Se in questi giorni vi capitasse di imbattervi, in un'edicola, nel dvd di Guardato a vista, film del 1981 di Claude Miller, non esitate ad appropriarvene, possibilmente cacciando qualche svanzica (nemmeno molte: dovrebbe essere sui 9,90 euri).
Accettate il consiglio, please. Vi porterete a casa una meraviglia di thriller psicologico con due prove d'attore pazzesche: quella 'in togliere' - giocata tutta o quasi su sopraccigli alzati e sorrisi a mezza bocca, tra malinconia e soffice cinismo - di Michel Serrault, e quella, prepotentemente umana, di Lino Ventura. Cinema d'interni del migliore (si svolge praticamente tutto in una stanza di un commissariato di una piccola città normanna); un copione (tratto da un romanzo, Brainwash, dello scrittore britannico John Wainwright, sceneggiato dallo stesso Claude Miller assieme a Jean Herman con i dialoghi di Michel Audiard) che magari sarebbe piaciuto a Simenon ma forse di più al Dürrenmatt de La promessa per il ruolo che vi esercita Sua sacra Maestà il Caso (come l'avrebbe chiamato un altro Federico, gran testa coronata...); un ritmo narrativo che non concede tregua.
Due bambine sono state uccise. Davanti all'ispettore Gallien (Lino Ventura) finisce l'antipatico notaio Martinaud (Serrault, appunto), che da testimone si ritrova indiziato (“piano piano c'è stato uno slittamento, da qualche parte”): potrei limitarmi a scrivere che il loro sarà un duello senza esclusione di colpi, da una parte il poliziotto mastino, dall'altra l'ambiguo, algido borghese che pare il colpevole perfetto fino a prova contraria (non troppo auspicata). Potrei limitarmi, dicevo, a questa carrettata di luoghi comuni e parole scorreggia (flatus vocis: come dite, voi?) ma finirei inevitabilmente per non tenere il punto: che poi è quello che sta attorno, dietro, sotto alle apparenze, come nelle migliori tradizioni del noir da provincia francese, ovvero le dinamiche dei rapporti umani e sociali con tutto il loro carico di ipocrisia, mediocrità, squallore e brutalità.
Detto ciò (che rischia di essere pochino, me ne rendo conto, per indurvi a metter mano al portafoglio), io ho amato e amo moltissimo la faccia schietta, quadrata - una faccia “senza effetti speciali”, come ha scritto Filiberto Molossi - di Lino Ventura: una faccia d'altri tempi, bella e vera, e viva (viva, tanto per restare tra i francesi figli di italiani, come quella di Serge Reggiani in Tutti a casa di Comencini, che ogni volta che la vedo mi vengono le lacrime agli occhi e che ricordo qui volentieri anche se non c'entra un cazzo).
Lino Ventura, lottatore da ring e lottatore nella vita, era arrivato al cinema e al successo per caso, accanto e grazie a Jean Gabin, l'amico di una vita. È stato un attore immenso, capace di cambiare da film in film, da regista a regista (Becker, Sautet, Melville), restando sempre uno che “rendeva grande la normalità” (ancora Molossi).
Vi ho convinti?