“...ha ferito il sentimento religioso di tante persone che nella croce vedono il simbolo dell'amore di Dio e della nostra salvezza, che merita riconoscimento e devozione religiosa.”
venerdì 29 agosto 2008
Venga il tuo stagno...
“...ha ferito il sentimento religioso di tante persone che nella croce vedono il simbolo dell'amore di Dio e della nostra salvezza, che merita riconoscimento e devozione religiosa.”
mercoledì 27 agosto 2008
Sono anch'io un creativo!
Di John De Mol, l'Anticristo, mi è già capitato di scrivere, in talkischeap. Era il 21 dicembre dello scorso anno.
Bene, dovete sapere che attraverso il sito TalpaCreative.com, l'inventore de Il Grande Fratello ha lanciato un contest dedicato a tutti i creativi convinti di avere un'idea geniale per un nuovo format: le migliori proposte saranno poi sviluppate da De Mol in persona e dal suo team (sticazzi!), potranno essere prodotte e distribuite, pensa un po', a livello internazionale e frutteranno ai vincitori del concorso un premio di cinquantamila dollari (aristicazzi!).
“Una grande idea”, sostiene De Mol, “può venire a chiunque: un portiere d'albergo o una cameriera possono avere una buona intuizione. TalpaCreative.com offre alle persone una linea diretta col mio team di sviluppo, che potrebbe trasformare il loro sogno nel nostro prossimo reality di successo”.
E a questo punto entro in ballo io perché, come una volta ebbe a dire, tra gli altri, il signore qui sotto, “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”.
Quali sono queste idee? E' presto detto!
La prima: il bunker! Mettiamo una divisa e un elmetto in capo a venti persone, dieci donne e dieci uomini, le armiamo con pistole, fucili automatici e una (una sola) mitragliatrice, e le chiudiamo per un paio di mesi in un bunker situato sulla linea di costa a Lampedusa o a Pantelleria. Nel manufatto tutti i comfort possibili, ovviamente, e viveri e beveraggi in abbondanza: si fa la guerra per sport, è appena il caso di far notare. Eppoi è provato che un assediato rende meglio, se ha la panza piena: s'incazza di più. E infine, chi è dentro, è dentro; chi è fuori, è fuori e sono solo cazzi suoi.
Con periodicità da definire, dei brutti ceffi, pescati in qualche merdosissimo centro di accoglienza per immigrati, verranno mandati all'assalto del bunker. Compito dei concorrenti sarà di reagire con determinazione alla presenza degli invasori (saran chiamati in questo modo, infatti: intrusi mi pare poco): dovranno cercare di fermarli sul bagnasciuga, insomma, proprio come diceva quello. Vincerà chi avrà più pelo sullo stomaco e quindi colui, o colei, che riuscirà a stenderne di più. Se l'invasore risulterà essere di religione islamica, la sua eliminazione varrà doppio.
Non vi sarà sfuggita la potente metafora nazionale che sta dietro all'idea del bunker: vedremo se per John De Mol essa costituirà un difetto insuperabile o meno.
Seconda idea: forma la tua squadraccia e marcia di nuovo su Roma! Suona bene, no? A dieci donne e dieci uomini si daranno dieci giorni di tempo per formare delle squadre miste di venti persone al massimo che per tre mesi avranno licenza di bastonare zingari (rom o sinti è uguale) in giro per il Paese. Naturalmente verranno seguiti passo passo, nelle loro belle imprese, dalle telecamere. Poi, garona finale! Tutti a Roma, appuntamento in Piazza Venezia. Vincerà la squadraccia che giungerà per prima alla meta fatale, ovviamente. Ma solo se avrà incendiato campi nomadi in almeno quattro regioni.
Anche questa mia idea è forse un po' troppo italiana (d'altra parte, chi di gallina nasce, convien che razzoli), ma De Mol è un genio del nostro tempo (almeno, così dicono...) e saprà ben sviluppare e adattare, non ne dubito.
Cinquantamila dollari, vero?
martedì 26 agosto 2008
Grandiosa!
