel per clienti a lungo termine, e da allora fu "una specie di Torre di Babele della creatività e delle cattive abitudini” che “alcuni dei cervelli più sballati e autodistruttivi del mondo, almeno una volta, hanno chiamato 'casa'". Così The International Herald Tribune.



Chissà se in futuro ci sarà ancora qualcuno che chiamerà 'casa' il Chelsea Hotel.

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