Un amico del mio amico Kyuzo ha dato un'occhiata al mio povero blog e ha osservato che si chiama come un disco di Keith Richards uscito nell'ormai lontano 1988 (e sticazzi, avevo vent'anni, avevo... E pare ieri, pare... E ad ottobre del prossimo anno saranno vent'anni esatti. E io, ad ottobre del prossimo anno, di anni ne avrò da poco compiuti quaranta se la matematica non è l'opinione che ho sempre sperato dovrebbe essere).
Ebbene, si: ho chiamato il mio blog come il primo disco da solista del chitarrista degli Stones. Perché l'ho fatto? Perché amo il rock'n'roll, ovviamente, e penso che se esiste un posto dove si può capire cosa sia (stato?) il rock'n'roll, questo posto si trovi da qualche parte tra i solchi di Exile on Main Street, che forse non sarà il più bel disco dei Rolling Stones (ma proprio forse...), ma è senz'altro quello su cui Keith Richards meglio ha saputo lasciare la propria impronta di supremo stilista delle dodici battute del blues. Il disco più suo, insomma. Che altro dire? Che Exile on Main Street è il disco più “sudista” degli Stones? Diciamolo. E insomma, se non l'avete mai ascoltato, fatelo. Ve ne renderete conto da soli (se tutto in voi – ma proprio tutto: a partire dal cuore – funziona a dovere. E se per il rock'n'roll avete una qualche inclinazione, beninteso...).
Che altro dire?
1 - Che AMO il modo in cui questo figlio di puttana caracolla su un palco piegato in due sulla sua chitarra.
Che altro dire?
1 - Che AMO il modo in cui questo figlio di puttana caracolla su un palco piegato in due sulla sua chitarra.
2 - Che ho sempre presente un vecchio articolo del MUCCHIO (febbraio '85) in cui il direttore Stefani in persona raccontava del passaggio di questo gentiluomo a Venezia e a Roma nel novembre del 1984. Richards aveva quarantun anni, anche se ne dimostrava almeno dieci di più, ed era il luna di miele in compagnia della moglie, Patti Hansen (una gran bella donna, per come me la ricordo in E tutti risero di Peter Bogdanovich dove interpretava una tassista), incinta di tre mesi. Sentite un po': “E' affabile, alla mano. Non gira con le guardie del corpo e non fa resistenza quando gli si porta un disco da autografare. Ascolta soltanto (udite! udite!) del vecchio blues: Muddy Waters, Robert Johnson, Buddy Guy, Charlie Patton. Chuck Berry è una delle poche concessioni al moderno. Ed è su questa musica che spesso si mette ad improvvisare con la chitarra acustica. (...) E' sempre circondato da un codazzo di persone. Se ne rende conto e lo accetta con filosofia. Quando la gente (portieri d'albergo, ristoranti, amici di amici) lo invita e si genuflette, se ne apprezza lo humor e la semplicità allorché afferma di sapere che se non fosse così ricco e famoso lo caccerebbero a calci in culo come l'ultimo degli straccioni. Lascia mance di 20.000 lire a chi gli chiama un taxi ma poi manda a farsi un giro ('to fuck off' in inglese) chi si fa troppo insistente. Spende senza limiti anche perché, curiosamente, più soldi spende e meno tasse paga. Dice che nella vita i quattrini non son tutto, che gli sono volati dalle mani e che avrà speso (beato lui!) in stupidaggini svariati milioni di dollari. Eppure, continua ad andare in jeans rotti e stivaletti bucati”.
3 – Che ricordo questo passo di un articolo di Bill Flanagan pubblicato da MUSICIAN nel 1986. Racconta di un incontro avvenuto a quel tempo tra un rocker amatissimo da Comunione e Liberazione, tal Bono Vox, e Keith Richards.
