mercoledì 16 luglio 2008

Give the people what they want!

Il Garante delle Comunicazioni, Corrado Calabrò, ha definito “desipienti” certi spettacoli televisivi.
Per chi non lo sapesse, desipiente significa sciocco, ignorante, vuoto.
Poi, paragonando la tv pubblica a quella commerciale, ha parlato di differenze ormai “evanescenti” e di “un'omologazione al ribasso che sbiadisce la missione del servizio pubblico e colloca la nostra televisione al di sotto di altre televisioni europee”.
Per esemplificare, se l'è presa con quelle trasmissioni televisive che improvvisano processi per direttissima ai fatti di sangue. Secondo Calabrò, pure i notiziari della Rai sono ormai invasi dalla cronaca spicciola e si producono in “smodate intrusioni nella vita privata delle persone”. Grand Guignol e voyeurismo a carrettate, insomma.
E adesso leggete un po' come han cantato queste due belle gallinone del pollaio di Silvio nostro (che da qualche parte ci sia un bell'ovetto?) in seguito alle osservazioni del Garante.
Enrico Mentana, direttore editoriale Mediaset.
“Omologazione al ribasso per l'audience? Lasciamolo giudicare ai critici televisivi”, quindi, coccodè, non a quello stronzo di Calabrò. Co-co-coccodè. “Sono troppe cento puntate su Cogne? E chi giudica gli eccessi? La tv non ha mai modificato l'esito di un processo e proprio il caso Cogne ne è la conferma. L'informazione televisiva prodotta risponde sempre a una domanda di pubblico”. Coccodè, coccodè e ancora coccodè.
Il direttore di Studio aperto Giorgio Mulè, che con coccodè fa pure rima.
”Indagare su un fatto di cronaca non vuol dire offendere la dignità delle persone. Bisogna smettere di pensare che i milioni di persone che guardano in tv l'approfondimento su un grande fatto di cronaca nera si trasformeranno in milioni di potenziali serial killer” - e no, certo che no. Non si metteranno a fare i serial killer. Magari però si sentiranno, massì, un pochino insicuri. Sapete cosa ha pure detto il Garante Calabrò? Ecco: “E' la televisione a dettare i tempi e le modalità del dibattito politico”, in Italia. Voi ve ne siete accorti, si? Da noi è la televisione ad imporre alla politica quella che la sociologia della comunicazione chiama “agenda setting” (ovvero, la composizione dell'agenda): e lo fa plasmando la mentalità collettiva e le aspettative del pueblo, correndo mooolto volentieri il rischio (mettiamola così) di alimentare delle simpaticissime psicosi di massa. Sto pensando, avrete intuito, all'ormai leggendario allarme Sicurezza (maiuscolo, 'Sicurezza': è lo zeitgeist ad imporlo!) che ha dominato l'ultima, davvero splendida, campagna elettorale.
Il direttore di Studio aperto, ovviamente (questa non ve la devo spiegare, nevvero?), fa battute del cazzo sui serial killer e coccodè, coccodè, coccodè: “Se la gente guarda quei “processi” in tv è perché di quei fatti si parla per strada, nei bar, altro che mancato rispetto per la giustizia. Guai alla tv pedagogica, di cosa dovremmo occuparci, di Kant e Kierkegaard? Ma andiamo...”.
E vabbè, andiamo... Ma dove? Co-co-coccodè.
Intanto pare che la spesa culturale media di una famiglia italiana, a parità di reddito, sia la metà di quella di una famiglia inglese.
Come dite? Che con quello che han detto Mentana e Mulè questo non c'entra niente?
C'entra, c'entra... Lasciatevi servire.
Coccodè, coccodè.

1 commento:

Unknown ha detto...

Mentana non l'ho mai retto (fin dai lontanissimi tempi della Federazione giovanile socialista).
E queste dichiarazioni su Cogne sono l'ennesimo esempio della sua pochezza.
Mi ricordano l'AAltan di quella vignetta geniale (come spesso gli capita): "Che mille miliardi di mosche mangino merda non è un buon motivo per farlo anche noi"
Luciano / idefix