sabato 29 agosto 2009
venerdì 28 agosto 2009
Camerata Fini presente!
Sostiene Bersani che il Presidente della Camera dei deputati ha preso tanti applausi parlando, in fondo, “delle nostre idee” e che perciò dovremmo essere tutti quanti “più orgogliosi di noi”.
Dissento da Bersani.
Nostre idee? Quali nostre idee?
Siamo proprio sicuri che Fioroni, Binetti, Bobba e via papisteggiando – tutta gente che sta nel Pd - sarebbero disposti a sottoscrivere le affermazioni di Fini sul testamento biologico?
Sì?
In realtà, i calorosissimi applausi della platea democratica a Fini dicono che - dopo un annetto di veltronismo, puro e applicato, e di puttanate variamente assortite - emotivamente il Pd è conciato così male che il primo che passa dalle sue parti può portarselo a letto.
E senza nemmeno sbattersi troppo: basta fare l'occhiolino...
mercoledì 26 agosto 2009
Sapete com'è...
lunedì 24 agosto 2009
Letteratura
«I ragazzi – ha raccontato il nostro - non volevano andare a dormire, volevano sapere, sapere ancora»: capite? È stato allora che Veltroni ha pensato che «la devastazione della memoria è stato il risultato più tragico di questi anni». Perciò ha voluto scrivere proprio «un libro sulla memoria». Quindi ha definito Bettino Craxi «un innovatore». Ma mi accorgo che sto divagando.
E insomma, Veltroni sta girando l'Italia per promuovere Noi.
Intervistato dal Resto del Carlino ha parlato del nostro come di un Paese meraviglioso ma anche molto, molto sfortunato, sapete? Un Paese che «ha conosciuto il fascismo, le leggi razziali, la mafia e il terrorismo» - e che ha fatto molto spesso finta di non averli mai conosciuti, mi permetto di aggiungere io: ma sto nuovamente divagando.
I giornalisti del quotidiano bolognese, alla fine - forse per tirarlo un po' su di morale, poveraccio - gli hanno fatto una domanda davvero simpatica, e cioè quale personaggio letterario avrebbe potuto essere associato, secondo lui, ai suoi due avversari storici, Silvio Berlusconi e Massimo D'Alema.
Bene.
Per il papi della Patria, Veltroni ha scelto Falstaff, «un uomo refrattario alle regole».
Per D'Alema ha pensato invece «a Bartleby, lo scrivano di Herman Melville, uno che si fa ricordare per la frase “I would prefer not to”. “Preferirei di no”».
E io a questo punto chiedo a voi: a quale personaggio letterario assocereste il famoso scrittore democratico Walter Veltroni?
A me è dapprima venuta in mente Joli-Cœur, la scimmia ammaestrata di Sans famille di Hector Malot.
Poi ho pensato alla nonna Olga di Va' dove ti porta il cuore, il famoso romanzo della Tamaro dal titolo evocativo quant'altri mai.
Ma voi, voi che dite?
domenica 23 agosto 2009
Al calduccio sotto le mie copertine (n.9)
giovedì 20 agosto 2009
Profeta non sarò
martedì 18 agosto 2009
Calzini bucati
Ad esempio, ieri son venuto a sapere che un paio d'anni fa il presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, ha commissionato a Giovanni Allevi un “inno alle Marche”. Bene: ho riso fino alle lacrime. Cosa dovevo fare?
Però 'sto Gian Mario Spacca del famoso Partito democratico, benedetto uomo...
Quando presentò alla stampa la composizione di Allevi disse così: “L'inno ci mette in sintonia con le corde della nostra comunità”.
Come vuoi non ridere, davanti a una roba del genere?
Come vuoi non ridere quando leggi che Walter Veltroni ha di recente messo a punto una proposta di legge molto seria contro il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi?
Come vuoi non ridere se Paola Binetti afferma, tutta compunta, che l'uso del cilicio “ci costringe a riflettere sulla fatica del vivere, è il sacrificio della mamma che si sveglia di notte perché il bimbo piange”?
Come vuoi non ridere con Debora Serracchiani che, presa anche lei da sacro fervore, si mette a dar voti a destra e a manca?
Vabbé... Vi regalo un pezzettino di una vecchia intervista a Jacques Tati.
Devo alla mia tardiva vocazione di discolo la mia prima visione divertente dell'umanità.
Fino a quando mi sono comportato bene, il mio banco si trovava in prima fila di fronte al professore.
