martedì 30 giugno 2009
Pulp Fiction (di Quentin Tarantino)
lunedì 29 giugno 2009
Parole celebri dalle mie parti (n.64)
sabato 27 giugno 2009
Chi ha ucciso Michael Jackson?
(un intramontabile classico dell'avanspettacolo)
P.S.
Il mistero della fine di Michael Jackson (il Corriere della Sera, 27 giugno 2009)
Chi ha ucciso il Re del Pop? (la Repubblica, 27 giugno 2009)
venerdì 26 giugno 2009
Al calduccio sotto le mie copertine (n.5)
Hüsker Dü, Warehouse: songs and stories, 1987
Yearbooks with their autographs
From friends you might have had
These are your important years
You'd better make them last
Falling in and out of love just like...
These are your important years, your life.
giovedì 25 giugno 2009
E poi dicono che le province sono enti inutili...
“Non mi piace che al giorno d’oggi si pubblicano soprattutto libri di persone conosciute, famose e non si dà molto spazio a giovani emergenti che potrebbero avere molto di bello da dire ai lettori. Spesso si pubblicano libri su argomenti appositi, solo per vendere copie e basta, senza dare importanza alle cose importanti della vita. In poche parole bisognerebbe anche ascoltare la voce di giovani scrittori esordienti anche se pseudo sconosciuti”.
mercoledì 24 giugno 2009
Chi
lunedì 22 giugno 2009
Un poeta è un poeta è un poeta
Vi parlerò del poeta triestino (proprio come Saba!) Igor Gherdol, cari lettori. Anzi, farò di più: lascerò che sia soprattutto lui a parlare di sé. D'altra parte, egli parla sempre molto volentieri di sé.
Dal suo sito internet (http://www.igorgherdol.com/) apprendiamo che l'uomo nasce a Trieste il 30 maggio 1979 (e diciamolo pure: data fatidica quant'altre mai, il 30 maggio! Giorno che vide Giovanna D'Arco morire bruciata sul rogo a Rouen, nel 1341, ma anche nascere - nel 1955, a Gainesville - Aurelian Smith, straordinario wrestler statunitense meglio conosciuto con lo pseudonimo di Jake 'The Snake' Roberts) e che si è diplomato in elettronica industriale come tecnico delle industrie elettroniche, specializzandosi poi nel campo delle automazioni e conseguendo l'attestato di qualifica come tecnico della sicurezza. La sua prima raccolta poetica esce nel 1996 e si intitola Poesie bizzarre.
Trattasi di componimenti ancora acerbi ma il talento proteiforme e la zampata imperiosa del grande poeta già si intuiscono. Si prendano come esempio i versi, straordinariamente profondi, de Il cane (Dicono; il miglior amico/ di noi, noi uomini./ Certo lui si,/ noi invece no.// Questo capita quando/ noi lo trattiamo male./ Quando lo abbandoniamo./ Dove? Per le strade.// Noi siamo troppo egoisti./ Ci fa piacere d'inverno,/ d'estate poi l'abbandoniamo./ E lui povero finisce male.// Le bestie ragionano, noi no./ Non ci piace questo?/ Allora trattiamolo bene/ e con lui tutti gli animali.) e quelli filosofici, stricto sensu, de Il tempo, meditazione scopertissima (e quanto dolente!) su Agostino di Ippona (Il tempo vola e va./ Le ore passano, / i giorni passano,/ i mesi passano,/ gli anni passano,/ e noi non ce ne rendiamo conto.// (...) Come vola il tempo?/ Mi sembra ieri, quand'ero ragazzino./ Così la vita continua./ E come continua, con noi?/ Si. Con noi o senza di noi.// Vi sembra giusto questo? Domanda difficile vero?/ Io non saprei rispondere.// Questo spetta a voi./ Voi dovete rispondere/ e poi riflettere,/ riflettere della propria vita.// Il tempo alla fine vola e va;/ e nessuno mai lo fermerà) e vi faccio solo notare, en passant, che alla fine dell'ultimo verso Gherdol NON mette il punto fermo: suprema finezza stilistica, questa, a significare l'assoluta impossibilità per gli uomini di placcare il tempo che vola, inesorabile, verso quella sporca, ultima meta...
