Un sacco di gente è rimasta alquanto impressionata (sembrerebbe) da quanto ha scritto Ilvo Diamanti su la Repubblica domenica scorsa.
Oggi il (leggendario) presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, dichiara a Curzio Maltese che nella descrizione dei cittadini delusi, traditi o esuli in patria di cui ha parlato Diamanti ha ritrovato “molti sentimenti che sono anche i miei (e te pareva, n.d.r.), di uno in politica da sempre (eh, già, n.d.r.). Come non rendersene conto e dare sempre tutto per scontato? Per decenni ci siamo illusi (aspetta un po', aspetta un po': ci siamo chi?, n.d.r.) che i voti degli operai o delle periferie fossero nostri per sempre. Poi ci siamo illusi (chi è che si è illuso, scusa?, n.d.r.) che un pezzo d'Italia ci avrebbe votato comunque contro quello là. Ma chi l'ha detto? (e io che ne so? Pensavo lo sapessi tu, n.d.r.) Un atteggiamento aristocratico che ci ha impedito di elaborare una nuova agenda politica e di andare all'attacco quando avremmo dovuto farlo”. Avete capito, sì? La politica, dopo aver combinato dei casini immani, troverà di certo il modo per rimettere tutto quanto a posto. Basterà solo consegnare il potere alla generazione dei Nicola Zingaretti e... Voilà!
E adesso Michele Serra disteso sull'amaca.
Ilvo Diamanti definisce gli elettori di sinistra delusi “esuli in patria”. Mi chiedo se il neosegretario del Pd Franceschini, nonché i litigiosi leaderini della fu sinistra “arcobaleno”, l'abbiano valutata nella sua poetica gravità. Dice, quella definizione, che è in atto (in misura ancora non valutabile) un Aventino non delle classi dirigenti, ma del popolo. Italiani in genere socievoli e civili, non estremisti, che vivono una sorta di amarissime dimissioni dalla politica rappresentativa, quella delle elezioni, del solenne rito democratico del voto, del Parlamento, delle istituzioni. In Abruzzo e in Sardegna hanno già lasciato il segno.
Recuperarli del tutto o in parte è possibile? Di certo, questo dovrebbe essere il primo scrupolo dei politici di professione. Ma parlare agli “esuli in patria” comporta la fatica di rinunciare a parlare di se stessi, dei giochi di partito, delle beghe di corridoio. L'esercito dei media, i manipoli di telecamere e taccuini, sono sintonizzati (da anni) soprattutto sul gioco partitico, sul penoso parolificio delle dichiarazioni stizzose, dei comunicati pedanti. Anche per il più intelligente e autocritico dei politici, è un'impresa disperata uscire da quel gioco degli specchi. Ci vorrebbe una genialità francescana, uno scarto anti-sistema (mediatico) per dare l'idea che si ha voglia di parlare d'altro, e dunque di parlare nuovamente alle persone.
Questo scrive oggi Serra. Che la politica, insomma, ha combinato dei casini immani. Riuscirà la politica a rimettere tutto a posto?
Ma vediamo un po' cos'ha scritto domenica Diamanti. Vediamo...
Sì, vabbè: ha parlato di elettori di sinistra delusi. Esuli in patria.
Gente consapevole, istruita, laica, tollerante, che si riconosce nei valori della Costituzione. Gente che oggi nutre “una sfiducia totale nei confronti della politica e dei partiti. Anzitutto verso il Pd per cui hanno votato. Per questo non si sentono traditori ma semmai traditi. Perché hanno creduto molto in questo soggetto politico. Per cui hanno votato: alle elezioni e alle primarie. E oggi non riescono a guardare altrove, a cercare alternative”. E fin qui siamo appunto alla politica, ovvero alle “dimissioni” di molti cittadini (istruiti, laici, tolleranti eccetera eccetera) dalla politica. Ma Diamanti aggiunge altro: la sfiducia dei cittadini di cui sopra “si rivolge oltre il partito di riferimento. Anzi: oltre i partiti. Oltre la politica. Si allarga al resto della società. Agli altri cittadini. Con-cittadini. Rispetto ai quali, più che delusi, si sentono estranei. (...) Guardano insofferenti gli italiani che votano per Berlusconi e per Bossi. Quelli che approvano le ronde e vorrebbero che gli immigrati se ne tornassero tutti a casa loro. La sera. Dopo aver lavorato il resto del giorno nei nostri cantieri. (...) Provano fastidio - neppure indignazione – per gli italiani. Che preferiscono il maggiordomo di Berlusconi a Soru. Che guardano Amici e il Festival di Sanremo, il Grande Fratello. Che non si indignano per le interferenze della Chiesa. Né per gli interventi del governo sulla vicenda di Eluana Englaro”. Secondo Diamanti, 'sti cittadini istruiti, laici e tolleranti (?) guardano con distacco al loro paese, anzi “non lo guardano nemmeno. Per soffrire di meno, per sopire il disgusto: si sono creati un mondo parallelo”.
Michele Serra sembra non averci fatto caso, a queste ultime parole. Chissà come mai...
Io invece, nel mio piccolo, ci ho fatto caso eccome.
No, perché, insomma... Ve lo confesso, dai: a me è capitato di riconoscermi nel ritratto di chi prova fastidio (è giusto, è giusto: non indignazione, fastidio) per moltissimi dei propri connazionali: quelli che la Maria De Filippi, quelli che il Grande Fratello, quelli che l'Isola dei Famosi, quelli che il calcio, quelli che meno male che Silvio c'è, quelli che Itaaaalia Unooooo!, quelli che 'sti immigrati bisognerebbe fare come fanno in Spagna che li mitragliano in mare prima che approdino, quelli che ieri erano gli albanesi, oggi sono i rumeni e domani saranno gli eschimesi, quelli che Di Bella aveva sconfitto il cancro ma la Bindi, quelli che l'aviaria, quelli che la sars, quelli che Tremonti aveva previsto tutto, quelli che non sono fannulloni e quindi non hanno niente da temere dal ministro Brunetta, quelli che a mezzanotte va la ronda del piacere, quelli che Padre Pio. Quelli.
E allora anch'io credo, come no, che la sinistra, tanto per cambiare, abbia un bel problema: recuperare i suoi elettori delusi, “far tornare gli esuli”, come scrive Diamanti.
Ma credo pure che, in questo preciso momento, sia la società italiana tutta ad avercelo, un bel problema. E ci vorrà ben altro, temo, che “una genialità francescana, uno scarto anti-sistema (mediatico)” per rimetterci in carreggiata e “per dare l'idea che si ha voglia di parlare d'altro, e dunque di parlare nuovamente alle persone”, come sostiene Michele Serra.
Io (e, come me, moltissimi altri) non ho niente da dire, a quelli là. Non ho proprio niente da spartire, con quelli là.
Perché li detesto. E sono ricambiato di cuore, non ne dubito.
Edmondo Berselli chiama tutto ciò “guerra civile a bassa intensità”.