E vabbé, sono un romantico. Adesso è ufficiale.
Nel senso che ieri sera ho saputo dello scioglimento dei REM e questa mattina giù canzoni dei REM come se piovesse o come se i REM siano stati la mia band del cuore, il che non è (nel senso che io non ce l'ho mai avuta, una band del cuore, avendone avute molte, anzi pure troppe, o meglio avendo avuto molte band del cuore a seconda del
mood di volta in volta prevalente dalle mie parti perché io, si sa, sono un tipo scostante e assai volubile).
Ma forse non è che sono un romantico, è solo che sto invecchiando.
O magari l'alternativa è quella messa giù da Bob Dylan, al tempo:
“either I'm too sensitive or else I'm getting soft”, e tra rammollirsi e invecchiare chissà cos'è meglio.
E insomma ieri sera è venuto fuori che i REM hanno chiuso i battenti e oggi non è nemmeno stata dei REM, la prima canzone che ho ascoltato prima di buttarmi sui suddetti, ma dei fIREHOSE, una bella robina del 1987 intitolata
For the singer of Rem - tre minuti e qualcosa in perfetto
REM style -
REM style sull'incalzante, non su giri lenti,
if you know what I mean e spero proprio di sì perché ciò significherebbe che i REM, nella vostra vita, li avete frequentati almeno un po' - che sembra cantata da Michael Stipe in persona più che dal vocalist dei fIREHOSE e che non ho mai capito se debba essere considerata un omaggio con genuflessione annessa ai ragazzi di Athens, Georgia, o come un'affettuosa parodia, completa di liriche sul criptico-surreale andante che Michael Stipe avrebbe potuto benissimo cantare.
E con gli anni Ottanta siamo arrivati al punto, perché per me i REM sono soprattutto una faccenda da anni Ottanta.
Ricordo come fosse oggi la prima recensione di un loro disco in cui mi imbattei: era firmata da Federico Guglielmi sul numero 65 del Mucchio Selvaggio, giugno 1983. Trattavasi di
Murmur, il loro primo lp (allora si chiamavano così, lp), e io avevo appena finito la prima liceo con matematica da riparare a settembre. Sosteneva Guglielmi che i REM ci tenevano in qualche modo ad assomigliare ai Byrds, anche se ne parlò come di Byrds aggiornati all'era new wave.
Allora non è che i Byrds li conoscessi poi molto, a dire il vero, ma capii immediatamente dove si voleva andare a parare (“i mitici anni Feffanta”, come avrebbe detto Gianni Minà) e la cosa mi sconfinferava un sacco, anche se poi il disco non lo comprai io ma il mio amico Nicola, che provvide a registrarmelo.
Quella cassetta mi accompagnò fedelmente per un bel po'. Fu con me, tra l'altro, nella mitica gita scolastica a Firenze del 1985: la ascoltai in corriera quelle millanta volte, col walkman (ve li ricordate i walkman, sì?) della mia amica Tatiana.
In quel 1984 uscì poi il secondo REM,
Reckoning, che piacque a tanti e per il quale vennero chiamati in causa, per la band, altri numi tutelari, oltre ai Byrds (influenza tra l'altro non riconosciuta, venimmo a scoprire, dai signori Stipe, Buck, Mills e Berry), tipo ad esempio i Velvet Underground più morbidi (valga come esempio
Camera) o certa psichedelia anno '67 o giù di lì, quando certe canzoni rock finivano per assomigliare a dei raga (ascoltatevi, se vi capita,
Time after time) epperò, a ben vedere, qui i Byrds potrebbero essere chiamati in causa ancora, volendo.
Nel 1985, quando fu la volta di
Fables Of The Reconstruction/Reconstruction Of The Fables, si capì – almeno chi aveva orecchie per intendere - che i REM erano lì per durare.
Intanto si fecero produrre da uno dei grandi stilisti del folk-rock fine Sessanta/primi Settanta, quel Joe Boyd che, per dire, aveva messo la sua firma sotto capolavori assoluti come
Unhalfbricking dei Fairport Convention,
Fives Leaves Left e
Bryter Layter di Nick Drake e
The Hangman's Beautiful Daughter della Incredible String Band: il che significava, se permettete, non solo conoscere un po' di storia, ma aver voglia di
misurarsi con la storia.
E poi, beh, le canzoni di quel disco (cose come
Maps and legends o
Wendell Gee, con quel magico tocco di banjo) erano davvero magnifiche, autentici prodigi di scrittura e classe.
Ve lo dico? Beh, sì, dai: con
Lifes Rich Pageant, del 1986,
Fables... è il
mio disco dei REM. Quello che ho ascoltato questa mattina assieme, appunto, a
Lifes Rich Pageant, di cui ho mandato in loop quelle quaranta volte
These days, col suo
tiro che non se ne fanno più, con i suoi intrecci di voci (una cosa che i REM han sempre saputo fare come pochi), con quelle parole che a diciott'anni mi uccidevano (
We're young despite the years we are concern/ we are hope despite the times) e che oggi mi hanno fanno venire i brividi per tutte le cose che son riuscito a ricordare di me e della mia vita.
E adesso posso pure tornare indietro da dove son partito, cioè da
For the singer of Rem dei fIREHOSE, solo per dire che senza
the singer, senza la voce di Michael Stipe, i REM mica sarebbero stati i REM: come riconobbe una volta Peter Buck, la band avrebbe potuto suonare in mille modi diversi ma
quella voce sarebbe sempre stata unica e inimitabile e avrebbe fatto di una loro canzone una canzone
inconfondibilmente loro.
E insomma, avrete inteso, per me i REM erano
leggenda già a metà anni Ottanta. Non ho avuto bisogno, insomma, di
Out Of Time e di
Losing my religion (vent'anni fa, diobono) per saperlo.
E in ogni caso, beh, sì: i REM che amo di più son quelli del 1985 e del 1986, epperò
Everybody hurts è cosa del '92 ed è pure una delle più belle canzoni della musica popolare di ogni tempo e luogo, giusto? Quindi lasciatemi pure cantare, va...
Gli ultimi dischi dei REM andavano avanti col pilota automatico, è vero, verissimo. Ma non sono mai stati indegni. Manierati? Sia. Ma non indegni.
Concludendo, ieri si è chiusa una gran bella storia, gente. E se per voi che mi leggete la musica pop è qualcosa di importante (per me sì che lo è, mi ha salvato la vita), di sicuro i REM qualche bella emozione ve l'hanno regalata.
Chapeu, dunque.