Di lui non vedevo che due guance ben rasate e una cravatta impeccabile. Poi, un giorno, sono stato cacciato in un angolo e allora mi sono accorto che il mio insegnante aveva i buchi nelle calze, i pantaloni gualciti e si grattava di continuo i malleoli. Insomma ho cominciato a scoprire il mondo.
Sa cosa ricordo della guerra del '40? Un vecchio capitano che l'indomani della disfatta cercava di fuggire con una bicicletta senza catena.
Tati non lo sapeva, ma stava parlando pure di me.
domenica 16 agosto 2009
sabato 15 agosto 2009
Parole celebri dalle mie parti (n.68)
giovedì 13 agosto 2009
Chi cerca, trova
La sentenza afferma pure che “un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico” e che lo Stato “non può conferire ad una determinata confessione una posizione dominante violando il pluralismo ideologico e religioso”.
La Conferenza Episcopale Italiana si è incazzata di brutto, naturalmente: la sentenza del Tar del Lazio sarebbe solo il frutto malato di un “bieco illuminismo”. La buttano sulla cultura, i preti: “l'insegnamento della religione cattolica non sostiene scelte individuali, ma di una componente importante di conoscenza della cultura italiana. Con buona pace dei laicisti e dei nostri fratelli nella fede di altre confessioni cristiane” (e gli ebrei?).
L'attuale ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, ha già annunciato il suo ricorso contro la sentenza (il suo predecessore, il povero Fioroni appunto, glielo aveva chiesto da subito e alquanto perentoriamente): “Faremo ricorso al Consiglio di Stato. I principi cattolici sono patrimonio di tutti” perché “la cultura del nostro Paese è intrisa di cultura cattolica, la scuola ha il compito di trasmettere questi valori non solo religiosi ma culturali”.
Fin qui i fatti, adesso le opinioni: le mie (povere) opinioni.
L'Italia è un paese cattolico? Eccome se lo è.
E la cultura dei cattolici tosti (quelli alla Binetti o alla Fioroni) prevede, come voleva Agostino di Ippona, la subordinazione della città terrena alla Civitas Dei. E si capisce: anche se l'esistenza del cristiano deve gioco forza svolgersi nel mondo, dal mondo sarà prima o poi separata. Ma quello che accade dopo, per un cristiano, è molto più importante di ciò che è accaduto prima.
Il cristiano, da vivo, dovrà portarsi in modo da conseguire la propria salvezza ultraterrena; lo Stato e chi lo governa avranno perciò innanzitutto il compito di ridurre gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione della salvezza del singolo. Ne consegue che, nel pensiero cristiano, morale e politica procedono necessariamente divaricate perché la destinazione dell'individuo non è neanche lontana parente della destinazione della società.
Aveva ragione Jean Jacques Rousseau, altro che, quando scriveva che “il cristiano è un cattivo cittadino. Se nella società fa il suo dovere, ciò è un dato di fatto, ma non di principio, perché per il cristiano è essenziale il Paradiso”.
Perciò mi sa che non ha alcun senso incazzarsi se Fioroni o la Binetti pretendono che coloro a cui non importa un fico secco della fede cattolica operino invece secondo i dettami della fede cattolica: è nella loro natura, punto. Inutile quindi discuterci, con Fioroni e con la Binetti: si perde tempo e basta. Bisogna solo combatterli, Fioroni e la Binetti. E senza concedere nulla, perché loro non concederanno mai nulla: trattasi di gente abituata a rappresentare al proprio meglio la Verità Assoluta, il “relativista etico” che, poveretto, non è d'accordo con loro merita solo disprezzo, nella migliore delle ipotesi sussiego.
Poi.
L'Unità d'Italia - che verrà forse celebrata, nel 2011 - nasce contro il papismo: spero proprio che qualcuno si degnerà di ricordarlo, se non fa troppo schifo...
Per una settantina d'anni ci fu una divergenza radicale tra il Regno d'Italia e la Chiesa cattolica: divergenza superata solo con il Fascismo e con Benito Mussolini “uomo della Provvidenza”, e qualcosa questo vorrà pur dire, nevvero?
I liberali che fondarono lo Stato italiano, poi sconfitti dai fascisti, sono stati sempre e solo un nemico da combattere, per il Vaticano. Pio XI parlò di “disordinamenti liberali” (che altro non sono che un prodotto del “bieco illuminismo” di cui si è querelata ieri la Cei) mica per niente: mi piace un sacco ricordarlo!
La Chiesa cattolica ha sempre avversato il liberalismo. E anche se Pio XII, dopo la caduta del Fascismo, dovette convenire che la democrazia dà luogo al miglior regime possibile, ciò non toglie che - aggiunse subito dopo – essa è legittima solo se conforme alla dottrina sociale della Chiesa.