BONO: Sono un gran chiacchierone. La gente dice che ho molta facilità di parola. Keith non parla molto, preferisce suonare la chitarra, il piano o cantare canzoni country&western, vecchi pezzi di Buddy Holly e il blues. Questo è il suo linguaggio: il rock'n'roll è il suo discorso d'amore. Riusciva a parlarmi attraverso le sue canzoni ed io non potevo rispondergli perché non ho un background musicale. La mia collezione di dischi parte da 'Horses' di Patti Smith. Gli U2 sono cresciuti mandando affanculo il blues. Ogni singola bar band a Dublino suonava le proprie versioni dei vecchi brani e gli U2 hanno sempre cercato di fuggire da quegli ambienti. Ma quella notte Keith Richards batteva le sue mani sui tasti del pianoforte e cantava quei pezzi. Poi smise e cominciò a guardarmi come per dirmi: “Adesso suona tu le tue canzoni”. E io non avevo canzoni da suonare.
RICHARDS: Credo che Bono non avesse mai ascoltato del blues prima di quella notte. La sua collezione di dischi inizia dal 1976! Gli dissi: “Ragazzo, forse possiamo farti sentire qualcosa di nuovo”.
BONO: Quando uscii fuori ero distrutto per la mia incapacità di mettere le mani dentro la borsa e tirare fuori qualche canzone.
Annotò Bill Flanagan: “Ispirato da quella musica, Bono si rintanò in albergo e rimuginò sopra il blues, i neri e l'apartheid. Fu così che nacque Silver and Gold, una melodia blues che registrò insieme a Keith e Woody, il giorno seguente”. Una delle cose migliori degli U2, per chi scrive. In coda, sentite ancora Bono: “Ho un problema. Stiamo scrivendo canzoni per il nostro prossimo album. Nel frattempo ho comprato quei vecchi dischi di Robert Johnson e ora scrivo dei brani che non capisco proprio da dove provengano. Non sono canzoni che gli U2 potrebbero fare. Hanno titoli come Wake up, Dead Man o Devil's In The House Tonight. E allora mi chiedo: cosa sta succedendo nella mia vita artistica?”. Niente, Bono stava semplicemente per incidere il disco più bello (e più americano) della sua band, The Joshua Tree. E, no: Wake up, Dead Man e Devil's In The House Tonight non sono mai state incise dagli U2. Sennò chissà cosa avrebbero detto i ciellini...
BONO: Sono un gran chiacchierone. La gente dice che ho molta facilità di parola. Keith non parla molto, preferisce suonare la chitarra, il piano o cantare canzoni country&western, vecchi pezzi di Buddy Holly e il blues. Questo è il suo linguaggio: il rock'n'roll è il suo discorso d'amore. Riusciva a parlarmi attraverso le sue canzoni ed io non potevo rispondergli perché non ho un background musicale. La mia collezione di dischi parte da 'Horses' di Patti Smith. Gli U2 sono cresciuti mandando affanculo il blues. Ogni singola bar band a Dublino suonava le proprie versioni dei vecchi brani e gli U2 hanno sempre cercato di fuggire da quegli ambienti. Ma quella notte Keith Richards batteva le sue mani sui tasti del pianoforte e cantava quei pezzi. Poi smise e cominciò a guardarmi come per dirmi: “Adesso suona tu le tue canzoni”. E io non avevo canzoni da suonare.
RICHARDS: Credo che Bono non avesse mai ascoltato del blues prima di quella notte. La sua collezione di dischi inizia dal 1976! Gli dissi: “Ragazzo, forse possiamo farti sentire qualcosa di nuovo”.
BONO: Quando uscii fuori ero distrutto per la mia incapacità di mettere le mani dentro la borsa e tirare fuori qualche canzone.
Annotò Bill Flanagan: “Ispirato da quella musica, Bono si rintanò in albergo e rimuginò sopra il blues, i neri e l'apartheid. Fu così che nacque Silver and Gold, una melodia blues che registrò insieme a Keith e Woody, il giorno seguente”. Una delle cose migliori degli U2, per chi scrive. In coda, sentite ancora Bono: “Ho un problema. Stiamo scrivendo canzoni per il nostro prossimo album. Nel frattempo ho comprato quei vecchi dischi di Robert Johnson e ora scrivo dei brani che non capisco proprio da dove provengano. Non sono canzoni che gli U2 potrebbero fare. Hanno titoli come Wake up, Dead Man o Devil's In The House Tonight. E allora mi chiedo: cosa sta succedendo nella mia vita artistica?”. Niente, Bono stava semplicemente per incidere il disco più bello (e più americano) della sua band, The Joshua Tree. E, no: Wake up, Dead Man e Devil's In The House Tonight non sono mai state incise dagli U2. Sennò chissà cosa avrebbero detto i ciellini...
