martedì 28 dicembre 2010

Le fonti di Maurizio Belpietro

«Ebbene, sì. Lo confesso. Sono stato io, Willard Pogrebin, un tempo così mite e promettente, a sparare al presidente degli Stati Uniti. Fortuna ha voluto, però, che un tale tra la folla intervenisse a torcermi la mano che impugnava la Luger deviando il colpo, sicché la pallottola, dopo aver rimbalzato contro un'insegna metallica, andò a conficcarsi in una mortadella, nell'Emporio Insaccati Himmelstein. Dopo una lieve colluttazione, durante la quale diversi poliziotti fecero un nodo alla marinara con il mio gargarozzo, venni immobilizzato e mi portarono a razzo in osservazione al neuro-deliri.»

Ieri Maurizio Belpietro, il direttore del famoso quotidiano Libero, ha scritto che ci sarebbe in agenda, per la prossima primavera, un finto attentato al Presidente della Camera dei deputati, onorevole Gianfranco Fini, in occasione di una visita istituzionale di quest'ultimo in Puglia, lasciando in qualche modo intendere che sarebbe stato proprio il diretto interessato ad averlo commissionato, per 200mila ricchi euro, ad un manovale della criminalità locale.
Fini avrebbe ordito tutta 'sta machiavellica trama per poi far ricadere la colpa del proprio ferimento (lieve, ovviamente...) sul Presidente del Consiglio Berlusconi, condizionando in tal modo l'esito delle prossime elezioni politiche (che il direttore Belpietro prevede, dunque, molto vicine). L'attentatore prezzolato si sarebbe volentieri prestato ad accusare il falso mandante, ça va sans dire.
Oggi Fini ha querelato Belpietro.
A me tutto ciò ha ricordato una storiellina di Woody Allen, Tempi duri e scellerati. La trovate su Effetti collaterali, vedi mai desideraste leggervela.

Vi si racconta di un tizio pagato dal presidente degli Stati Uniti Gerald Ford (ve lo ricordate? Era il vice di Nixon e diventò presidente subentrandogli quando Tricky Dick fu costretto a dimettersi sull'ondata di piena delle rivelazioni dello scandalo Watergate. Secondo Lyndon Johnson, Ford era talmente dotato, sul piano intellettuale, da non riuscire a masticare del chewing-gum e a scorreggiare nello stesso momento) un tizio pagato da Gerald Ford, dicevo, per «tirargli, di tanto in tanto, una revolverata, badando bene di mancare il bersaglio. Questo, disse, gli avrebbe dato modo di comportarsi eroicamente e sarebbe servito a distogliere l'attenzione della gente dalla vere questioni importanti...».

lunedì 20 dicembre 2010

Al calduccio sotto le mie copertine (n.27)

Arcade Fire, Neon Bible, 2007

Do you know where I was at your age?
Any idea where I was at your age?
I was working downtown for the minimum wage.
And I'm not gonna let you just throw it all away.
I'm through being cute, I'm through being nice,
Oh tell me, Lord, am I the Antichrist?!

sabato 18 dicembre 2010

O Capitano, mio Capitano


L'ho appena saputo dalla pagina Facebook di Carlo Bordone, un giornalista del Mucchio, che ieri se n'è andato Capitan Cuordibue, al secolo Don Van Vliet, un artista immenso, irraggiungibile.
Non saprei davvero dire quante volte, in vita mia, ho risposto: “Certo che mi piace! E molto. Perché?” alla domanda: “Ma a te piace davvero, 'sta roba?”.
La “roba” in questione era Trout Mask Replica, un suo disco del 1969 composto in una sola seduta di otto ore e mezza al pianoforte – uno strumento che Captain Beefheart, clarinettista e armonicista, prima di quel momento non aveva mai suonato – provato poi per mesi e mesi in una villa in mezzo a chissà quale deserto americano e inciso infine in meno di cinque ore.
Rock dadaista, venne definito da qualche bello spirito: musica sul serio pazzesca, sciamanica (Gimme dat ole time religion/ Gimme dat ole time religion/ Gimme dat ole time religion), primitiva, istintiva, disturbante, figlia di quell'irripetibile esplosione di creatività che furono gli ultimi anni Sessanta, del Delta blues e del free jazz più selvaggio.

