giovedì 30 luglio 2009

Al calduccio sotto le mie copertine (n.8)

Townes Van Zandt, The Late Great Townes Van Zandt, 1972

Pancho was a bandit boys

His horse was fast as polished steel
Wore his gun outside his pants
For all the honest world to feel
Pancho met his match you know
On the deserts down in Mexico
Nobody heard his dying words
That's the way it goes.

All the federales say
They could have had him any day
They only let him hang around
Out of kindness, I suppose.

martedì 28 luglio 2009

The Professionals (di Richard Brooks)



- "You're a bastard!".
- "Yes, sir, in my case an accident of birth. But you, sir, you are a self-made man".

lunedì 27 luglio 2009

My name is Serracchiani, Debora Serracchiani.

1 – Debora Serracchiani è apparsa di recente alla Vergine di Medugorije annunciandole che entrambe, in fondo, stanno lavorando per uno stesso obiettivo: solo che lo fanno in modo differente.
2 – Se Debora Serracchiani fosse stata presente a Little Big Horn, ma col cacchio che il generale Custer le avrebbe buscate, dagli indiani! Col cacchio!!!
3 – Si scrive 'Debora Serracchiani', si legge 'Giuseppe Garibaldi'.
4 - Debora Serracchiani ha scolpito il Mosè di Michelangelo.
5 – Debora Serracchiani è nata anche lei a Corinaldo, proprio come Santa Maria Goretti.
6 – Jim Morrison è vivo: chiedetelo a Debora Serracchiani, se non ci credete.
7 – Gianfranco Vissani e Suor Germana hanno imparato a cucinare da Debora Serracchiani.
8 - Debora Serracchiani ha staccato a morsi un orecchio a Mike Tyson.
9 – Crosby, Stills, Nash & Debora Serracchiani.
10 – Se la nebbia agli irti colli piovigginando sale, immaginatevi un po' che cosa potrebbe fare Debora Serracchiani...
11 – Barack Obama farà scolpire sul Monte Rushmore l'effigie di Debora Serracchiani.
12 – Non è stato Champollion a decifrare i geroglifici, ma Debora Serracchiani.
13 – Il Clan di Celentano l'ha fondato Debora Serracchiani.
14 – È l'aratro che traccia il solco, ma è Debora Serracchiani che lo difende.
15 – Debora Serracchiani ha una cattedra a Hogwarts.
16 – Quando Debora Serracchiani deve prendere l'aereo, va a prenderlo a Cape Canaveral.
17 – La carica dei 101 l'ha ordinata Debora Serracchiani.
18 – La carica di Balaklava non l'ha ordinata Debora Serracchiani.
19 – Quando Debora Serracchiani carica la sveglia, so' dolori de panza: pe' tutti!!!
20 – Debora Serracchiani l'avrebbe interpretata molto meglio, Scarlett O'Hara: altro che quella Leigh lì...
21 – Me Tarzan, you Debora Serracchiani!
22 – Veni, vidi Debora Serracchiani, vici.
23 – Debora Serracchiani ha risolto il teorema di Fermat all'età di cinque anni: molto ma molto prima di Andrew Wiles, quindi.
24 – Quando Debora Serracchiani vuole rilassarsi, va a trovare Ronaldinho e si mette a dribblarlo.
25 – Un uomo chiamato 'Cavallo'. Una donna chiamata 'Debora Serracchiani'.
26 – E.T. telefona Debora Serracchiani.
27 – Debora Serracchiani è il quarto pard di Tex Willer.
28 – La Gioconda, in realtà, è il ritratto di Debora Serracchiani.
29 – Debora Serracchiani lo sa, dov'è finito il Santo Graal...
30 – L'uomo della Sindone è Debora Serracchiani.
31 – Il quarto segreto di Fatima lo conosce pure Debora Serracchiani.
32 – Quando pensava a Debora Serracchiani, Immanuel Kant dimenticava la puntualità.
33 – Quando pensava a Debora Serracchiani, Rudolf Nureyev dimenticava l'omosessualità.
34 – Se l'avesse conosciuta prima, a Debora Serracchiani, Walter Veltroni mò starebbe alla Casa Bianca, starebbe!!!
35 – Corto Maltese. Lunga Debora Serracchiani.
36 – Debora Serracchiani veglia pure su Gotham City, volendo.
37 - Lennon-McCartney, Jagger-Richards, Bacharach-David, Battisti-Mogol. Ma Serracchiani-Serracchiani.
38 – Debora Serracchiani dà i voti a D'Alema. E anche al tuo papà, se vuoi.
39 – Se Giuseppe Stalin avesse conosciuto Debora Serracchiani, non avrebbe fatto fucilare nessuno: si sarebbe limitato a dare voti.
40 – Debora Serracchiani gioca spesso a Risiko con Henry Kissinger.
41 – Debora Serracchiani abita al numero 10 di Downing Street.
42 – Debora Serracchiani ardisce e non ordisce.
43 – Mourinho è allenato da Debora Serracchiani.
44 – Se mai George Clooney dovesse sposarsi, sarà con Debora Serracchiani.
45 – Debora Serracchiani ha trenta tombe fenicie del 300 a.C. nel giardino della sua villa in Sardegna.
46 – Chiamatemi Ismaele... Ma potete pure chiamarmi Debora Serracchiani, se vi va: tanto per me fa lo stesso.
47 – Debora Serracchiani conosce la formula segreta della Coca Cola.
48 – Lucy in the sky with diamonds parla di Debora Serracchiani.
49 – Il calendario di Frate Indovino è opera di Debora Serracchiani.
50 – Johnny Palomba è Debora Serracchiani.
51 – Nel nome del Padre, del Figlio e di Debora Serracchiani.