Igor Gherdol smette d'essere un poeta implume per spiccare sicurissimo il volo dal nido già con la sua seconda raccolta di versi, Attimi...
Solo Dio salva, nella Weltanschauung gherdoliana: Adesso sono qui/ ma non so domani./ Devo pregare Dio/ e sperare di restare.// La vita è meravigliosa/ poveraccio chi non lo sa,/ dovrebbe apprezzarne/ i lati belli/ e quelli brutti,/ perché grazie a Lui,/ Lui, Dio che l'ha data,/ adesso siamo qua.
Il demonio è sempre in agguato, come in Massacro totale (Occhi di tigre/ incutono terrore./ Spaziano la savana), ma i puri di cuore, gli innocenti come il poeta, possono salvarsi perché sanno che breve è la vita, tutto un percorso/ di gioie e dolori, e che bisogna ringraziare il Signore d'ogni bellezza, di/ qualsiasi cosa successa,/ bella o brutta/ che sia.
Questi versi di altissimo, purissimo sentire fanno da battistrada al più alto componimento poetico di Gherdol, la lirica dedicata al buon Papa Giovanni Paolo II (santo subito!).
Come ha scritto S.E. il vescovo Eugenio Ravignani nella prefazione a Giovanni Paolo II e Trieste,
“"Perché un giovane di 26 anni ti scrive dopo la tua morte?" Igor Gherdol scrittore già noto ed affermato, così si rivolge a Giovanni Paolo II, e si dà risposta: "Tu lo sai il motivo. Gradirei che le mie umili parole girassero il mondo e tutti potessero ricordare chi eri, quanto eri buono, quanto hai fatti per la mia vita". Sceglie la forma filiale, affettuosa e confidenziale, per una lettera che vuol indirizzare "al suo papa". È, più che uno scritto, un colloquio, a cuore aperto, ricco di sincere espressioni di amore. Ed è proprio l'amore che traspare da ogni parola ad assumere spesso venatura di autentica poesia e a rendere comprensibile, e, se del caso, perdonabile, qualche eccesso di devozione, come quando nel Papa egli vede "Dio nostro Signore sceso in terra per purificare il mondo dall'oscurità dei nostri peccati" e confessa al Papa il desiderio e la sua attesa che "quella umile bara si aprisse e tu resuscitassi come Nostro Signore"”.
Perciò bene ha fatto il sindaco di Trieste, Roberto Di Piazza (santo subito!), a conferire a Igor Gherdol il sigillo trecentesco della città di Trieste il 29 giugno del 2007: un riconoscimento (per quanto mi riguarda stra-me-ri-ta-to!) a un artista che, a soli ventotto anni, aveva già, pensate, ben quindici pubblicazioni al suo attivo (cioè un grande quantitativo, come direbbe l'avvocato Ghedini). E mica si è fermato al sigillo trecentesco, il sindaco Di Piazza: noooo... Egli ha voluto infatti consegnare a Gherdol, nel maggio di quest'anno, pure una ricca targa in occasione dei 15 anni trascorsi dagli inizi della sua prolifica attività letteraria, quale riconoscimento “per l'impegno e la passione profusi”.
Il modo migliore per avvicinarsi all'arte gherdoliana è, a tutt'oggi, Diamante, uscito per i tipi di THE BOOPEN EDITORE, Napoli, nel 2008.
Questo il testo che si trova in quarta di copertina, sempre a firma del poeta:
Cari amici, quante la mia penna ha inciso nero su bianco quello che il mio cuore le dettava. Sarei molto felice sapendo che voi avete apprezzato almeno una frase, un verso di un mio scritto. Spero ciò sia accaduto. Negli anni passati mi sono accorto che una prefazione non dev’essere troppo lunga, altrimenti vi stancherebbe cari amici, quindi sarò sintetico o quasi ermetico. Nella vita, durante il percorso di essa s’impara molto, si vengono a conoscere molte cose che magari il giorno prima s’ignorava l’esistenza. Ho capito molte cose, mi sono state insegnata altre e con umiltà ho deciso d’impararle. In questo mio scritto cercherò di trasmettervi qualche piccola emozione da me goduta in questo periodo. Spero sia di vostro gradimento.