Era dal 1982, da un disco che si intitolava Ice Cream for Crows, che il Capitano non incideva più.
Ma se avete frequentato un pochino il Tom Waits post Swordfishtrombones (da Rain Dogs a Mule Variations passando per Bone Machine), allora Captain Beefheart l'avrete sentito cantare e suonare un sacco di volte anche dopo il 1982: sul grandissimo Tom la sua musica ha avuto infatti un'influenza enorme, sempre onestamente dichiarata.
Sia lieve la terra al Capitano.

lunedì 13 dicembre 2010

I confess

Oggi, a pranzo.
Si chiacchiera, con mia moglie, del più e del meno.
Ad un certo punto si finisce per parlare di Berlusconi che è arrivato a comprarsi dei voti utili a ottenere la fiducia dal Parlamento.
Io dico che il papi della Patria non riesce più stupirmi: è un farabutto conclamato e c'è poco da aggiungere.
Elena è più profonda: Berlusconi non stupisce nemmeno lei, ma...
«È un imprenditore - ancorché molto anomalo, lo sappiamo - e ragiona da imprenditore. Deve raggiungere un determinato risultato? Si compra le professionalità che gli servono per ottenere quel risultato, sottraendole alla concorrenza. E c'è poco da aggiungere...».
Eh, sì: gli imprenditori in politica fanno cose molto strane, a volte.
Cose che con l'impresa, magari, c'entrano molto: il problema è che non c'entrano niente con la democrazia.
E chi meglio di me può saperlo?
Non ho forse votato Riccardo Illy per ben due volte, io?

venerdì 10 dicembre 2010

Parole celebri dalle mie parti (n.93)


"Se la mano è leggera non vuol dire che sia estranea al delitto."

(Alda Merini)

mercoledì 8 dicembre 2010

Renegade communists do it better!

“L'intellettuale è più su, più giù. L'intellettuale è più oltre!”
(da C'eravamo tanto amati, di Ettore Scola, 1974)






Che forte, Massimo D'Alema!


L'altro ieri era comunista (sapete i comunisti, no? Quelli che ritenevano che dare a uno del 'socialdemocratico' fosse molto peggio che dargli del coglione), ieri socialdemocratico (perché sarebbe stata “un'anomalia tutta italiana” - ricordate? - un Ulivo che dalla socialdemocrazia europea pensasse di prescindere) e oggi... ma oggi è oltre, no? Anzi, più oltre!
Perché la socialdemocrazia non basta più, perdinci. L'ha scritto qualche giorno fa, l'intelligentissimo D'Alema, su un giornaletto di quelli tanto à la page tra i riformisti de noantri (“la principale sfida che socialisti e socialdemocratici devono affrontare oggi è la progettazione di un nuovo ciclo politico, che non deve essere il semplice ritorno al vecchio modello tradizionale socialdemocratico. Piuttosto, dobbiamo considerare il contributo che la socialdemocrazia europea può offrire ad una coalizione progressista e democratica. Non lo dico soltanto dal punto di vista partitico, ma anche in termini culturali e sociali più ampi e profondi. Un’ampia coalizione della quale la socialdemocrazia sarà solo una componente”) e tutto ciò forse sarà pure vero ma suona malissimo, detto da lui.
Non so a voi, ma a me stanno proprio sulle palle quelli che pensano di essere perfettamente in grado di recitare tutte le parti in commedia e con esiti ugualmente brillanti...
Il problema, però, è il pubblico e solo il pubblico, visto che – incredibilmente! - Massimo D'Alema un suo pubblico ce l'ha ancora.
E le alternative mica sono migliori.
Prendiamo Vendola.