domenica 26 luglio 2009

Ricco nella valle degli ignari (che culo, eh?)


Quella che sta emergendo in Italia sotto i nostri occhi è una cultura dell'informazione tipica dei regimi autoritari.
In Italia ci sono ricchi e poveri anche in fatto di informazione. I ricchi sono quelli che leggono i quotidiani come la Repubblica, il Corriere della Sera e la Stampa, gli utenti della rete e chi ascolta le poche radio d'informazione indipendenti. I poveri, molto più numerosi, sono quelli che guardano i tg, controllati direttamente o indirettamente da Berlusconi. È una situazione anomala e allarmante per un paese democratico dell'Europa occidentale.
Prima della caduta del muro di Berlino, una parte della Germania est comunista – e precisamente la zona di Dresda – era chiamata “la valle degli ignari”, perché i suoi abitanti non riuscivano a ricevere il segnale delle tv occidentali e dovevano accontentarsi dell'informazione di regime. La loro visione del mondo era quella fabbricata dal governo.
Siamo abituati a pensare all'Italia come a quel paese di forma sottile e allungata che ha una spina dorsale montuosa.
Ma fin quando Berlusconi rimarrà in carica, faremmo meglio a immaginare l'Italia come un paese attraversato per il lungo da una spaccatura ampia e profonda: una nuova valle degli ignari.



John Hooper, The Guardian

sabato 25 luglio 2009

PUBBLICITA' PROGRESSO: come sbattezzarsi in cinque mosse (ovvero: come far piangere la madonna di Civitavecchia e vivere felici)

1 – individuare la parrocchia in cui si è stati battezzati o cresimati;

2 – scaricare dal sito dell'UAAR (www.uaar.it/laicità/sbattezzo) l'apposito modulo.

3 – fotocopiare un documento d'identità valido;

4 – spedire la fotocopia del documento e il modulo compilato alla parrocchia di cui sopra mediante raccomandata con ricevuta di ritorno;

5 – aspettare la notifica.


N.B.
L'UAAR è l'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.

giovedì 23 luglio 2009

Higher and higher

Questa me l'ha segnalata un caro amico. Lo ringrazio anche se, leggendo la roba di cui sotto, ho rischiato seriamente di farmi saltare le coronarie, dal gran ridere.
Risale al 1 luglio ultimo scorso. L'ha scritta, presumibilmente di suo pugno, il famoso avvocato Debora Serracchiani (qui fotografata assieme al segretario nazionale dell'AGESCI).