Non vi tedierò ad oltranza, vi lascio tra l’odore della carta e dell’inchiostro, freschi entrambi di stampa. Buona lettura.
E qui vi lascio anch'io, cari lettori (non vorrei mai tediarvi ad oltranza), e dedico questo mio povero post a chi pensa che la vita letteraria triestina contemporanea sia solo Claudio Magris, Boris Pahor o, che so? Pino Roveredo. Errore! C'è anche Igor Gherdol.
Ho bisogno di successo/ d'esser desiderato// Voglio che il mio/ “io” sia apprezzato (da Abbisogno, in Attimi...).
P.S.
La dodicesima fatica di Igor Gherdol si intitola Tsunami (il sole risorgerà...). Il poeta tiene particolarmente a far sapere che il suo libro è stato “pubblicato prima del terribile evento accaduto nell'Est Asiatico”. Una profezia, quindi, quella di Gherdol? Non ci sarebbe davvero niente di cui stupirsi.
Come scrisse Apollinaire, “certi uomini sono colline/ che si levano tra gli altri uomini/ e vedono da lontano tutto l'avvenire/ meglio che se fosse presente/ più limpido che se fosse passato”.
sabato 20 giugno 2009
Se tanto mi dà tanto...
mercoledì 17 giugno 2009
Il mondo a testa in giù
Secondo il loro autore, le novelle da un minuto offrono al lettore il vantaggio di fargli risparmiare del tempo “perché non pretendono un'attenzione che si prolunghi per settimane e mesi”. Possono esser lette nei tempi morti tra un'attività e un'altra, anzi meglio: sembrano quasi richiederla espressamente, una lettura disimpegnata, erratica, piluccante, “mentre l'uovo cuoce, mentre aspettiamo che il numero chiamato si liberi (se è occupato)... Possiamo leggerle stando seduti, in piedi, al vento e sotto la pioggia, o mentre viaggiamo su un autobus sovraffollato. Quasi tutte si possono leggere con piacere anche camminando!”. Un po' d'olio di macchina spruzzato sugli ingranaggi della vita di ogni giorno, insomma: utile a far scorrere meglio le sue parti meccaniche (che sono davvero tantissime) e a dare un qualche senso ai suoi molti (troppi...) automatismi. Tutto qua? Ma certo che no: come ha scritto Gianpiero Cavaglià, “le Novelle da un minuto, pur con il loro titolo nel segno dell'understatement, di fatto non sono soltanto storielle divertenti, buone a farci passare il tempo mentre aspettiamo il tram o cuoce il nostro uovo (come ci consiglia l'autore nelle Istruzioni per l'uso). Esse sono anche delle prospettive asimmetriche e inconsuete dischiuse su di una realtà quotidiana che, sebbene «molto ungherese», è immediatamente vicina alla nostra esperienza, grazie al registro stilistico di cui Örkény si serve: quello del comico, esasperato spesso fino al grottesco”.
Dei raccontini fulminanti (a me hanno ricordato qualcosa del grandissimo Peter Altenberg: conoscete?) capaci di farti ridere di gusto e giusto un attimo dopo di prenderti a calci negli stinchi, o magari nei denti. “E a questo punto - è ancora Cavaglià – non possiamo dimenticare che gli antenati di Örkény erano ebrei austriaci (sotto Giuseppe II presero il nome di Österreicher): per loro tramite egli appartiene quindi all'illustre famiglia dell'ebraismo assimilato ungherese e le Novelle da un minuto sono, anche, stranamente imparentate al motto di spirito...”.
Giusto per darvi un idea...