(nella foto, Obama Laden)
lunedì 25 agosto 2008
Parole celebri dalle mie parti (n.34)
Left-Handed Poems 1
Ci ho sognato sopra per anni e, mi accorgo sfogliandolo, i miei sogni l'hanno molto consumato.
Firmato da Piero Pieroni e Riccardo Gatteschi, fu pubblicato nel 1975 nella Collana Americana dei Fratelli Fabbri Editori. Non ricordo chi me ne fece dono, al tempo: ricordo però che fu in occasione di un mio compleanno.
Basterebbe solo il suo apparato iconografico, ad affascinare il lettore, se non ci fosse il testo che sentite un po' come veniva presentato in quarta di copertina: “Ad ovest della legge” fa parte della collana “americana” che in una serie di volumi monografici su diversi argomenti, intende esplorare il mondo del continente americano, quello che Cesare Pavese chiamava “il più grande palcoscenico sul quale si recitano i nostri drammi”. Scopo di questa collana è un tentativo di definizione dell'”America”, del suo passato e del suo presente, cercandone la verità oltre le nebbie del mito e semmai cercando di capire perché i miti sorsero, a chi o a cosa servirono; per la stesura sono stati impiegati i materiali più disparati: dalle testimonianze dei protagonisti, all'inchiesta giornalistica, alla musica, al folklore e altri ancora, sempre funzionali agli intenti che l'hanno ispirata.
E insomma, Pieroni e Gatteschi raccontavano il West. La frontiera. La Colt Navy. La Colt .45 Peacemaker. Il Winchester .44. I baroni del bestiame e le guerre per i pascoli. Abilene. Deadwood. Tombstone. La sfida all'O.K Corral. Wyatt Earp e Doc Holliday. Le grandi rapine ai treni. I linciaggi. Gli sceriffi. I cacciatori di taglie. Jesse James. I Dalton. Butch Cassidy e Sundance Kid. Il giudice Roy Bean. I Texas Rangers. Calamity Jane e Wild Bill Hickok. Pat Garrett e Billy the Kid.
Dovrei averlo già scritto, da qualche parte: io son venuto su guardando film western alla tivvù assieme al mio babbo (che era ed è un fan terminale di John Wayne) e leggendo Tex Willer, almeno fino ad una certa età. Poi, siccome presi a considerarlo alquanto ottuso, il capo bianco dei Navajos (e non solo lui, ma pure i suoi fedeli pards), decisi di tradirlo per Ken Parker e quella fu, decisamente, tutta un'altra storia (che, prima o poi, se avrete la pazienza di seguirmi, vi racconterò).
Insomma, Ad ovest della legge si trovò a germogliare su un terreno già profondamente arato e davvero molto fertile. Solo da grande (ero all'Università) sono riuscito a misurare con esattezza quanto quel libro avesse plasmato il mio immaginario. Quanto cioè avesse contribuito a fondarmi.
Ieri sera, gratta che ti gratta nella mia biblioteca, mi è capitato tra le mani un bellissimo testo di Michael Ondaatje, Le opere complete di Billy the Kid (The collected works of Billy the Kid. Left-Handed Poems), che lessi nel 1995, quando fu pubblicato per i tipi di Theoria. So che c'è in giro un'edizione Garzanti (Ondaatje dovrebbe essere tutto su Garzanti). Se, per dire, vi garba la scrittura (l'estetica...) di un Cormac McCarthy, è il libro che fa per voi. E perciò accattatevelo pure senza paura: soddisfatti o rimborsati, d'accordo? Ondaatje – narratore nato nello Sri Lanka nel 1943, ma canadese d'adozione – lo fece uscire nel 1970, in anni cioè di aperto revisionismo western. Revisionismo di celluloide soprattutto: da Arthur Penn a Sam Peckinpah passando per Sydney Pollack. Lo scrittore finge che sia il Kid a scrivere di sé e dunque Le opere complete di William Harrigan Bonney, il bandito conosciuto come Billy the Kid, sarebbero dunque un apocrifo. Left-Handed Poems, poesie scritte con la mano sinistra: un chiaro rimando al pistolero mancino e al film di Penn del 1958, The Left-Handed Gun (da noi, Furia selvaggia), con un Paul Newman in gran spolvero.