Me lo ricordo bene, io, l'immaginifico Nichi, quando andava in giro per l'Italia, dopo la Bolognina, a spiegare al popolo beota che era proprio tanto bello continuare a chiamarsi comunisti, e che no? Gli piaceva un sacco, quella vecchia narrazione del Novecento, al nostro. Così diceva, almeno. E – sapete? - lo diceva precisamente con la stessa prosopopea che sfoggia di questi tempi: ma la stessa proprio sputata sputata, eh!
Poi l'ho visto sedere soddisfatto, per anni annorum, accanto al pensoso Fausto Bertinotti, il subcomandante degli happy hour: gli piaceva una botta, al Nichi, la narrazione del Fausto e lo comunicava molto volentieri a tout le monde perché, si sa, lui è uno comunicativo. E sempre con la stessa prosopopea che sfoggia di questi tempi, lo comunicava: ma la stessa proprio sputata sputata, eh!
Poi me lo vedo negli ultimi mesi, negli ultimi giorni, in giro a destra e a manca dopo esser stato miracolato dall'intelligentissimo D'Alema che per ben due volte ha scelto di fargli la guerra, giù in Puglia, e mica candidandoglisi contro direttamente, cosa che avrei pure capito, bensì utilizzando tutte e due le volte lo stesso carneade - anzi lo stesso utile idiota (leninisticamente parlando, si intende...) - nella convinzione, squisitamente progressista, che a) mai e poi mai i pugliesi – gente tradizionalmente moderata e timorata di dio - avrebbero votato per un comunista omosessuale e che b) la Puglia fosse cosa sua e solo sua, e quindi i pugliesi potevano benissimo votare per il cavallo del politico più intelligente d'Italia e si ricordassero pure di ringraziare.
Invece Vendola, ahi ahi ahi, vinse... Tra parentesi, si sa: se qualche mese fa Adriana Poli Bortone non avesse deciso di correre da sola, alla facciaccia del Pdl pugliese, forse mò staremmo raccontando un'altra storia, staremmo. Ma tant'è.
Ora, siccome da tempo, a sinistra, D'Alema è considerato una sorta di Re Mida al contrario – tutto quello che tocca si trasforma in merda: è cosa nota – al suo per-ben-due-volte-nemico Nichi Vendola è toccato per forza di assurgere a vette iperuranie, tra i tanti orfani della sinistra italiana (magari solo tra gli orfani della sinistra comunista italiana, che non era poi una cosa tanto banale da doversi meritare dei curatori fallimentari dello stampo di un D'Alema o di un Veltroni).
E qui siamo, a tutt'oggi: Nichi, Nichi, Nichi! Salvaci tu!!!
È stato Silvio, a insegnarcelo: un uomo solo al comando ci salverà tutti! Che poi Nichi lo chiamano Nichi perché Silvio lo chiamano Silvio, no?
Vendola ieri era comunista, l'altro ieri - assieme a Fausto Bertinotti - rimestava minchiate in nome della 'sinistra radicale' (chi se le ricorda, “le due sinistre”?) e oggi proclama che lui detesta sentir parlare di sinistra radicale perché sinistra radicale non significa (effettivamente...) nulla di nulla.
E sempre con la stessa prosopopea, il Vendola, eh: sempre con la stessa faccia come il culo.
Tutte le parti in commedia, via... Anzi, tutte le parti nella sceneggiata: iss', ess' e o' malament'.
Tanto il pubblico - dopo sedici anni di berlusconismo che, tra le altre cose, hanno letteralmente raso al suolo la sinistra italiana - è di bocca buonissima.
Massimo più oltre e Nichi: e sarebbe 'sta gente, a doverci salvare, sì?


E al di là dell'aspra invettiva - qualcuno potrebbe chiedermi - cosa proponi?
Di ricominciare a studiare, intanto.
Poi di andare meno in tivvù.
Poi di lasciar perdere la politica come biografia personale, la politica come narrazione e la politica come narrazione di una biografia personale.
Poi di smetterla di firmare deleghe in bianco a chiunque, e in special modo a certi valorosissimi condottieri da talk show.
Poi di lasciar perdere tutta quella gente che si autoassolve nella convinzione di essere l'eterna vittima dei politici cattivi e non la mamma dei medesimi.
Poi di ricordarsi di dire 'noi', qualche volta.
Poi, se non fa troppo schifo, di riscoprire un po' il gusto dell'indignazione e dell'intransigenza.
Infine, di darsi tempo.
Perché per uscire da 'sto casino immane ci vorrà del tempo.
E molta pazienza.

lunedì 6 dicembre 2010

Una lettura consigliatissima (e una recensione, forse...)

"Silvio Berlusconi è un grande comunicatore."

"Umberto Bossi è un animale politico dal fiuto straordinario."

"D'Alema, a sinistra, è il più intelligente."