Una ragazzina, la figlia quattordicenne della portinaia, la raggiunse zoppicando. Il tram le aveva portato via una gamba, poverina, e lei era contenta quando poteva andare a raccogliere la palla per gli altri.
Nello scantinato regnava una semioscurità, lei tuttavia si accorse che in un angolo qualcosa si muoveva.
«Micetto!» disse la figlia dei portinai che aveva una gamba di legno. «Come sei capitato qui, micettino?».
Raccolse la palla e, come poté, si allontanò veloce.
Il vecchio sorcio, brutto e puzzolente – lui che era stato scambiato per un micino – rimase interdetto. Nessuno gli aveva mai parlato in quel modo.
Prima di allora l'avevano sempre disprezzato, gli gettavano addosso del carbone oppure scappavano via spaventati.
In quel momento e per la prima volta gli venne di pensare a come sarebbe stato tutto diverso se il destino l'avesse fatto nascere gatto.
Anzi dato che siamo degli inguaribili scontenti – continuò a procedere nelle sue fantasticherie. E se fosse nato figlia della portinaia con una gamba di legno?
Ma quella era ormai una cosa troppo bella. Non riusciva neanche a immaginarsela.
«Chi era?» chiese la guardia tedesca.
«Colui che ha scritto l'Iperione» spiegò il dottor G.H.K. Gli piaceva molto dare spiegazioni. «La più grande figura del romanticismo tedesco. E Heine, per esempio?».
«Chi sono costoro?» chiese la guardia.
«Poeti» disse il dottor G.H.K. «Non conosce il nome di Schiller?».
«Sì che lo conosco» disse la guardia tedesca.
«E Rilke?».
«Anche lui», disse la guardia e, diventando rosso come un peperone, abbatté con un colpo di pistola il dottor G.H.K.
lunedì 15 giugno 2009
Parole celebri dalle mie parti (n.63)
sabato 13 giugno 2009
Amici miei atto II (di Mario Monicelli)
giovedì 11 giugno 2009
Zeitgeist
Titolo: “Sta nascendo qui a Budapest il nuovo fascismo europeo”.
Tamàs viene presentato come un “padre del dissenso sotto il comunismo, filosofo e docente, forse la massima voce critica del paese. Perseguitato dal vecchio regime, oggi subisce minacce quasi quotidiane”. Dice di aver rinnegato se stesso: «sono stato liberale per una vita, ora sono marxista. Vorrei più libertà e giustizia. I miei compatrioti hanno altri desideri».
Quali?
«Il sistema democratico non ha riconoscimento né legittimazione, neanche i più onesti leader dei partiti democratici vi credono. Povertà, crimine, sono problemi reali. La gente allora prende in mano la legge: ecco la Guardia magiara, un secondo stato. Ecco i sindaci delle regioni povere che si arrogano il diritto di negare il sussidio ai rom o ai poveri disoccupati».
Se magari vi è venuto in mente qualcosa, siete solo dei malpensanti: qui da noi sono i sindaci delle regioni ricche, non quelli delle regioni povere, a volere le ronde e a rompere i coglioni ai poveracci, e quindi dei paralleli con la situazione ungherese non sono mica possibili. Eh, no... Ma andiamo avanti.
Vede un futuro di fascismo?
«Il futuro ne avrà una dose un po' più forte del presente. La destra estrema è giovane. Jobbik è nato come organizzazione studentesca. Quasi un '68 a rovescio: la paura del declassamento sociale, la competizione con i più poveri per i magri aiuti statali, spingono i giovani a rivolte ed estremismo. Non capiscono che l'oppressione per alcuni diventa poi l'oppressione di tutti».
Torna il fascismo del passato?