Poesie violente e romantiche, dolci e brutali, primitive e innocenti. Il libro di Ondaatje (il libro del Kid...) si presenta come un collage di testi e fotografie ed è un distillato di fonti le più disparate: “la morte di Tunstall, le reminiscenze di Paulita Maxwell e Sallie Chisum su Billy sono perlopiù ricavate da dichiarazioni fatte a Walter Noble Burns nel suo libro The Saga of Billy the Kid pubblicato nel 1926. Il commento sulle fotografie scattate nel periodo 1870-80 è tratto dal grande fotografo western L.A. Huffman e compare nel suo libro Huffman, Frontier Photographer (alcune delle fotografie di questo libro sono sue). L'ultimo brano di dialogo tra Garrett e Poe è preso da un verbale steso dal vicesceriffo John W. Poe nel 1919, quand'era presidente della National Bank di Roswell, New Mexico. (...) Sulla base di questo materiale, ho montato, riformulato e lievemente ritoccato gli originali. Ma le emozioni appartengono ai rispettivi autori”.
Viene spesso in mente, leggendo Ondaatje, il Pat Garrett and Billy the Kid di Sam Peckinpah, del 1973. Uno dei film che il tenutario di codesto blogghe ama di più (io piango, sapete, quando vedo Katy Jurado che piange mentre guarda morire Slim Pickens, lo sceriffo Baker. E piango quando Alamosa Bill/Jack Elam, che non aveva mai imparato a contare, muore ucciso in duello dal Kid. Che ci volete fare? Io son fatto così...).
Ma adesso non voglio parlare di Peckinpah, altrimenti la tiriamo troppo per le lunghe.
Billy the Kid è uno dei miei miti, avrete intuito (d'altra parte, non si stava parlando del mio immaginario?) e la Storia, quella con la maiuscola, ha poco a che fare col mito, lo sapete.
Come ha scritto Alex Shoumatoff nel suo in-cre-di-bi-le Leggende del deserto americano, il mito ha due epicentri nel Sudovest: la contea di Lincoln nel New Mexico, e Tombstone in Arizona. La contea di Lincoln è il posto in cui William H. Bonney, alias Billy the Kid, trascorse la maggior parte della sua violenta e breve vita. La cosa più straordinaria non sono gli eventi in sé, né la figura storica del Kid (secondo uno studioso, Billy aveva «il quoziente d'intelligenza di un quattordicenne semiritardato» ed era «un brutto adolescente con le adenoidi», alto un metro e sessantacinque, con un lungo mento praticamente attaccato al collo), bensì l'interesse che continuano a suscitare. (...) Come icona popolare ha ormai raggiunto lo status e la complessità epistemologica di Dracula, Topolino ed Elvis.
Di questa icona popolare, e del suo mondo, Michael Ondaatje ci dà un ritratto unico (e giunto a 'sto punto rubo qualche parola ad Ottavio Fatica, un po' perché non saprei dirle meglio, certe cose, un po' perché è tardi) “mescolando blocchi di prosa semidocumentaristica, primitiva, di frontiera, e sprazzi di poesia ancor più scarna, scarnificata, che sa cogliere e restituire quel che di brutale e pur poetico può esprimersi solo attraverso bravate, scorribande, bevute, orge, scannamenti, cavalcate senza meta. Con la sua originale proposta di raccogliere le «opere» di Billy the Kid, l'autore ha accolto ed è riuscito a vincere nel modo più singolare per uno scrittore la sfida del cinema, ritagliando in poche, sbilenche e dense, intense pagine, una figura solitaria e isolata, chiusa nel suo mistero come ogni leggenda e, come ogni leggenda, indimenticabile".
Left-Handed Poems 2
Sono più di 400 le tombe a Boot Hill. Occupano
uno spazio di 7 acri. C'è un cancello lavorato
ma il sentiero non segue un corso ordinato perché s'aggroviglia
come rami d'albero in mezzo alle lapidi.
200 per arma da fuoco, più di 50 accoltellati
alcuni spinti sotto i treni – forma questa d'omicidio
popolare e presa sotto gamba nel west.
