sabato 18 dicembre 2010

O Capitano, mio Capitano


L'ho appena saputo dalla pagina Facebook di Carlo Bordone, un giornalista del Mucchio, che ieri se n'è andato Capitan Cuordibue, al secolo Don Van Vliet, un artista immenso, irraggiungibile.
Non saprei davvero dire quante volte, in vita mia, ho risposto: “Certo che mi piace! E molto. Perché?” alla domanda: “Ma a te piace davvero, 'sta roba?”.
La “roba” in questione era Trout Mask Replica, un suo disco del 1969 composto in una sola seduta di otto ore e mezza al pianoforte – uno strumento che Captain Beefheart, clarinettista e armonicista, prima di quel momento non aveva mai suonato – provato poi per mesi e mesi in una villa in mezzo a chissà quale deserto americano e inciso infine in meno di cinque ore.
Rock dadaista, venne definito da qualche bello spirito: musica sul serio pazzesca, sciamanica (Gimme dat ole time religion/ Gimme dat ole time religion/ Gimme dat ole time religion), primitiva, istintiva, disturbante, figlia di quell'irripetibile esplosione di creatività che furono gli ultimi anni Sessanta, del Delta blues e del free jazz più selvaggio.

Era dal 1982, da un disco che si intitolava Ice Cream for Crows, che il Capitano non incideva più.
Ma se avete frequentato un pochino il Tom Waits post Swordfishtrombones (da Rain Dogs a Mule Variations passando per Bone Machine), allora Captain Beefheart l'avrete sentito cantare e suonare un sacco di volte anche dopo il 1982: sul grandissimo Tom la sua musica ha avuto infatti un'influenza enorme, sempre onestamente dichiarata.
Sia lieve la terra al Capitano.

3 commenti:

Manfredi ha detto...

Quest'anno sono morti troppi musicisti che apprezzavo. Ora basta, su. Rip

Anonimo ha detto...

Per me... Trout Mask Replica è una cagata pazzesca ...

Guido

tic ha detto...

E vabbé.
De gustibus...