L'idea dell'Italia come di uno stato confessionale fu viva almeno fino al Concilio Vaticano II: ancora negli anni Cinquanta il cardinale Ottaviani (non un cardinale qualunque) parlava tranquillamente della Spagna di Franco come di un modello di stato cristiano.
La questione dei rapporti Stato-Chiesa, nel corso del XX secolo, andò progressivamente perdendo le sue asperità.
Il laicismo, più che l'anticlericalismo, si stemperò di molto nei primi cinquant'anni di vita della Repubblica, assumendo via via un carattere residuale. Fu soprattutto la dialettica DC-PCI a tutto sopire e troncare: dall'articolo 7 della Costituzione voluto da Palmiro Togliatti al compromesso storico berlingueriano, per intenderci.
Ma poi è arrivato il cardinale Ruini, con quella sua bella faccia da faina: a prendere atto, innanzitutto, che in questo Paese il mondo laico, prima che la Sinistra, era ormai sfiatato, infiacchito e del tutto incapace di elaborare un autonomo disegno culturale; quindi a progettare la riconquista dell'Italia - terra prediletta da Santa Romana Chiesa - alla Verità contro i disordinamenti liberali, il bieco illuminismo ed eventualmente i cattolici adulti; e infine a menare, menare, menare.
Per quanto mi riguarda, ho perfettamente compreso il messaggio.
Guerra? Guerra.
lunedì 10 agosto 2009
Generali d'acciaio
La prima, il 19 agosto, sarà l'ordinanza anti-accattonaggio, le altre entreranno in vigore solo col primo settembre.
Si prevede di multare gli accattoni, ma solo se “molesti”. E già qui, secondo me, si può cominciare a dire qualcosina.
Alla voce molestia il Gabrielli, vocabolario della lingua italiana, riporta: “1 Sensazione di disagio o di fastidio fisico o morale provocata da cose o persone; 2 Azione che arreca fastidio o incomodo”.
E io mi chiedo: ma non siamo qui nel campo delle impressioni soggettive?
Cioè, per esempio: io trovo molesti i cretini (davanti a un cretino provo di solito una “sensazione di disagio o di fastidio fisico o morale”: è innegabile); poi trovo molesti i leghisti (davanti a un leghista provo di solito una “sensazione di disagio o di fastidio fisico o morale”: è innegabile); se poi mi trovo in presenza di certi cretini a cui piace da morire correre dietro ai leghisti (in genere perché ci godono da matti, politicamente parlando, ad annusare loro le terga), per me è decisamente il massimo del fastidio, ostia!
Bene: cosa significhi “accattone molesto” io non lo capisco. Non lo posso capire perché in tutta la mia vita, purtroppo, non ho mai trovato "molesto" un mendicante: a me i mendicanti, tutti i mendicanti, sembrano solo dei disgraziati e punto. Secondo il sindaco della città di M. (un bell'uomo, va detto), che ha firmato tutto orgoglioso le delibere di cui sopra, un accattone molesto sarebbe "un mendicante invadente", uno che condiziona il senso di pietà del cittadino - così almeno ha scritto, non smentito, il nostro magnifico quotidiano locale - provocando del disagio con l'avvicinamento fisico o con richieste verbali.
Però attenzione: il sindaco della città di M. è comunque un sindaco del famoso Partito democratico e quindi solo il mendicante molesto verrà sanzionato. Il mendicante buono, quello che si limita a tendere una mano o un contenitore ai passanti, non sarà colpito in alcun modo. A meno che non rompa le balle alla gente in mezzo alla strada o a ridosso degli incroci, nell'ambito del mercato settimanale, in occasione di manifestazioni particolari, nei parcheggi dei centri commerciali e in quelli di accesso all'ospedale, ai luoghi di culto e ai cimiteri. Cioè, quasi ovunque.
Infine, occhio: è vietata nella città di M. la contemporanea presenza sulla stessa via, piazza, porticato o area di parcheggio, di più di tre persone che mendicano con qualsiasi modalità. Cioè, tre accattoni in giro può anche andare, più di tre proprio no: non buono.
Naturalmente, siccome siamo del Pd, mica può mancare il politically correct touch: si fa presente infatti che, “in parallelo” alla lotta senza quartiere alla mendicità, gli uffici comunali della città di M. esercitano in ogni caso, e continueranno a esercitare, un attento monitoraggio sulle situazioni di disagio sociale, emarginazione e nuova povertà, segnalando le situazioni di indigenza e intervenendo con idonee misure sociali, perbacco baccone!
E con la coscienza, quindi, noi siamo a posto: nevvero?