Alcuni di emorragie cerebrali
a seguito di risse nei locali
almeno 10 uccisi dal filo spinato.
e sono gli unici casi noti di suicidio del cimitero.
ecco che è successo
gliel'avevo fatto esplodere sotto al cuore
così che non poteva tirar tanto per le lunghe
e stavo per allontanarmi
quando 'sto pollo trotterella verso di lui
e mentre cadeva gli zompa al collo
gli pianta il becco in gola
punta le zampe e sradica
la vena rossa e blu
e il pollo si allontanava
fino a farla di 12 metri
quasi tenesse il corpo come un aquilone
e l'ultima uscita di Gregory è stata
sguardo da pesce, ghigno sul viso
e pianeti di sangue nel cervelletto.
lungo come il Texas giù per il costato.
Il sangue secco gli toglievamo via
i suoi occhi alti levati fiamme su una prateria.
e lo mettemmo giù, e dopo
quello che si staccava si buttava
la sua testa più piccola di un topo.
e andato al Texas Star glieli smerciai.
Li riempirono di piombo, ne fecero un mucchio
scattarono fotografie con l'apparecchio.
con pianeti di sangue nel cervelletto
sguardo da pesce, ghigno sul viso
lui l'aveva detto.
domenica 24 agosto 2008
Honi soit qui mal y pense
Ieri il suo giornale di provenienza, la Repubblica, così ha scritto: "Se c'è un tratto femminile nella linea che Concita – catalana d'origine, 45 anni – imprimerà è in quel che ripete spesso: «A me piace aprire e non stringere, allargare e non chiudere, la dialettica del pensiero è auspicabile, sempre che ci sia un pensiero...»".
Non mi pare proprio felicissima, come uscita. Cioè, va benissimo la dialettica del pensiero, niente da dire. Ma perché offrire il petto così spensieratamente ai colpi dei maschi sciovinisti sempre in agguato? Eddai, su, signora De Gregorio! Ti piace «aprire e non stringere, allargare e non chiudere»: ma si può?
Già è durissima, per le donne. Ovunque. Non mi pare il caso di farcisi infilzare gratuitamente, dalle banderillas dei mille toreri di turno.
Un solo dubbio: doveva fare più attenzione alle parole usate Concita De Gregorio o quello che è stato il suo giornale per diciotto anni?
sabato 23 agosto 2008
Scollature vertiginose
giovedì 21 agosto 2008
Passavo di qua...
mercoledì 20 agosto 2008
Una profezia. Buona per chi?
E adesso fatevi un po' un giretto in rete e verificate quante volte compaia questa citazione. Vi imbatterete in essa nei luoghi più impensati, ve lo garantisco... Una spia dell'inquietudine dei moderni?
lunedì 18 agosto 2008
Zelig
Allora, Walter Veltroni scrive a la Repubblica e dice che hanno ragione Nanni Moretti ed Eugenio Scalfari quando parlano “della perdita dello spirito pubblico di una nazione che si ritrova, spesso, a vedere cancellati i confini di sé: il valore della legalità, della verità, della coerenza, del primato dell'interesse pubblico su quello privato. Ieri non esiste e domani non dipende da te. Non sei un cittadino, ma uno spettatore. Non sei un cittadino, ma un consumatore della società. Con queste certezze il nostro tempo finisce col farsi vuoto di senso. E con il lasciare spazio a paure parossistiche, quasi ancestrali. E ad egoismi eccessivi, quasi infantili. Lo dico pensando al mio ruolo. Credo che a noi, a me, spetti in primo luogo il coraggio di essere sé stessi quando questo appare più difficile. Sento semmai il bisogno di rendere sempre più chiaro, per il bene della nostra nazione, l'alternatività di valori e progetti sociali che rendono differenti gli schieramenti e le culture politiche. Tanto più ora. Omologarsi come Zelig, piegarsi al nuovo pensiero unico è facile e vantaggioso ma è un atto di rinuncia, una manifestazione di sfiducia nelle proprie ragioni e, talvolta, persino nella propria storia. Cambiare sé stessi, senza rinunciare a testimoniare la grandezza di un percorso umano e senza rinunciare a immaginare e costruire, attraverso proposte realistiche, un presente e un futuro migliore. A cosa servirebbe altrimenti la politica?”.