“Oggi ho annunciato che non mi candido alla segreteria del Partito Democratico. E’ stata una decisione difficile ma su cui ho riflettuto e ragionato molto partendo dal principale dei miei presupposti: “Il bene del PD”. E, con coraggio, ho cercato di fare una scelta responsabile. Considero questa scelta coraggiosa, perché la più difficile. Avrei potuto candidarmi e “non avrei mai perso” qualunque fosse stato il risultato. Nel peggiore dei casi questo mi avrebbe consentito di sedermi attorno ad un tavolo e chiedere che delle persone che da quel momento in poi si sarebbero fatte chiamare con il mio cognome (i “serracchiani”), occupassero ruoli e luoghi di potere all’interno del PD. Ho fatto la scelta più coraggiosa, che secondo alcuni potrebbe mettere a rischio anche la mia stessa sopravvivenza politica. Ma per me la politica non può avere come obiettivo principale l’autoconservazione dei suoi protagonisti a tutti i costi. Questa, non è la mia idea di Partito Democratico e, sono sicura, neppure la vostra.
Allo stesso modo considero questa mia scelta, una scelta responsabile. Intendo onorare il mio ruolo di Europarlamentare. Ma voglio in prima persona occuparmi del PD, senza contribuire, come molti hanno già fatto in passato, all’insopportabile spettacolo in cui hanno dominato personalismi ed egoismi individuali. Mentre il Paese attraversava una delle crisi più difficili con un governo impegnato in una politica fatta di spot senza nessuna efficacia reale, il PD era spesso occupato a dirimere i “propri” conflitti tra chi aveva come unico obiettivo il logoramento del leader di turno. Ed io so, da elettrice come voi, quanto questo ci abbia dato fastidio e ci abbia a tratti allontanati dalla politica e dal nostro partito. Per questo ho deciso di non contribuire con la mia candidatura ad una ulteriore frammentazione. Ho scelto di non candidarmi per unire e per non dividere ancora”.





En passant,evidentemente la scelta di non candidarsi “per unire e per non dividere ancora” non valeva per la segreteria regionale del famoso Pd, solo per quella nazionale... Ma non è questo che qui importa: l'avvocato Serracchiani, ormai lo sappiamo, è una che cambia idea molto volentieri e non è detto che ciò sia un male. Io non ho mai pensato che la coerenza sia una qualità, o che possa stabilire in qualche modo la verità (anche se ritengo che l'incoerenza e la contraddittorietà possono essere dei buonissimi indicatori di falsità...).
Il passaggio dello scritto serracchianesco di cui sopra che mi ha fatto veramente spanzare è il seguente: “...questo mi avrebbe consentito di sedermi attorno ad un tavolo e chiedere che delle persone che da quel momento in poi si sarebbero fatte chiamare con il mio cognome (i “serracchiani”), occupassero ruoli e luoghi di potere all’interno del PD”.
Ora, questa cosa dei “serracchiani” io la trovo davvero impagabile.
Sto cercando di capire, ma non ci riesco. Davvero: non ce la faccio proprio.
E dunque, siccome sono un malfattore, non posso far altro che mettermi a maramaldeggiare.
Quale modello culturale aveva in testa, Debora everybody's darling, quando parlava dei “serracchiani”?



Quello dei sorcini di Renato Zero?
Ancora: non sarebbe un titolo perfetto per una fiction tivvù, “I Serracchiani”?
Una roba tipo “I Cesaroni”, solo ambientata a Fiume Veneto (provincia di Pordenone), con Gianfranco Moretton - il democristianon tanto simpaticon che c'ha pure dei bei baffon! - nel ruolo del paterfamilias. Eh?







P.S.
Comunque, definitivamente, “la vita è uno stato mentale”.



mercoledì 22 luglio 2009

Parole celebri dalle mie parti (n.66)


"Vado a dire a quel critico che ho letto il suo articolo e che sono andato in banca piangendo per tutta la strada."

