lunedì 25 febbraio 2008

Bianco e nero

Siamo arrivati ad Istanbul nel pomeriggio di domenica 17 via Milano Malpensa. Sotto una bufera di neve. Son dovuto andare ad Istanbul, quest'anno, per trovare l'inverno.
Ha smesso di nevicare il pomeriggio di lunedì 18.
Faceva un freddo. Ma un freddo.
Però è stato bello, la prima sera, dopo cena (per me un shish kebab da urlo e buona birra Efes), salire ad Aya Sofya per vederla nascondersi nel silenzio della neve. Il nostro albergo (scelto da mia moglie E. con il consueto fiuto, mettendo a sistema la solita Guida Routard e l'ormai immancabile, utilissimo sito TripAdvisor) era a meno di cinque minuti dall'entrata del Topkapi, e quindi da Aya Sofya, e a qualche spicciolo di tempo in più dalla Moschea Blu.

Nella Moschea, la più famosa della città, davvero magnifica (sei anni e qualcosa ci vollero, per costruirla. I lavori terminarono nel 1616), siamo poi entrati lunedì mattina.
Che vi posso dire di Istanbul?

Che è stato bellissimo essere accompagnati da Orhan Pamuk, nelle nostre passeggiate. Dopo aver letto il suo Istanbul. I ricordi e la città mi vergogno come un ladro, credetemi, di queste mie povere parole.
Istanbul è una mostruosità di non ho capito bene se dieci (così dice lo scrittore) o dodici milioni di abitanti (altre fonti). Impossibile da comprendere, secondo Pamuk, “secondo i metodi di ordinamento e spiegazione 'occidentali'. Naturalmente, un altro motivo di questo fallimento è la particolarità di Istanbul rispetto alle città occidentali, la sua confusione, la sua anarchia, la sua stranezza così grande e il suo disordine, che si oppone alle classificazioni ordinarie”.

Istanbul è smog, sporcizia, traffico caotico, le ciambelle col sesamo, i facchini piegati sotto il loro carico, il profumo delle spezie al Bazar Egiziano, i negozi di tappeti, a centinaia, e le richieste assillanti di chi li vende (“Entra italiano. Beviamo il tè e basta. Solo guardi i miei tappeti. Solo guardi. No fregature”), i pescatori sul ponte di Galata, le barche arrugginite e malmesse, la miseria indicibile del quartiere di Fatih e le vetrine chic di Istiklal, i bruttissimi palazzi in cemento armato degli anni sessanta e settanta dalle facciate incolori, le sirene dei battelli, le mura bizantine in rovina, la spazzatura nelle strade, i cani randagi, i gatti rispettatissimi, le antiche fontane senz'acqua.
Una città in bianco e nero, scrive Pamuk, un luogo dall'anima malinconica: “Una parte di questo sentimento in chiaroscuro riguarda, naturalmente, la miseria e la storia della città, un luogo ormai al tramonto, dimesso e desolato, pieno solo di rovine. (...) Il fatto che gli abitanti di Istanbul, dopo il crollo di un grande impero, fossero condannati a una miseria eterna, quasi avessero una malattia incurabile, al cospetto di un'Europa che pure non è lontana geograficamente, alimenta quest'anima malinconica della città.
Per comprendere meglio l'atmosfera bianca e nera di Istanbul, che accentua questo senso di tristezza e lo rende inesorabile, quasi fosse un destino comune a tutti gli abitanti, è necessario atterrare qui da una ricca città occidentale e mettersi a girare subito per le strade affollate, oppure andare sul ponte di Galata, che è il cuore di Istanbul, e vedere la folla di persone che vagano qua e là con gli abiti sempre di un colore anonimo, pallidi, grigi, ombrosi
”.
Ed è proprio così, Istanbul, vedete. Bellissima e triste.
Ad Orhan Pamuk, ho scoperto, piace poco quello che sulla città scrisse Iosif Brodskij nel 1985 in un lungo articolo pubblicato sul New Yorker col titolo Fuga da Bisanzio. Ma...

Brodskij, influenzato dallo stile di un libro di Auden che parlava dell'Islanda in modo ironico e sprezzante, fa un lungo elenco dei motivi del suo viaggio (in aereo) a Istanbul, come se si dovesse giustificare. In questo articolo, che per il suo sarcasmo ferì anche me che in quel periodo ero molto lontano dalla mia città e volevo leggere qualcosa di bello su Istanbul, mi piace comunque la sua frase che dice:”Come tutto è datato in questa città!” E insisteva: “Non vecchio, arcaico, antico o fuori moda, ma datato”; e aveva ragione. Quando crollò l'impero ottomano e la Repubblica turca, impegnata nell'impossibile impresa di definire la propria identità, si staccò dal mondo, Istanbul perse la sua vecchia connotazione plurilinguistica, vittoriosa e magnifica, e si trasformò in un luogo spopolato, vuoto, bianco e nero, con una sola voce e una sola lingua, in cui tutto pian piano diventava datato”.
Insomma, se non ci siete mai stati, ad Istanbul, e un giorno deciderete di andarci, non cercate l'esotismo, avrete inteso. Non cercate il pittoresco: Istanbul è una città datata.
Siate saggi e limitatevi a cercare la bellezza: ce n'è moltissima. E aspettatevi una città in bianco e nero (vabbé: andarci a febbraio credo un po' aiuti, e non tutti possono, lo so).
Cose belle che tic ha visto, assaggiato e annusato?