Là! Tutto d'un fiato. Proviamo a metter meglio a fuoco, se non a tradurre? Che ne dite?
Il berlusconismo rappresenta la devastazione dello spirito pubblico di una nazione che si ritrova, spesso, a vedere cancellati i confini di sé: il valore della legalità, della verità, della coerenza, del primato dell'interesse pubblico su quello privato. Ieri non esiste e domani non dipende da te. Non sei un cittadino, ma uno spettatore. Non sei un cittadino, ma un consumatore della società. Con queste certezze il nostro tempo finisce col farsi vuoto di senso. E con il lasciare spazio a paure parossistiche, quasi ancestrali. E ad egoismi eccessivi, quasi infantili.
Quando parla di paure parossistiche, Veltroni si riferisce, in generale, a tutto l'ambaradàn montato dai media italiani (per ordine del loro signore e padrone, Silvio Berlusconi) sulla ormai famosissima 'emergenza sicurezza'.
Quando parla di paure quasi ancestrali, Veltroni pensa, in particolare, all'ignobile caccia allo zingaro che si è scatenata in 'sto Paese di merda dopo che Silvio Berlusconi e suoi alleati hanno vinto le elezioni politiche.
Quando parla di egoismi eccessivi, quasi infantili, Veltroni pensa invece (ma questo prendetelo con beneficio di inventario) alla famosa “questione settentrionale”, che non è altro che l'incazzatura feroce di gentaglia che ha la panza piena da sc'iopare ma fa finta che non sia così e, con altissimi lai, piange il morto per fottere il vivo. E fanculo alla sociologia, per usare un francesismo.
Tutto ciò Veltroni lo ha detto avendo ben presente che il suo ruolo di segretario del Piddì è ormai messo apertamente in discussione: proprio per questo egli afferma che è a lui e a quelli che gli vogliono bene che spetta, in primo luogo, il coraggio di essere sé stessi quando questo appare più difficile. Proprio per questo egli sente (semmai...) il bisogno di rendere sempre più chiara, per il bene della nostra nazione (e certo: mica per il bene del Granducato del Lussemburgo...), l'alternatività di valori e di progetti sociali che rendono differenti gli schieramenti e le culture politiche. Tanto più ora. Quindi Enrico Letta può andare in giro a dire quello che vuole, ma col ciufolo che l'antiberlusconismo è finito. Omologarsi come Zelig, piegarsi al nuovo pensiero unico, sarà pure facile e vantaggioso ma è un atto di rinuncia, una manifestazione di sfiducia nelle proprie ragioni e, talvolta, persino nella propria storia. Cazzo vuole, 'sto Letta, dunque?
Cambiare sé stessi, bisogna, invece! Ma senza rinunciare a testimoniare la grandezza di un percorso umano e senza rinunciare a immaginare e costruire, attraverso proposte realistiche, un presente e un futuro migliori. Cambiare sé stessi e rimanere sempre là, al timone, sul ponte di comando e i quarantenni rampanti, nipoti di, si facciano pure sotto, se hanno coraggio. Fino a ieri Silvio Berlusconi manco lo si nominava: per Veltroni era solo “il mio principale competitore”. Mò si cambia, gente, ma senza rinunciare a cambiare sé stessi perché nulla cambi mai veramente, come scrisse una volta, più o meno, il tizio qui sotto e se non sapete chi è peggio per voi.
E insomma, sostiene Veltroni che non bisogna omologarsi come Zelig, manco per idea, e che “la rimozione della memoria non è solo una malattia o una tragedia individuale, ma un fatto storico e sociale. E noi stessi, osservando il paesaggio della nostra società, abbiamo la sensazione che lo “spirito del tempo” dominante tenda a cancellare il passato, la storia collettiva, le tragedie e le rinascite tutto agglutinando in una informe massa nera, giudicata inutile perché passata e dunque non utilizzabile in modo speculativo”.
