Mario Pirani, su Repubblica, continua a prendersela con il livello disastroso dell'istruzione pubblica in Italia.
Oggi un articolo della sua rubrica LINEA DI CONFINE inizia così: “L'addove con l'apostrofo è solo uno degli infiniti strafalcioni che costellavano la prova scritta dei quattromila laureati in giurisprudenza, presentatisi all'ultimo concorso per entrare in magistratura. Gli errori di ortografia, di grammatica elementare, di sintassi, l'assoluta incapacità espositiva si sono rivelati tanto diffusi ed irrecuperabili che alla fine il collegio docente ha rinunciato ad assegnare 58 dei 380 posti che aveva a disposizione”.
Secondo Pirani, la scuola italiana ha ormai da tempo rinunciato alla qualità dell'insegnamento in nome di un permissivismo demenziale con cui si è fatto credere ai ragazzi che “potevano largamente infischiarsene del rispetto della lingua nazionale (ma anche delle altre discipline, dalla matematica alla storia)”. Una delle bestie nere del giornalista è l'inesauribile inventiva di certi pedagogisti nostrani (professionisti a contratto di chiarissima fama, servitori assai stimati di due padroni, i ministri dell'istruzione Luigi Berlinguer e Letizia Moratti, Franza o Spagna purché se magna!). Cito da un articolo apparso su Repubblica sabato 20 ottobre 2007, La scuola nel paese dei balocchi: “chi alla fine dell'anno si mostrava assolutamente carente gli si dava un voto virtuale, un sei rosso, come veniva chiamato, perché era scritto sui quadri finali con questo colore. Poi lo si nascose in nome della privacy e la carenza è stata, finora, resa nota per lettera ai genitori, con l'informazione che, per ogni materia con insufficienza grave, il loro figliolo era gravato da un “debito” che avrebbe dovuto saldare negli anni seguenti. Ma in tutto quest'arco di tempo solo uno studente su 4 si è dimostrato capace di saldare i debiti entro la fine del successivo anno scolastico. La maggioranza ne esce fino al termine dei corsi con una serie di promozioni che si portano in seno una sequela di bocciature, cancellate artificiosamente”. Perché questo è accaduto, negli ultimi anni, nella scuola italiana.
Conosco un paio di professori universitari. Ogni tanto mi capita di chiedere com'è il materiale che arriva loro dalle scuole superiori. Mi rispondono, generalmente, con due sole parole: “Da piangere”. Detto da gente, badate, che ormai è da quasi un decennio che piange già per conto suo comunque, visto come è stata ridotta l'Università italiana da una politica del cazzo, di sinistra e di destra, che ha pensato bene di chiamare “riforme” una immane sequela di astrusità burocratiche e di imposizioni didattiche da barzelletta.
Risultato? I ragazzi italiani risultano i peggiori d'Europa nei test internazionali. Tra di loro c'è qualche eccellenza, e come no: in genere parliamo di figli di famiglie dove la cultura è di casa e la televisione, se c'è, rimane accesa molto poco. Famiglie in buone e buonissime condizioni economiche, ovviamente. Ed è fantastico, davvero, toccare con mano che certi egualitarismi vissuti come un valore a prescindere e certi permissivismi anti-autoritari hanno avuto come risultato una scuola dove, è ancora Pirani, “la differenza di classe sociale genera una ingiustizia assai più grave che nel passato”.
Cito una simpatica giornalista, la Concita De Gregorio: “Non so dire con precisione cosa sia successo nella scuola italiana dal tempo dei nostri genitori (Dante e Ariosto a memoria, capacità di tradurre all'impronta quasi intatta oggi, a sessant'anni dalla maturità) al nostro (vaghe reminiscenze di antiche fatiche) a quello dei nostri figli”.
Io, nel mio piccolo, credo che sia successo qualcosa nella società, prima che nella scuola. La scuola è uno specchio della società: di solito la segue immancabilmente, come l'intendenza di De Gaulle.
E forse stiamo parlando di un fenomeno che non è solo italiano. Nell'articolo di oggi, Pirani segnala che anche in altri paesi c'è chi ha cominciato a fare i conti con “una prolungata deriva permissiva in casa e a scuola”. Pare che Le Monde, nei giorni scorsi, abbia ospitato un bel dibattito tra psicologi infantili, psichiatri ed educatori che si sono confrontati “con i figli di una generazione che ha confuso autorità con autoritarismo e si è ritratta di fronte ad ogni forma di punizione”.
Nella famiglia, e poi nella scuola (quindi prima nella società, e solo dopo nella scuola) per anni annorum si è rubricato in non cale ogni principio di autorità e ci si è dedicati a demolire allegramente - con annesso corredo di fumisterie psico-pedagogiche a fornire copertura culturale - ogni concetto di limite. Alla fine, la figura del docente non poteva che perdere ogni autorità di ruolo e gli studenti non potevano che vivere la scuola come un luogo insignificante, “da attraversare di tappa in tappa, anche senza eccessiva fatica e sforzo, dove ogni tipo di comportamento è tollerato ed impunito, dove non esiste sanzione, dove i più scansafatiche e i bulli si affermano e prevalgono nel gruppo”.
D'accordissimo con Mario Pirani, per quello che vale la mia opinione.
Perché ho voluto scrivere di scuola? Ma perché nel 2008 molto si parlerà del quarantennale del 1968.
E figuratevi qui da noi - altro che Francia! - dove il 1968 è durato un decennio (perché ci son voluti nove anni a smaltire quella che è stata una sbronza politica davvero omerica) come saremo afflitti dai "com'eravamo"...
E come eravamo belli, noi. Noi che una certa lettera ad una certa professoressa la leggemmo, vedete, in tempo reale. Noi che l'autoritarismo l'abbiamo combattuto eccome, ed era dura, altro che voi. Noi che c'eravamo tanto armati. Noi che non è un caso, cari e care, se veniamo celebrati come la meglio gioventù.
Intanto, in Italia, a quarant'anni da quelle gloriose vicende, siamo passati per legge dal diritto allo studio garantito dalla Costituzione repubblicana al “diritto al successo formativo”: pensate che progresso! Con tutto che il ministro Fioroni ha cercato un po' di cambiar rotta, se non proprio di invertirla, di ritornare (che bello da dire) all'ordine, mi pare che ci sia poco da stare allegri. E' da anni, ormai, che il “riformismo”, di sinistra e di destra, vede nella scuola italiana un terreno privilegiato di sperimentazione e azione. Rimane ancora qualcosa da demolire?
4 commenti:
profesor Tic mi- ca si metera ha coregere i nostri post a'deso? o' paura!
non creda non ce ne fossimo accorti: tutti a squola è una citazione dal titolo del gran film con pippo franco
Lei E' UN GRANDE!!!
E' troppo vero: quando lo scrivevo pensavo a Pippo Franco.
Se la ricorda la scena in cui balla, assieme alle vechie zie, "Tripoli, bel suol d'amore"? La puntina del grammofono s'incanta sui solchi del disco alle parole "al rombo del cannon" ed entra Bombolo che dice "co sto rombo del cannon c'avete rotto li cojon!".
Eh, beh... Momenti di grande cinema.
e chi si ricorda REMO e ROMOLO (Storia di due figli di una lupa)?
Posta un commento