Se n'è andato lo scorso anno, Luigi Meneghello.
Conoscete qualche sua opera? Spero per voi di si. Credo che il suo libro più popolare sia I piccoli maestri, uscito ne1964: magari vi sarà capitato di vedere il film che ne ha tratto Daniele Luchetti una decina di anni or sono.
Non è il suo libro migliore, però (ma è pur sempre, va detto, uno dei più bei testi che mai siano stati scritti sulla Resistenza. Solo di poco inferiore al miglior Fenoglio, quello di Una questione privata e de Il partigiano Johnny, per dire).
La palma spetta, secondo me, al suo esordio del 1963, Libera nos a Malo (in maiuscolo, Malo... Meneghello, infatti, proprio a Malo, in provincia di Vicenza, nacque nel 1922).
Io ho scoperto Luigi Meneghello solo ai tempi dell'università: dunque un po' tardi, purtroppo per me. Penso che sia uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento e nel contempo uno dei meno italiani... Ne fa fede, ritengo, quella che ho deciso di pubblicare, che è innanzitutto una (splendida) dichiarazione di poetica tratta da un libro bellissimo che si chiama La materia di Reading e altri reperti, pubblicato da Rizzoli nel 1997.
All'Università di Reading, nel Regno Unito, Meneghello insegnò per molti anni: fu proprio lui a fondarvi il Dipartimento di Studi Italiani, nel 1961.
Quindi, sempre a proposito di lingua italiana (ricordate, vero, quel testo di Leonardo Sciascia che ho pubblicato su talkischeap il 12 gennaio? E ricordate, forse, che allora avevo scritto qualcosa come "ho deciso di pubblicare alcuni testi che trattano della questione della lingua"?), ovvero di rispetto per la lingua italiana, e sempre a proposito di igiene linguistica, ladisengentelmen: Luigi Meneghello!
E' stato in Inghilterra, e attraverso la pratica dell'inglese, che ho imparato alcune cose essenziali intorno alla prosa. In primo luogo che lo scopo della prosa non è principalmente l'ornamento, ma è quello di comunicare dei significati. Questa per me era una novità. Faceva a pugni con l'intera temperie dell'educazione retorica a cui ero stato esposto.
Ma c'è dell'altro. C'era la nozione che l'oscurità non ha un pregio particolare, e posso assicurarvi che non era (e non è) facile convincere un italiano della mia generazione che è così. C'era poi l'idea che nelle cose che scriviamo la complessità non necessaria è sospetta, e non è affatto invece il prodotto naturale di una mente poderosa. Anzi, a un certo punto credo di essere arrivato molto vicino a credere che la complessità superficiale di un brano di prosa è probabilmente indizio di una mente debole, di un modo di pensare inefficace e confuso. E per concludere, c'era infine l'idea che, a parità di altre condizioni, la solennità è un difetto.
E così siamo arrivati a quanto pare al paradosso che è stato qui a Reading, ascoltando gli inglesi, che ho imparato a scrivere in prosa italiana.
Ah, si... Quasi dimenticavo: Luigi Meneghello militò nel Partito d'Azione.
Si capisce, vero?
2 commenti:
agli interessati segnalo che il domenicale, l'inserto culturale del dì di festa del sole 24 ore,è uso pubblicare testi di meneghello, in vita titolare di una rubrica
l'anonimo qui sopra sono io
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