Poi, il decoro e la vivibilità urbana. E qui, vi avverto, siamo nel campo delle grandi conquiste civili, perciò tenetevi forte.
Divieto d'imbrattamento con scritte e disegni! Divieto di affissioni abusive su edifici e sulla pubblica via! Guerra ai graffittari non autorizzati! Divieto di danneggiare beni immobili e mobili! Divieto di danneggiare edifici pubblici e privati! Divieto di danneggiare monumenti! Divieto di danneggiare muri! Panchine! Carreggiate! Marciapiedi! Alberi! E poi: vietata, assolutamente vietata, la lordatura di edifici e strade mediante residui fisiologici - in questa fattispecie configurandosi, ricordiamolo, anche il reato di atto osceno in luogo pubblico!
Che dire? Si vede che, prima di queste ordinanze, nella città di M. era perfettamente lecito, che so? Imbrattare i muri e i monumenti o pisciare e cagare per strada.
Dulcis in fundo, le biciclette.
Basteranno, le rastrelliere che ci sono a M., per tutte le biciclette in circolazione? Lo si spera.
In ogni caso, gli immigrati del Bangladesh, che si spostano prevalentemente in bicicletta, sono avvertiti: dal primo settembre non potranno più agganciare le loro miserabili due ruote ai manufatti stradali e agli alberi.
Se volete la mia, su 'sta roba si apriranno diversi contenziosi anche con gli indigeni (con i cittadini di M. per diritto di nascita, insomma), che biciclette e motorini li usano non poco. Ovvero, un conto è vedere un negro che si becca una multa (così impara come ci si deve comportare a casa nostra!), un conto è beccarsi una multa da monfalconese perché si è lasciata la bici esattamente dove lo si è sempre fatto, ovvero legata al palo del divieto di sosta davanti al bar, alla macelleria o alla farmacia: “Cossa?!? A mi la me da la multa? A mi?!? Ma cossa semo? Mati? Ma poveri noi, dove che semo finidi... Ma andè a romperghe le bale ai cabibi che no i lavora, cossa me rompè i coioni a mi?!?”, e via andare.
Saranno contenziosi politicamente insidiosi, ohi ohi ohi: gli immigrati, come si sa, non votano, gli indigeni invece sì.
Staremo a vedere.
In ogni caso, dopo più di un anno di discussioni tra il sindaco della città di M., il capo dell'ufficio di gabinetto del sindaco della città di M. e un altro paio di iniziati ai sacri misteri, nella città di M., finalmente, habemus Legem!
Perché era doveroso, poche ciàcole, rispondere al “senso di insicurezza percepito dai cittadini” o, per comodità, semplicemente al “percepito dei cittadini”, come dice spesso il nostro Primo Cittadino.
Ma voi lo sapete che cos'è il “percepito”, vero? No?
Chiamasi “percepito” la quantità media di merda che il cittadino italiano medio assorbe dalla tivvù berlusconiana ogni giorno che gli dei mandano in terra.
Che altro dire? Come concludere questa patetica, inutile intemerata?
Ma in un modo che sia degno della serietà dell'argomento trattato, ovviamente.
Assomigli a tutti noi, sei furbo e birichin
e perciò noi gridiam, viva Topolin!
i mille e mille sogni di un bambin, ah! ah! ah!
Topolin, Topolin, viva Topolin!
e perciò noi gridiam, viva Topolin!
i mille e mille sogni di un bambin, ah! ah! ah!
Topolin, Topolin, viva Topolin!
anche noi, come voi, canterem così.
Come noi bambini, tu sei tanto piccolin,
Topolin, Topolin, viva Topolin!
venerdì 7 agosto 2009
Un'espressione geografica
La prima vignetta risale al 1993. C'è Robespierre che dice: “In Italia non hanno capito la differenza tra una rivoluzione e una retata”.
Un'altra, del 2008. Un bambino e un adulto seduti davanti al mare. Bambino: “L'Italia è una repubblica?”. Risposta: “No, una penisola”.
E non c'è proprio niente da ridere, sapete?
mercoledì 5 agosto 2009
And after this our exile
Che non ve ne potrebbe fregare di meno della storia di una famiglia middle class di Long Island di ascendenza irlandese (e quindi di religione cattolica romana) attraverso trent'anni, o giù di lì, di Storia americana?
Sicuri?