«È un fascismo diverso. Non hanno bisogno di militarismo, di sogni di guerra o idee totalitarie. È un fascismo difensivo, non offensivo, quindi più attraente. Non passeggero, può radicarsi. Non gli serve un partito unico, esprime il panico della middle class, introduce una lotta di classe dall'alto contro i più deboli. Simile agli anni venti è l'odio verso la libertà. E per i perdenti. È un problema acuto in tutto l'Est: qui il capitalismo democratico, per cui lottai per decenni, ha fallito. Le maggioranze a Est ritengono che prima dell'89 si stesse meglio. Tutti sapevano di non essere liberi. Ma il sistema garantiva stabilità, società proletarie, plebee, ma quasi senza crimine, egalitarie nella cultura e non solo nell'economia. E non avevano come valore costitutivo il disprezzo per i deboli».
Non so a voi, ma a me a questo punto son venuti i brividi. Gli stessi, ma proprio uguali uguali, che provai qualche mese fa quando dei ragazzini appena tredicenni mi confidarono che detestavano gli immigrati perché, testuale, “sono vestiti sempre da schifo” e inoltre “puzzano”.
Simpatico, no? Trattasi del famoso Zeitgeist, come lo chiamava Hegel che ci aveva confidenza.
E beccatevi ancora questa, che poi chiudo: «Una volta un gruppo di ultrà mi ha salutato sotto casa gridando “Heil Hitler”, ma è normale che signore cinquantenni, tranquille borghesi cattoliche, o eleganti giovani yuppies, riconoscendomi mi dicano che dovrei essere impiccato. A ogni intervista a media stranieri mi accusano di calunniare la patria”.
martedì 9 giugno 2009
Al calduccio sotto le mie copertine (n.4)
lunedì 8 giugno 2009
Tra le sue braccia ancor, avvinti come l'edera
Lui doveva andare oltre il 40%. Anzi, oltre il 45%. Anzi, oltre il 50%.
E noi ci siamo cascati.
Ci caschiamo sempre, chissà come mai...
Guardiamo troppo la tivvù? Se non ci frustano non godiamo? O magari... Sarà mica che in fondo in fondo lo amiamo, canaglia che non è altro? Eh? Che ne dite?
P.S.
Intanto, zitto zitto, Clemente Mastella è stato eletto parlamentare europeo: sono cose belle, vero?
domenica 7 giugno 2009
sabato 6 giugno 2009
Here we go again
Perciò domani andrò a votare.
Trovo molto significativo, comunque, che per questa volta io abbia pensato seriamente di astenermi.
E lo so, lo so, eccome se lo so, che “la democrazia è il regno del compromesso e non delle grandi idee e delle grandi imprese. Perché tanto le une quanto le altre si pagano con il sangue e con i beni. E la democrazia vuole invece garantire la vita e il benessere di ognuno. È ciò che rende questo sistema politico al tempo stesso il più sicuro e il meno attraente”. Così Alexis de Tocqueville, maestro di disincanto e realismo, e si poteva non citarlo?
Oddio, volendo si poteva, e pure in scioltezza, ma se non la facessi sempre fuori dal vasino non sarei io, nevvero?
E poi su... Dite la verità che ve l'aspettavate, da me, una bella citazione di Tocqueville, un giorno o l'altro, eh? Quanto tempo era che non parlavo più del mon cher Alexis?
Tutto molto giusto, quello che dice: non è il caso di aspettarsi granché dalla mediocrità democratica, non ci possono essere né epos né pathos, nel regno del compromesso e, già che ci siamo, non ci possono essere nemmeno Portos e Aramis (questa l'ho plagiata a Frank Zappa: non ho saputo resistere).
Epperò però però... Non è forse la natura stessa della democrazia che ci porta a chiederle molto? Anzi, mi domando: non le chiediamo (non le chiedo...) pure troppo?