E per fortuna che “si poteva stare nel Pci senza essere comunisti. Era possibile, è stato così”, come disse nel 1999 Veltroni stesso a Gianni Riotta che lo intervistava per La Stampa. Ma questa non ve la spiego.
sabato 16 agosto 2008
venerdì 15 agosto 2008
mercoledì 13 agosto 2008
Dacci oggi la nostra cazzata quotidiana
martedì 12 agosto 2008
Mentre la Sinistra fa la nanna
Singolare, come uscita, nevvero?
lunedì 11 agosto 2008
Gramsci spiegato alle masse
Poi sostiene che dobbiamo (e a questo punto io non posso fare a meno di chiedermi e chiedere: dobbiamo CHI?) essere “meno intellettuali e farci capire dalla gente”.
E dice pure che nel Piddì “un Pippo Baudo come portavoce” ci starebbe proprio come un pisello nel suo baccello perché, ribadisce, “noi dobbiamo parlare alla gente, farci capire”.
E io, nel mio piccolo, penso: peccato!
Peccato che Bombolo abiti ormai il mondo dei più.
Come portavoce di un Piddì nazional popolare, beh... Bombolo se lo sarebbe magnato, a Baudo! Con Bombolo a portar la nostra voce in giro per il bel paese ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe vincevamo a man bassa, noi nazional popolari, dico io. Garantito.
A Berluscò! Ts ts ts... Mortacci tua!
sabato 9 agosto 2008
La creatività (finalmente) al potere
Nella foto, l'assessore alla polizia locale del comune di Voghera, Vincenzo Giugliano o il vicesindaco di Voghera, Graziano Percivalle. Vedete voi di chi si tratta, per me fa lo stesso.
venerdì 8 agosto 2008
La band con il nome più bello in ogni tempo e luogo...
Allora: camper.
Avete colto, si? Scusate, eh, se son stato un po' didascalico...
La prima volta che ebbi modo di ascoltarli fu nel lontano 1985, l'ultima è stata qualche ora fa.
E' uscita da poco una loro antologia, Popular Songs of Great Enduring Strenght and Beauty, che contiene esattamente quello che il titolo promette: canzoni di grande e duratura forza e bellezza.
Cinque gli album firmati dai Camper Van Beethoven in quei terribili anni Ottanta dai quali – anche grazie a loro, perdio! Anche grazie a loro – io sono riuscito ad uscire vivo. Il loro capolavoro - forse non il loro disco più fresco ed entusiasmante, ma senz'altro quello più maturo - si intitola Our Beloved Revolutionary Sweetheart, uscì giusto vent'anni or sono e per il ventenne tic fu una folgorazione (voi non potete avere idea del magone che mi sovrasta, in questo momento... Aiuto!).
Ha detto bene Gianluca Testani sull'ultimo numero del Mucchio: “di tutta la musica incisa in quel decennio di straordinari neo-qualcosa e pessime sonorità, quella dei Camper è tra le poche invecchiate bene. Uh, benissimo”.
Che musica facevano? Beh, che vi posso dire, come posso spiegare? Vediamo un po'... Ecco, trovato! Mi faccio aiutare da Tom Waits.
“C'è (...) un posto dove la Nigeria confina con la Louisiana, ci sono cose nella musica che accadono spontaneamente e così ti sposti verso luoghi con i quali non avevi connessioni. Se suoni un certo ritmo e ti muovi un poco, quel ritmo può diventare un valzer dei Carpazi, ti spingi ancora più in là e ottieni un'altra traiettoria. La musica crea una propria geografia”.
