martedì 22 luglio 2008

Faccio le pulci a uno

Una breve sull'ultimo numero de il Venerdì di Repubblica, 18 luglio 2008. A firma Gian Paolo Serino.
La riporto nella sua interezza.


C'è una linea retta che dal William Faulkner più noir conduce a James Lee Burke e da Flannery O'Connor porta a Joe Lansdale, e comprende autori di generazioni, formazione diverse come Cormac McCarthy e Jim Thompson: tutti, chi più chi meno, intenti a perfezionare la grande tradizione del Gotico americano. Tra questi c'è anche Daniel Woodrell, lo scrittore americano che in Italia non ha avuto ancora il successo che merita. Malgrado la pubblicazione nel 2001 del capolavoro Il bel cavaliere se n'è andato, da cui Ang Lee ha tratto Cavalcando con il Diavolo; malgrado l'attenzione che Fanucci ha dimostrato pubblicando lo scorso anno Un gelido inverno e adesso questo Uno strano destino. Woodrell, colpevole solo di aver coniato l'espressione country noir, è autore capace come pochi di raccontare l'essenza del nostro mondo. Senza molte parole. Un luogo dove non esistono colpe: ci sono solo colpevoli.


E vabbè...
Ora, è vero che Daniel Woodrell è un grande scrittore.
Ed è vero che in Italia non ha ancora avuto il successo che merita.
Non è vero, però, che Ang Lee ha tratto Cavalcando con il Diavolo da Il bel cavaliere se n'è andato.
Posso testimoniarlo in quanto Il bel cavaliere se n'è andato (The Death of Sweet Mister) me lo sono letto. E' stato pubblicato da Bompiani, nel 2001.
Cavalcando con il Diavolo è tratto da Woe to live on, il primo romanzo di Daniel Woodrell ad uscire da noi, nel 2000, per la casa editrice Le Vespe (con lo stesso titolo del lavoro del regista taiwanese, che è del 1999).
Di recente (sabato 12 luglio) la Repubblica, sull'Almanacco dei Libri, ha ospitato una bella intervista di Silvana Mazzocchi a Woodrell. Utilissima ad inquadrare un autore di cultura raffinatissima (“In tutti i miei romanzi ho sempre cercato di raccontare come se io stesso fossi quei personaggi, per portare, nella mia prosa, la sensibilità della gente rude che la popola. Io cerco il “verismo” (usa la parola italiana, ndr), il verismo del vostro Giovanni Verga, un autore meraviglioso che descrive il mondo contadino come fosse dentro le vite dei suoi protagonisti. Non osservandoli da sopra un piedistallo, ma sentendo battere i loro cuori e odorando il loro respiro. Io scrivo di delinquenti, di poveracci perduti e soli, di potenziali eroi vinti dalle terribili circostanze della vita”) e di fortissimo senso morale (“Intanto diciamo che mi sento in dovere di raccontare personaggi che, altrimenti, sarebbero del tutto ignorati dalla letteratura americana. Persone per cui la droga e l'alcol sono fondamentali per tirare avanti. Le zone tipo quella dove tuttora io vivo con mia moglie Katie Estill, anche lei scrittrice, sono piene di gente così. E io non ho voluto trasferirmi altrove, proprio per rimanere dove stanno i miei personaggi”. E a me, a questo punto, è venuto in mente ciò che una volta disse il mio amatissimo Graham Greene, e cioè che “il ruolo dello scrittore è quello di suscitare nel lettore simpatia verso quegli esseri che ufficialmente non hanno diritto alla simpatia”).
Ho appena acquistato Uno strano destino (Tomato Red, 1998): ma, vedete, mica perché me l'ha consigliato il signor Serino... Semplicemente perché amo molto le storie delle Ozark Mountains raccontate da Daniel Woodrell.
Forse ve ne parlerò. Forse no.
Detto ciò, visto che son tornato su Serino, ci resto: uno che scrive su Repubblica (e mica solo su Repubblica...) e che si presenta, pensate un po', come “critico letterario” (lo stesso mestiere che faceva un Pietro Pancrazi, per dire...) non dovrebbe proprio, eh no, parlare di capolavori che non ha letto. E' malcostume.
Dice: ma può capitare, una svista... O magari (e questo è un classico) nell'impaginazione della breve è saltata una riga...
Può capitare? E' saltata una riga?
Sia.
Ma per Gian Paolo Serino nessuna umana pietà.
E spiego perché. Nel numero 471 del Mucchio Selvaggio, sei anni e qualche spicciolo fa, il “critico letterario” in questione recensì Olocausto americano di David E. Stannard, un libro di storia - edito da Bollati Boringhieri - il cui tema era la distruzione delle culture native nelle Americhe ad opera dei conquistatori europei .
Bene. Nell'occasione, Serino parlò dell'”America che oggi piange i martiri inamidati delle Twin Towers” e consigliò caldamente la lettura di Olocausto americano.
Con le seguenti parole: “è fondamentale per capire il nostro ieri, ma soprattutto il nostro oggi: un oggi fatto di continue menzogne come la storiella delle Torri Gemelle che crollano per colpa di pazzi e non per mano di moderni indiani che non hanno alcun altro mezzo per non essere invasi da una cultura che si radica sradicando. Leggetelo per capire che l'America non è altro che un errore di navigazione".
No, dico... Avete notato la finezza di quel "martiri inamidati"? E dei "moderni indiani" che ne pensate?
Bellissima poi quella sull'America, definita "errore di navigazione" nelle pagine di una rivista che ha costruito le sue fortune (piccole, per carità. Purtroppo...) sul veicolare, tra le altre cose, la miglior cultura americana nel nostro povero Paese, tra musica, cinema, letteratura e fumetto. E gliel'hanno pure fatta passare, ostia!
Un mito, Gian Paolo Serino.
Chissà se si è mai pentito, il “critico letterario”, per aver firmato certe (miserabili) stronzate... Per quanto mi riguarda, comunque, quella volta il nostro (vabbè, dai... Si fa per dire) riuscì in ogni caso a farmi capire di aver avuto un'infanzia veramente molto difficile.
E adesso me lo ritrovo che scrive cose inesatte su Repubblica. E sul grande Daniel Woodrell, per di più, scrittore nato e vissuto in un Paese che è solo, direbbe Serino, “un errore di navigazione”. O tempora...

(nella foto, il "critico letterario" Gian Paolo Serino ritratto in mezzo a pile di libri che forse ha letto, ma forse anche no)

3 commenti:

Unknown ha detto...

A volte scrivo, ai giornali, per segnalare orribili strafalcioni dei criticonzoli letterari e/o cinematografici. Nel trio Repubblica/Io Donna/Venerdì ce ne sono di recidivi e recidive. Che spesso scrivono di libri e/o film di cui ignorano tutto. Per l'amor di Dio...nessuno può saper tutto. E nei periodici capita che ti diano un incarico su una materia che tu s/conosci a fondo (come se mi commissionassero un servizio sugli amori della Bellucci). Però a questi ignoranti vorrei suggerire un antichissimo rimedio: documentarsi. http://lucianoidefix.typepad.com

tic. ha detto...

Eh, già...
Oddio, magari per scrivere quello che devono scrivere li pagano poco.
Sai com'è, nella giungla contrattuale della precarietà.
E chi paga poco, poco gode. Ovvero, si trova con pezzi mal scritti. Buttati su.

Certo però che Serino è un bel tomo...

Anonimo ha detto...

Così, tanto per aggiungere due righe a questa squallida storia:

http://lconti.com/2008/07/18/recensore-senza-saperlo/