Quello che i turchi chiamano Yerebatan Sarayi, il “Palazzo sommerso”: una cisterna bizantina lunga 140 metri, larga 70 e alta 8, dotata di 336 colonne suddivise in 12 file da 28 ciascuna. Costruita dall'imperatore Costantino e restaurata nel 542 da Giustiniano, garantiva l'approvvigionamento d'acqua al Gran Palazzo, la residenza degli imperatori di Bisanzio.

Fino a non troppo tempo fa si poteva anche visitare in barca, come fa Bond, James Bond, in Dalla Russia con amore, film che in parte è girato ad Istanbul.

Il tramonto sul Ponte di Galata.

I tesori del Topkapi (tra cui la famosa daga del film sceneggiato dal mio amatissimo Eric Ambler).

La sala della necropoli di Sidone al Museo delle Antichità, con quella cosa magnifica che è il cosiddetto sarcofago di Alessandro (del IV secolo a.C., appartenente a un satrapo persiano): le sue sculture raffigurano i fatti militari salienti della vita di Alessandro Magno e recano ancora traccia dei colori con cui erano dipinte.

I dipinti murali, gli affreschi su base d'oro e i mosaici della chiesa di San Salvatore in Chora, considerati da molti i più belli del mondo bizantino. Dopo la presa di Costantinopoli, nel 1453, i turchi ricoprirono tutto con la calce quando decisero di trasformare la chiesa in moschea: forse è proprio per questo fatto che tutto quanto appare così lucente, così vivo.

(Ve lo confesso: nell'ora che sono rimasto dentro San Salvatore in Chora, con il naso per aria e a bocca aperta, ho pensato spesso che, forse, dio esiste davvero.)
I gatti che dormivano dentro Aya Sofya. Indisturbati e imperturbabili (per dire, in Aya Sofya ho visto correre una pantegana grande come una carrozza e di conseguenza mi sono prodotto in un salto in alto da competizione accompagnato da un terribile urlo di disgusto. Bene: la cosa non sembrava riguardare manco di striscio i felini beatamente ronfanti).
I manti, piccoli ravioli ripieni di carne serviti in salsa allo yogurt, con spezie e menta.
Il caviale del Caspio assaggiato al Bazar Egiziano.
Le cozze fritte, mangiate in un ristorante davanti al mare di Anadolu Kavagi.
La vista sul Mar di Marmara, sulle Isole dei Prinicipi e sulla parte asiatica della città dalla nostra camera d'albergo (Empress Zoe, a Sultanahmet: consigliato. Trust in tic).

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Ah però!
A me quella città fa venire in mente la famosa (famosa? Beh, almeno divertente, dai) canzone dei They Might Be Giants!

tic. ha detto...

E come no!
Istanbul (not Constantinople) da FLOOD, 1990...
Ho amato assai i They Might Be Giants, signor Felson.
LINCOLN (conosce?) era una cosa incredibile.

Anonimo ha detto...

E ci siamo dimenticati di narrare del lustrascarpe del Corno d'Oro???


ps. qualcuno qui mi deve il copyright per le foto...

Anonimo ha detto...

Ehm, Lincoln conosco sì, ma solo Abraham.

Anonimo ha detto...

ottimi appunti di viaggio:ordinati, semplici, efficaci quanto a spunti.

Un po' d'invidia.....

Mi organizza un viaggio anche per la mia adorata T.?

tic. ha detto...

Grazie, o Anonimo!

Dedichiamo, io ed E., molto tempo all'organizzazione dei nostri viaggi.
Anzi, a dirla tutta come andrebbe detta, è mia moglie l'anima di tutto.
Io, che sono uno sfigato, colgo solo l'aspetto letterario delle questioni.

Un saluto.

Anonimo ha detto...

Si nel senso che il libro utile al viaggio lo ha finito di leggere quando ormai siamo a casa. E quando decidiamo di partire mi fa "Bene, il mio contributo al viaggio è leggere questo libro".
Come quando Bart Simpson, per aiutare la famiglia in difficoltà finanziarie, annuncia "Io comincerò a fumare e poi smetterò".

tic. ha detto...

Quanto sopra per farvi capire il tenore del rapporto tra me ed E.

Anonimo ha detto...

che bella coppia!

tic. ha detto...

Grazie, grazie...
Ma io sono un pricipiante, veramente...

Unknown ha detto...

Complimenti. Bel viaggio. Ma la cosa che più mi ha sconvolto è stata leggere dell'accompagnatore d'eccezione che hai avuto. Pamuk?!? Io leggo i suoi libri e sogno di incontrarlo. Deve essere una persona incredibilmente interessante e piacevolissima. Ma come hai fatto? Passeggiare attraverso le strade di Istanbul con Orhan come guida è come radiografare poeticamente la città, vedere attraverso la sua storia, i suoi segreti le sue tradizioni. Un sogno, appunto! Leggere "Istanbul" è una droga: vorresti leggere tutti gli altri libri che l'autore menziona durante la narrazione. In questo momento sono alla ricerca del testo di Brodskij ed ho già ordinato il libro di "De Amicis", l'edizione completa, ovviamente! :-) Ciao e grazie per aver condiviso il racconto del tuo viaggio! Roberto.

Anonimo ha detto...

Wow, che ottimo accompagnatore che hai beccato!
Perchè non vieni a raccontarci le tue avventure su quel di Istambul anche su Trivago? Trivago è una community di viaggiatori che scambia pareri, foto, opinioni...
Senza impegno, prova a darci un occhiata..