The Song Before the Song
(sottotitolo:
Early and Original Versions of Classic Songs That Shaped Popular Music 1920's-1950's) è il disco più divertente che ho ascoltato nel 2008.
No contest.
Non è roba di quest'anno, a dirla tutta, ma questo non vuol dire proprio niente di niente e vorrei anche vedere:
in primis perché me lo so' accattàto solo tre mesi fa, 'sto prodigio di cd, e
in secundis perché la musica che vi è contenuta non potrà
mai essere nuova, né attuale, né di moda (ma non potrà mai nemmeno passare di moda: tiè!). Ed è proprio per questo, alla fine, che a
The Song Before The Song ho voluto e voglio un sacco di bene.
Se masticate un pochino (giusto un pochino) l'inglese magari avrete intuito (dal sottotitolo di cui sopra)
de qué hablamos...
Di canzoni, sì. Ma mica di canzoni qualsiasi, sapete? Quelli della
Viper Label di Liverpool sono degli assi ad inventarsi delle compilation e in questo caso ne hanno assemblata una che pare un fuoco d'artificio:
“songs that shaped popular music”, canzoni che hanno dato forma alla musica popolare, certo, e che hanno
“inspired and influenced artists, covering them almost exactly or taking elements and molding it into their own version”.
In
The Song Before The Song, per dire, ci trovate
Baby Please Don't Go di Big Joe Williams (quante cover ne conoscete?),
My Baby Left Me di Arthur 'Big Boy” Crudup (rifatta da Elvis. E pure dai Creedence Clearwater Revival di
Cosmo's Factory),
Diddie Wah Diddie di Blind Blake (è la canzone che chiude
Paradise And Lunch, che poi sarebbe uno dei dischi più belli – il più bello? - incisi negli anni Settanta da quello straordinario stilista della musica
roots statunitense che è Ry Cooder), la versione di Josh White di
House Of The Rising Sun, a.D. 1944 (incisa da Dylan nel suo primo album e, due anni dopo, dagli Animals),
Gallis Pole nella versione registrata nel 1939 da Leadbelly (io ce l'ho pure nella versione Folkways di Fred Gerlach, del 1962; voi magari la conoscerete come
Gallows Pole, da Led Zeppelin III, 1970. La fonte, per Jimmy Page, fu la versione di Gerlach, comunque, non quella di Leadbelly),
I'm A Man Of Constant Sorrow, Emry Arthur, 1928 (l'avete presente, sì? Gli Stanley Brothers, Bob Dylan, persino Rod Stewart e su su fino alla colonna sonora del capolavoro dei fratelli Coen,
O Brother, Where Are Thou?), la
Hound Dog di Big Mama Thornton poi cantata da Elvis (e scritta da dagli immensi, ma davvero,
Jerry Leiber e
Mike Stoller: "JEWISH TEEN DUO WRITE NONSENSE SONG FOR BLACK R&B SINGER - DISGUSTING". Simpatica, questa, no? Funzionava così, negli Stati Uniti del 1952, ovvero tanti, tanti anni prima di Obama).
Tutto questo per restare sul versante 'cover'. Se poi volete capire cosa significa, ehm, “ispirarsi” a una canzone scritta da qualcun altro, ci sarebbe la fa-vo-lo-sa Bull Doze Blues di Henry Thomas, del 1928, a cui i Canned Heat appunto si “ispirarono” (ma parliamo pure di una re-invenzione, come fa Steve Hardstaff nel documentatissimo libretto che accompagna il cd...) per la loro Going Up The Country.
Fate in modo di ascoltarlo, 'sto gioiello, dai: lasciatevi servire dal povero tic. E' decisamente un must se il rock'n'roll (e quindi il blues e il R&B, il country and western e l'hillbilly music, e in definitiva il folk americano in tutte le sue molteplici forme) fa, in qualche modo, parte della vostra vita. Della mia fa decisamente parte, per fortuna: perché me l'ha salvata.
P.S.
Su Viper Label di 'sti prodigi ne trovate a pacchi.
Ad esempio Banged Up. American Jailhouse Songs 1920's – 1950's, una compilation che prova a raccontare “the prominence of the prison song” nella musica americana. Si apre con Riot In Cell Block Number Nine dei Robins e si chiude con Folsom Prison Blues di Johnny Cash (I shot a man in Reno just to watch him die...) passando per Jimmie Rodgers, Bukka White, Big Maceo Merriweather, i Delmore Brothers, Bessie Smith, Richard Berry, Gene Autry e insomma per la crema della crema della musica americana del Ventesimo secolo.
E quest'anno, a maggio, è uscita un'altra bella robina che si intitola Up Jumped The Devil. American 'Devil' Songs 1920's – 1950's, “tales of temptation, nightmare, possession and pure devilish fun” narrate da tipini come come Gene Vincent (Race With The Devil), Screamin' Jay Hawkins (Little Demon), Skip James (Devil Got My Woman. Che altro, sennò?), i Clovers (quel doo wop da sogno che è Devil Or Angel), gli Almanac Singers (Get Behind Me Satan), Sister Rosetta Tharpe (The Devil Has Thrown Him Down), Washboard Sam (She Belongs To The Devil), Otis Spann (l'arrembante I'd Rather Be The Devil, una delle mie canzoni da isola deserta) e tal Robert Johnson (Early this mornin' when you knocked upon my door/ Early this mornin' when you knocked upon my door/And I said Hello, Satan, I believe it's time to go). E scusatemi, scusatemi tanto per tutti questi titoli ma mi pareva bello finire con il diavolo, la vigilia di Natale.