(Alfred Hitchcock)

martedì 21 luglio 2009

Giovane di nuovo

In questi giorni me so' sparato in circolo quel migliaio di volte un grandissimo disco di Tom Petty and the Heartbreakers, Damn the Torpedoes!, a.D. 1979.
Evidentemente ready to grow young again, come direbbe Bruce Springsteen, mi son sentito di nuovo, da qualche parte tra il cuore e il piloro, le sedici primavere che c'avevo quando l'ascoltai per la prima volta: correva l'anno Millenovecentottantaquattro e io ero un adolescente parecchio problematico e coglione innamorato perso di Raffaella, che non mi cagava manco di striscio, e del rock'n'roll, che invece mi contraccambiò da subito salvandomi così la vita e questa vi giuro che non è solo una citazione di Lou Reed.
E insomma, sixteen once again, il voster semper voster tic, e la cosa non dovrebbe stupirvi manco per ipotesi datosi che il rock'n'roll ha smesso da decenni di essere la musica di chi è giovane per diventare la musica di chi vuole sentircisi, giovane: almeno una volta ogni tanto...
Il titolo del capolavoro in questione (perché di capolavoro trattasi, forse si sarà intuìto...) suona un po' scaramantico e un po' gettiamo il cuore oltre l'ostacolo, alla garibaldina. Ehm, alla yankee...

Sono parole che l'ammiraglio David Glasgow Farragut pronunciò il 5 di agosto del 1864 nel corso della battaglia di Mobile Bay.
Mobile, Alabama, era l'ultimo grande porto della Confederazione sudista sul Golfo del Messico. La baia su cui sorge era allora piena di torpedoes, mine navali. Farragut ordinò un primo attacco. Quando l'USS Tecumseh incrociò una mina e colò a picco, le altre navi cominciarono a indietreggiare. Fu allora che, dal suo punto di osservazione sull'USS Hartford, David Glasgow Farragut berciò attraverso un megafono: “What's the trouble?”. Dall'USS Brooklyn gli risposero immediatamente: “Torpedoes!” e lui, di rimando: “Damn the torpedoes!”, al diavolo le mine, avanti a tutta forza!
I nordisti vinsero, ovviamente.

Damn the Torpedoes!
Che, se ci pensate, è proprio un grande titolo, per the difficult third album: un sacco di gente è lì, pronta a massacrarti – mò vediamo se è un bluff, 'sto Petty, vediamo - e tu invece avanti, avanti, avanti, fanculo the torpedoes, perché sai che è con questo disco che te la giochi tutta.
Bé, a trent'anni di distanza dalla sua uscita 'sta roba suona ancora da dio. Non è invecchiata manco per niente, capite? Un classico assoluto del Rock americano che inizia con un inno, Refugee, e finisce con la più bella canzone che John Fogerty non ha mai scritto, Louisiana Rain. In mezzo, brani power pop definitivi (Century City e What are you doin' in my life?), springsteenismi assortiti (Even the losers e Don't do me like that – e d'altra parte Darkness on the Edge of Town, ovvero la definizione del canone del Boss rocker, era uscito solo l'anno prima) e il solito Byrds-touch (Here comes my girl) che del prelibatissimo bouquet Petty è, fin dagli inizi, uno degli elementi costitutivi.
Che altro?
Ah, sì: gli Heartbreakers... Una band da favola, a cominciare da quell'immenso stilista delle tastiere che si chiama Benmont Tench.
E poi la produzione, la migliore di sempre per Jimmy Iovine: un suono muscolare, raffinatissimo ma per niente laccato.
La pianto qui epperò potrei continuare per ore, a parlarvi della musica di Tom Petty.
La volete sapere una cosa? A quarant'anni, quasi quarantuno ormai, posso dire che aveva proprio ragione, il vecchio Bob Seger: rock'n'roll never forgets.
Il rock'n'roll non si dimentica mai.
Ostia, se è vero.


P.S.
Tra l'altro, li ho visti dal vivo a Verona un giorno di settembre del 1987, Tom Petty and the Heartbreakers: accompagnavano Bob Dylan, il tour era il Temples in Flames. Al basso c'era il povero Howie Epstein che aveva preso il posto di Ron Blair, titolare in Damn the Torpedoes!
Erano una vera e propria macchina da guerra, e non sto esagerando: ricordo che eseguirono una cover di Shout! degli Isley Brothers, prima che Dylan arrivasse sul palco: la fecero durare una decina di minuti.
Venne giù l'Arena...

lunedì 20 luglio 2009

Al calduccio sotto le mie copertine (n.7)

Eels, Beautiful Freak, 1996

Novocaine for the soul
You better give me something
To fill the hole
Before I sputter out.

sabato 18 luglio 2009

Coraggio!