I Camper Van Beethoven abitavano (e abitano... Si sono riformati da qualche annetto, hanno inciso qualcosa di nuovo e girano parecchio) quel posto di cui parla Waits, una terra di paesaggi sonori continuamente cangianti, dall'hardcore punk (perché era gente che veniva dal punk e sempre sia benedetto, il punk. Nel loro primo disco c'è una versione country – sic - di Wasted dei Black Flag...) ad una psichedelia alla Grateful Dead o alla primi (fossero stati gli ultimi...) Pink Floyd (una cover di Interstellar Overdrive, nel loro secondo lavoro) passando per l'hillbilly, la musica tex-mex, lo ska e il rock-steady, il folk dell'Est europeo e del Medio Oriente, i raga indiani e il rock'n'roll, la polka e il garage rock, il surf e il cajun: tutto questo centrifugato da una creatività ed un sense of humor incredibili. Per darvi solo un'idea dello spiritello che animava e anima questo incredibile minstrel show surrealista, eccovi qualche titolo di canzone da Popular Songs...: The Day That Lassie Went To The Moon, Border Ska (che è proprio uno ska suonato come potrebbe farlo qualcuno dalle parti del confine tra il Messico e gli States), Take The Skinheads Bowling (per lungo tempo al primo posto, in my private hit parade), Pictures Of Matchstick Men (una cover, ostia di un'ostia, degli Status Quo!), ZZ Top Goes To Egypt (...), Sad Lovers' Waltz (che è proprio un bel valzerone. Da bovari innamorati). E ci metto anche (ma non hanno trovato posto nell'antologia, ahimé) la leggendaria Mao Reminisces About His Days In Southern China. E poi Yanqui Go Home. E poi Joe Stalin's Cadillac. E poi Colonel Bermudez. E poi i cosacchi del Don che arrivano al galoppo sulle note di Vladivostock e di Balalaika Gap. E poi Torquoise Jewelry. E poi mi fermo, o rischio di mettercele un po' tutte.
Queste magnifiche canzoni - che in tre minuti tre vi portano dagli Appalachi al Bosforo passando per la Giamaica - riuscivano a sposare steel guitar e organetti sghembi, balalaika e banjo, mandolini e violino (che, suonato da un grandissimo musicista che si chiama Jonathan Segel, era un po' il perno di tutto 'sto mis mas), elettrico e acustico, hard e folk: e, chissà come, erano tutte unioni che funzionavano alla grande.
Faccio chiudere a Testani, che è uomo d'onore: “La gente comune non riesce manco a pensarle certe cose, figuriamoci farle. Il giorno che Lassie andò sulla luna. Ma dai. Vent'anni fa potevi entrare in un negozio e portarti via un disco grosso così fatto da gente grossa così. Poi dice che uno fatica a entusiasmarsi per l'ultima sensation indie del 2008”.
Se potete comprare un solo cd, quest'anno, date retta a tic: accattàtevi questo.
Parole celebri dalle mie parti (n.32)
mercoledì 6 agosto 2008
Un ruggito nella notte
Il giusto riposo del guerriero, eccheccazzo!
Perciò, quando a un certo punto qualcuno ha suonato più e più volte al citofono, dal divano mi sono alzato, ovviamente, con il mio bel chiccazzèastaoracherompelicojoni d'ordinanza e brutali propositi di sfanculeggiamento.
“Seeeeeeee! Chi èeeeee?”
La risposta mi ha lasciato basito: “E' l'Uomo Tigre, che lotta contro il male!”
“Prego?”
“Se non apri subito, cane occidentale, lo credo bene che puoi solo metterti a pregare!”
E io... Ho subito aperto. Con un po' di timore, certo: datosi che oggigiorno se ne sentono veramente di tutti i colori e io e mia moglie viviamo male, non usciamo più di casa tranquilli. I fatti di cronaca che si registrano, in tutta Italia, ci preoccupano assai. Lo sapete anche voi, no, che c'è l'Allarme Sicurezza?
Ciò non di meno, io ho aperto il portone da basso stans pede in uno e vi giuro che sapevo, non so come ma sapevo, che in quel momento non ero vittima di uno scherzo scemo (ad esempio, uno di quelli che fanno parte dello scadentissimo repertorio del mio vecchio amico Fabio M.), no...
Era Lui, sentivo che era Lui, non poteva essere che Lui: l'Uomo Tigre in persona!!!
Il tempo di agguantare una giacca dall'attaccapanni, chiedere a mia moglie E. di tirar fuori da un cassetto la macchina fotografica per immortalare il momento, aprire l'uscio di casetta mia e...
Era Lui, ostia, era proprio Lui: タイガー・マスク!!!!! ( Taigā Masuku!!!!!).
Scatta, E., scatta!
“A cosa devo la sua visita, Eccellenza?”, domando, la voce che (comprensibilmente: avrei voluto vedere voi!) trema un po'.
