Qualche dato, dai: tanto per capire de que hablamos.
Sui banchi delle scuole italiane siedono 7 milioni e 700 mila studenti.
Il 44 per cento degli alunni che nell'anno nuovo si portano sulle spalle un debito formativo dovrebbero recuperare in matematica.
Mario Pirani ha ricordato i dati (ormai famigerati) dell'indagine Pisa-Ocse secondo cui la percentuale dei giovani che non riescono ad intendere il senso del testo che leggono negli ultimi anni è passata dal 44 al 50,9 per cento.
Oggi su la Repubblica Pirani scrive: “Questo l'esito di un ventennio di riforme ispirate dalla demagogica sostituzione del principio sacrosanto del diritto allo studio con il diritto al “successo” nello studio, che ha impedito fino a ieri di bocciare anche chi riportava tre o quattro insufficienze gravi o aveva trasformato le aule in palestra di bullismo”.
Sorvolando sulle cagate che, sulla scuola, stanno scritte nel programma di Berlusconi, preoccupa molto che in quello del mio partito, il PD, sia di nuovo proclamato l'obbligo di “assicurare il successo educativo a tutti i ragazzi fino ai 16 anni”: quando sento il verbo “assicurare” io metto mano al mio revolver (o, tanto per essere giusto un po' meno hardcore, mi viene in mente il grandissimo Clint Eastwood: “Se vuoi una garanzia, comprati un tostapane").
Al liceo Visconti, il buon Pirani ha ricordato pure (e spero nessuno dei presenti abbia riso, perché non c'è proprio un cazzo da ridere) lo strafalcione “l'addove” in uno degli elaborati del concorso sostenuto da 5000 candidati per entrare in magistratura “dove 53 posti sui 380 previsti non sono stati assegnati per l'ignoranza degli aspiranti”.
Accanto a lui il docente di matematica all' università La Sapienza Giorgio Israel ha prima ricordato che “non si può educare alla vita pensando che a scuola non si deve faticare e che il parametro di riferimento è ormai l’ultimo della classe”, poi che sarebbe il caso di restituire ai docenti un minimo (un minimo...) di dignità professionale, visto che “ormai gli insegnanti sono considerati dei semplici facilitatori, quasi degli operatori per le feste pomeridiane”. E ha continuato rammentando ai presenti che la semplificazione eccessiva nella scuola “ha portato alla scomparsa delle discipline e delle competenze classiche del docente favorendo un insegnamento di tipo olistico: una visione del docente totalitaria, quasi di ispirazione sovietica, che ha spianato la strada ad un processo di apprendimento ormai fortemente ritardato”: e buono per dei ritardati, aggiungo io.
Sarebbe forse ora di ritornare all'autorevolezza del ruolo del docente, smettendola con le menate sulla scuola-azienda. Ancora Israel: “La scuola non è un'azienda perché non fornisce pomodori pelati o servizi postali: il giudizio di un insegnante non può essere commisurato a quello che si attua verso un utente. E' ora di finirla di pensare che gli studenti siano utenti, perché in questo modo si favorisce l'egualitarismo e l'atteggiamento tollerante delle famiglie”.
E infatti: se la scuola è un'azienda, di tale azienda gli studenti non sarebbero forse i clienti? E il cliente, per definzione, non ha sempre ragione?
Il problema della scuola italiana secondo i galantuomini firmatari del documento?
Sta appunto nell'ideologia demente della scuola-azienda, nel “pedagogismo più efferato” (quello dei pedagogisti servitori dei due padroni che più hanno contribuito a devastare, da ministri dell'istruzione, la scuola italiana, ovvero Luigi Berlinguer e Letizia Moratti. Porca puttana: i medesimi consulenti avevano, 'sti due geni della stirpe!), nella cultura (...) del "sei" garantito (vi ricordate, si, cosa diceva Eastwood a proposito delle garanzie?) “ereditato dal Sessantotto” (e, ostia! Quest'anno non ti va a ricorrere proprio il quarantesimo anniversario del mitico Sessantotto?).
E qui c'è un po' l'idea, che io condivido in pieno, che l'antiautoritarismo quasi congenito in una classe dirigente (?) formatasi generalmente negli anni Sessanta abbia indebolito molto oltre il lecito, nella scuola e prima ancora nella società, ogni principio di autorità. Principio però necessario come il pane, nell'Italia di oggi: alla facciaccia della nostra sinistra (arcobalena) da operetta. Perché in una società senza regole forti si vive male (specialmente i più poveri, ovviamente, vivono male) e si cresce pure peggio.
Intanto, in campagna elettorale, si discute amabilmente dell'età dei candidati.