La democrazia deve far coesistere libertà e ordine, uguaglianza e differenza, centro e periferia, spontaneità e procedure, partecipazione e delega, il cotto e il crudo; come se tutto ciò non bastasse, dev'essere capace di neutralizzare i conflitti e nel contempo di liberarne i dinamismi (questa mi è sempre piaciuta un casino: è la croce e la delizia di ogni liberale, sapete?); poi deve garantire uno spazio politico ai valori, alle ideologie e agli interessi più diversi e magari pure a movimenti che sono portatori di programmi e metodi di lotta politica antidemocratici (ovvero, ai suoi nemici); infine (infine?), come ha detto una volta Tzvetan Todorov, la democrazia, che non può soddisfare “il bisogno di salvazione o di assoluto (...) non può tuttavia permettersi di ignorarne l'esistenza”: e si capisce, no? “Gli uomini hanno certamente bisogno di comfort e di comodi, ciò che la democrazia può loro promettere e assicurare; ma per di più hanno bisogno di beni che il mondo materiale non procura loro: pretendono che la loro vita abbia un senso, per cominciare. Il totalitarismo, a differenza della democrazia, ambisce a soddisfare tali bisogni e per questa ragione è stato liberamente scelto dalle popolazioni interessate. Lenin, Stalin e Hitler sono stati desiderati e amati dalle masse, non bisogna dimenticarlo”.
E forse mi sono spinto un po' troppo in là ma forse anche no, visto che in questi giorni i (pessimi) boss del Pd (che poi sarebbe il mio partito di riferimento, come credo sappiate) hanno moltiplicato gli appelli al voto e contro l'astensione in nome della salvezza del nostro sistema democratico, nientemeno: dicono che se Berlusconi stravincerà potrà fare tutto quello che vorrà, dell'Italia, e saranno cazzi acidi per quelli che non lo amano.
Io un po' ci credo, un po' faccio finta di crederci.
Ho pensato di astenermi perché trovo francamente ridicoli molti dei dirigenti nazionali del Pd e in special modo quelli che quindici anni fa gridavano all'emergenza democratica contro Berlusconi e poi insieme a Berlusconi volevano riformare la Costituzione repubblicana ma poi Berlusconi è tornato a essere un pericolo per la democrazia ma poi doveva essere considerato un avversario e non un nemico perché l'Italia aveva bisogno di pacatezza, di moderazione, di serenità, di reciproco riconoscimento tra forze politiche che potevano anche combattersi duramente ma dovevano comunque rispettarsi ma adesso siamo di nuovo all'emergenza democratica e io mi ritrovo con un'orchite davvero impressionante.
Ho pensato di astenermi perché non sopporto di dover esser costretto anch'io, a sinistra, a bermi 'sta leaderizzazione spinta della politica (e ne capisco benissimo le motivazioni, sapete? Benissimo. Trattasi di procedimento euristico, ovvero di una scorciatoia mentale che serve a semplificare le difficoltà di comprensione del gioco politico attraverso la figura di un leader: a orientarsi più facilmente nella giungla delle proposte e dei programmi, insomma. Il problema è che le cose eventualmente complesse a me garbano assai: che posso farci, se son così?).
Ho pensato di astenermi perché, a proposito di nuovi leader, i vecchi leader mi hanno chiesto di votare per la frangetta di Debora Serracchiani.
Ma non mi asterrò, no: la mia religione non lo consente.
Voterò il ridicolo Pd pensando che Berlusconi è, ed è sempre stato, una minaccia per la democrazia (per soprammercato è, ed è sempre stato, pure un problema squisitamente estetico) ma anche che siamo alla farsa, alla farsa e morta là: per la tragedia noi italiani abbiamo già dato.
Voterò pure per la povera Serracchiani giusto perché in passato ho votato (e fatto votare, purtroppo) per gente sicuramente peggiore di lei giacché me lo chiedeva il mio beneamato partito (non il massimo, come motivazione, vero?).
E concludo. Con la domanda che ho lasciato in sospeso qualche riga fa: alla democrazia non chiediamo forse troppo? La risposta, per quanto mi riguarda, è 'sì': io di certo le chiedo troppo.
Bisognerebbe sapersi accontentare.
mercoledì 3 giugno 2009
Idolum tribus
- «Silvio non mollare, resisti!!!».
- «Non ci penso proprio a mollare, sono solo agli inizi!».
Il problema, pertanto, non è la frequentazione delle minorenni, ma il voto dei minorati.
Non ci pensa proprio a mollare, lui: è solo agli inizi...