Dopo tutto questo
, di Alice McDermott, è il più bel romanzo che ho letto quest'anno.Di cosa parla? Di genitori e figli, di fratelli e sorelle, di preti e suore, di educazioni cattoliche e aborto, della Seconda Guerra Mondiale e del Vietnam, di adolescenza e vecchiaia, di solitudine e follia, di casette suburbane e della Grande Città, di alcolismo e disperazione, di amicizie che salvano la vita e di poveri amanti... E pure di voi, se pensate che una famiglia possa essere - a volerla dire con Bob Dylan - “a shelter from the storm”, un riparo dalla tempesta (devo questa suggestione dylaniana a un'intervista all'autrice).
E, per carità, lo so che qui in Italia la famiglia è molto spesso una disgrazia assoluta (non eravamo, secondo Edward C. Banfield, la terra del “familismo amorale”? Non lo siamo ancora?), una gabbia opprimente e oppressiva, il munitissimo fortino dove si sono asserragliati i più acerrimi nemici della società e dello spirito civico: lo so.
Ma alla famiglia Keane finirà per appartenere anche la povera Pauline, psicotica e alcolizzata, che verrà adottata, quindi scelta (e curata. E salvata....) da John e Mary ma soprattutto da Clare, la loro figlia minore, perché - a volerla dire con Bruce Springsteen - “the ties that bind”, i legami che uniscono (devo questa suggestione springsteeniana a me stesso e basta), sono quelli dell'amore e non quelli del sangue.
E, con Springsteen, termino: ho pensato alle sue elegie per la povera gente (e alla sua etica) praticamente sempre, mentre leggevo Dopo tutto questo. A una canzone di Nebraska, in particolare: quella che chiude il disco, Reason to believe.
Ed è con una ragione per credere, per sperare, che si conclude anche il magnifico romanzo di Alice McDermott. Che vi auguro di leggere, ça va sans dire.
At the end of every hard earned day people find some reason to believe.
lunedì 3 agosto 2009
Parole celebri dalle mie parti (n.67)
sabato 1 agosto 2009
¡Socialismo o muerte!
Per chi non lo sapesse, la Ru486 – utilizzata da tempo in gran parte dei paesi europei – è un farmaco abortivo che blocca l'azione del progesterone, l'ormone che sostiene l'evoluzione della gravidanza.
Secondo l'avvenente monsignor Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita (che dev'essere una roba parecchio importante, visto il nome che porta), la Ru486 non sarebbe un farmaco, “ma un veleno letale”: chi dovesse prescriverla dovrebbe essere scomunicato esattamente come chi dovesse scegliere di farne uso.
Dietro a Sgreccia, sempre i soliti: quelli del Movimento per la Vita, quelli di Scienza e Vita, la terribile Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute e alla rottura di coglioni, e - ma solo in spirito, purtroppo - i signori Francisco Franco Bahamonde e Augusto Pinochet Ugarte.
Insomma, un can can della madonna (ops...).
Ora, dovete sapere che nel 1966 Nicolae Ceauşescu, per aumentare la popolazione della Romania, decise di proibire l'aborto alle donne sotto i quarant'anni con meno di quattro figli. Nel 1986 il limite di età fu portato a quarantacinque anni.
Tutte le donne rumene in età fertile erano obbligate a esami medici mensili per prevenire gli aborti.
Si poteva abortire solo in presenza di un rappresentante del partito comunista: secondo Ceauşescu, il feto era “una proprietà socialista di tutta la società”.
Ai medici rumeni che operavano in distretti con un tasso di natalità in diminuzione veniva ridotto lo stipendio.
La popolazione non aumentò: in compenso, l'aborto illegale, come unica forma di controllo delle nascite in un paese poverissimo, era ampiamente praticato. Si calcola che in ventitré anni, a seguito della legge del 1966, in Romania siano morte, scannate dalle mammane, non meno di diecimila donne.
Detto ciò, ancora un paio di dati: in Romania il tasso di mortalità infantile reale era così alto che, dal 1985, un neonato veniva registrato all'anagrafe solo se riusciva a sopravvivere alla quarta settimana di vita.
Quando Ceauşescu fu rovesciato, il tasso di mortalità era di venticinque neonati su mille e più di centomila bambini vivevano in orfanotrofi.
Perché vi ho raccontato tutto questo?
Ma perché credo sinceramente che se fosse per la magnifica Eugenia Roccella - o per la splendida professoressa Binetti (del Pd...) - il feto, in Italia, verrebbe molto volentieri dichiarato “proprietà socialista di tutta la società”...
E cose turche ci attendono, vedrete: il Vaticano promette di reagire all'affronto subìto e il Maschio Dominante della Patria sulla faccenda ci si butterà a pesce per far dimenticare ai papisti di essere un puttaniere. I papisti dimenticheranno facilmente. Vogliamo scommettere?