4 – Che ricordo le parole poetiche e (teneramente) bislacche con cui Tom Waits raccontò il suo incontro con Richards. Sentite un po' qua: “Ci siamo incontrati in un negozio di biancheria intima, stavamo comprando reggiseni per le nostre donne. C'era un piccolo angolo nel retro dove si poteva bere un bicchierino (ma pensa un po', n.d.r.). Keith è un gentiluomo: quando è arrivato in sala di registrazione (durante le sessions di Raindogs, 1985) e si è tolto il cappello, sono volati fuori uccelli da tutte le parti”. Keith lo si sente roccare alla grande in Union Square: “Pensa che stavo per gettare via quella canzone. 'Chiama lo spazzino, questa è spazzatura'. Ma mi hanno risposto che c'era qualcosa dentro. Poi è entrato lui con la chitarra”. Ancora Waits: “E' un musicista assolutamente intuitivo. Si muove come un animale. Dio, è come essere a teatro – in piedi, al centro della stanza, con la sua chitarra e l'amplificatore. Tutto quello che suona non è normale. E' un killer, amico. Un grande uomo. Come un pirata. E' un perfetto gentiluomo”. Un consiglio: ascoltatevi That feel, su Bone Machine di Waits, anno domini 1992, se volete sentire questi due cani bastardi ululare insieme alla luna. Da brividi, credetemi.
5 – Che mi pare sia arrivato il momento di raccontare una storia di pirati. Lo sapevate, no, che Johnny Depp ha dichiarato di essersi ispirato a Keith Richards per interpretare Capitan Jack Sparrow? E che nel terzo capitolo della saga de I Pirati dei Caraibi c'è un cameo di Richards nel ruolo di Teague Sparrow, il babbo di Johnny Depp? Un pirata con i controcazzi. Aveva proprio ragione Tom Waits.
6 – Che ho sempre pensato a Keith Richards come allo zio reietto, quello da cui il parentado mantiene volentieri le distanze perché nel corso della sua vita sciagurata si è reso protagonista di episodi veramente incresciosi, cose tremende che la gente, signora mia, ancora ne parla. Quello capace di presentarsi al pranzo di Natale, davanti a tutta la famiglia riunita attorno al desco – dopo che per mesi (per mesi!) lo si era dato per disperso - fatto come uno straccio e in compagnia di una baldracca di passo.
6 – Che ho sempre pensato a Keith Richards come allo zio reietto, quello da cui il parentado mantiene volentieri le distanze perché nel corso della sua vita sciagurata si è reso protagonista di episodi veramente incresciosi, cose tremende che la gente, signora mia, ancora ne parla. Quello capace di presentarsi al pranzo di Natale, davanti a tutta la famiglia riunita attorno al desco – dopo che per mesi (per mesi!) lo si era dato per disperso - fatto come uno straccio e in compagnia di una baldracca di passo.
7 – Che darei una mano perché Keith Richards fosse mio zio.
8 – Che non mi stanco mai di ascoltare You got the silver, su Let it bleed. Non so descrivere cosa provo quando Richards entra e dice: “Hey, baby, what's in your eyes...”.
9 – Che mi preoccupai un po', qualche mese fa, quando seppi che Keith Richards era stato ricoverato all'ospedale di Auckland, Nuova Zelanda, per una commozione cerebrale procuratasi cadendo da una palma da cocco. Fu una cosa seria: dovettero operarlo al cervello.
Andò tutto bene, per fortuna. Ma, dico, ve l'immaginate la scena di questo tizio che a più di sessant'anni (è nato nel 1943) si arrampica sulle palme da cocco?
Andò tutto bene, per fortuna. Ma, dico, ve l'immaginate la scena di questo tizio che a più di sessant'anni (è nato nel 1943) si arrampica sulle palme da cocco?
10 – Che ho sempre preferito Keith Richards a quell'altro, quello con i labbroni... Massì, dai: quello che sta sempre a sculettare... Com'è che si chiama?
Dedicato a Kyuzo (che poi sarebbe Il Grezzo)
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