“Ad un post di talkischeap...”, sibila タイガー・マスク (Taigā Masuku). E gli brilla, sinistramente, l'occhio.
Immediatamente realizzo (perché io non sarò propriamente una cima, ma comunque non dò nemmeno il mio voto alla Lega Nord) a quale post in particolare io debba la visita del famoso lottatore mascherato e, ve lo confesso, un milione di formiche impazzite cominciano a correre lungo la mia spina dorsale.
Il 14 giugno ultimo scorso, in un pezzo che si intitolava Il percepito, scrissi che “se proprio si vuole che la città di M. ce l'abbia, alla fine, il suo ricco assessore alla Sicurezza, si chiami al cimento uno che sia difficile da attaccare. Uno duro da cuocere. Uno specialista, intendo”.
E, dopo essermi querelato del fatto che Maurizio Merli e il generale G.A. Custer fossero ormai da tempo passati a miglior vita (e, nel caso di Custer, la perdita è stata davvero incommensurabile: con tutti gli indiani che ci sono, a M., immaginatevi un po' il contributo di esperienza che il generale avrebbe potuto portarci in dote...), proponevo per la carica i nomi di Bud Spencer, Axel Foley, Chuck Norris, Frank Castle il Punitore, il tenente Frank Drebin e, last but not least, il ranocchio Kermit del Muppet Show. L'Uomo Tigre ritenne, allora, di dover intervenire e lo fece a strettissimo giro di posta: “Trovo imperdonabile che non abbia pensato al sottoscritto”.
Ieri sera, perciò, al suo cospetto, ho cominciato a balbettare delle miserabilissime scuse. A raffica: “Mi perdoni, Eccellenza. Mi perdoni!”.
“Mi son sentito come se fossi il figlio della serva, cane occidentale! Ma forse puoi rimediare...”.
“Mi dica solo come, Taigā Masuku San! Mi dica solo come!”.
“In questa città le forze del male si sono scatenate, ullallà, ed io non posso proprio fare a meno di combatterlo, il male, lo sai...”.
“Certo che lo so, certo. Come no!”. E inizio a cantare, a squarciagola: “E' l'Uomo Tigre che lotta contro il male/ combatte solo la malvagità/ non ha paura, si batte con furore/ ed ogni incontro vincere lui sa”.
“Ecco, bravo, bravo...”, taglia corto lui. “Ora, siccome sei uno del giro, vedi di metterci una buona parola col sindaco di M. (un bell'uomo, va detto): l'Uomo Tigre vuole essere nominato assessore alla Sicurezza!”.
“Ehh? Ma, Eccellenza, devono averLa male informata... Io non posso fare nulla, per lei: ma proprio nulla. Sono fuori dal giro che conta, e da tempo! Posso solo sparare qualche cazzata in talkischeap, ormai. Io, al sindaco di M. (un bell'uomo, va detto), non posso più chiedere manco che ora è. E quindi non posso nemmeno mettere una buona parola per Lei, Taigā Masuku San, che mi vuole diventare assessore alla Sicurezza del comune di M.!” (sia io che タイガー・マスク la pronunciavamo con la lettera iniziale maiuscola, la parola 'sicurezza', avrete notato, n.d.r.).
“Cheeeeeee? Che cosa mi stai dicendo? Non lo puoi fare?!? Ma tu lo devi fare!!! Se non riuscirò a essere l'assessore alla Sicurezza di M., io sarò disonorato: non avrò più il coraggio di guardare in faccia Baba e Inoki!!!”.
“Ma no, Taigā Masuku San, davvero no: io non lo posso fare! No no no!”.
“Ahhh! Ma io ti distruggo, cane occidentale!!!”.
E qui タイガー・マスク mi afferra e mi mette K.O. con una bella chiave articolare delle sue.
Poi ruggisce forte: "GRAURR..."
E, sempre ruggendo forte ("GRAURR..."), se ne va.
Tutto vero, eh!
Perciò, vedete, credo che non mi occuperò per un bel pezzo dell'Allarme Sicurezza nel comune di M.
Mi è passata la voglia, dopo quella chiave articolare.
Come dite? Che sono un pavido?
Avrei voluto vedere voi, avrei voluto...