Sto leggendo un libro molto bello, L'età dell'oblio. Sulle rimozioni del '900, di Tony Judt.
A un certo punto l'autore, parlando del grande storico marxista Erich Hobsbawm, ricorda ciò che un veterano comunista spiegò un giorno al giovane Jorge Semprùn, a Buchenwald.

«Mais c'est quoi, la dialectique?», chiese Semprùn.
«C'est l'art et la manière de toujours retomber su ses pattes, mon vieux!», gli venne risposto.
La dialettica è l'arte e la tecnica di cadere sempre in piedi...
Erano tosti, i comunisti, mica robetta.
Ci ho pensato molto, tra ieri e oggi, a quanto erano tosti.

L'altro giorno il sindaco di Bari, Michele Emiliano, se n'è uscito dicendo che "dobbiamo finalmente avere il coraggio di dire che il Pd è un partito fraternamente anticomunista".
E ci vuole CORAGGIO per dirla, 'na roba del genere, sì?
Ora, che in Puglia, poveracci, siano rimasti ai tempi di quel meraviglioso democratico che è stato Vito Lattanzio posso anche capirlo, ma insomma...
A dirsi anticomunisti a comunismo morto e sepolto ci vuole... CORAGGIO?

mercoledì 15 luglio 2009

À la guerre comme à la guerre

La notizia è uscita ieri.
A Torino, in corso Rosai 44, ci sono due palazzi che si fanno la guerra.
Due palazzi e un cortile in comune, che qualcuno vorrebbe fosse diviso da un muro.
Nei giorni scorsi è stata tirata su una bella rete di recinzione, tanto per far capire che aria tira e dove si vorrebbe andare a parare.
«Non vogliamo più che i bambini degli alloggi popolari vengano dalla nostra parte», dice chi sostiene il muro.
«Non ci vogliono perché loro sono proprietari e noi siamo affittuari», rispondono quelli dell'altra parte.
Questo il livello dello scontro.
Più che alle beghe siamo alle leghe da cortile, insomma.

L'Italia è bella che andata, miei cari. Andata.
Solo un passo più in là ci sono le visioni del Ballard de Il condominio (High Rise, 1975).
Leggetelo, se non l'avete ancora fatto. Leggetelo e poi mi direte.

martedì 14 luglio 2009

Articolo 19...

... della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.


Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.



P.S.
Tra l'altro, ve lo ricordate che giorno è oggi, sì?

lunedì 13 luglio 2009

Ce n'est q'un début...

Beppe Grillo vuole diventare segretario del Pd. Parteciperà quindi alle primarie del 25 ottobre. In base allo splendido regolamento che il partito si è dato, può farlo: basta che si iscriva entro il 21 luglio, raccolga duemila firme entro il 23, partecipi alla prima fase congressuale (questa proverò a spiegarvela un'altra volta: non posso bruciarmi tutte le battute per questo post...) conquistando almeno il 5% dei tesserati e quindi oplà!
Ancora una volta bisogna dar atto all'avvocato Serracchiani di aver capito tutto prima di tutti gli altri.
In una lettera a Grillo del 21 giugno ultimo scorso la nostra eroina aveva infatti scritto: “In fondo credo che stiamo lavorando per uno stesso obiettivo. Solo che lo facciamo in modo differente”.
Beppe Grillo dimostra di aver preso molto sul serio le parole di Debora (la chiamo anch'io così, dai... Debora, solo Debora. Come se fosse quella sorella che non ho mai avuto...): “Visto che lavoriamo per uno stesso obiettivo”, dev'essersi detto il famoso comico genovese, “allora posso candidarmi anch'io alla guida del PD, il famoso partito liquido. Perché no?”.
Eh, già: perché no?
Non si comprende allora la reazione scomposta di Piero Fassino, un vecchio politico ormai sul viale del tramonto: “Grillo non si riconosce nel Pd, anzi lo attacca e lo sfregia. Non penso si possa accettare la sua iscrizione”.
Che vergogna, 'sto Fassino! Che vergogna!
A questo punto, secondo me, Super Debora dovrebbe prendere in mano la situazione e costringere questa feccia politicante che proviene dagli apparati dei vecchi partiti a leggere meglio il copione scritto dal Nuovo che avanza.
Solo lei può farlo!
Insomma, come direbbe Francis, “io ci credo, a Debora”.
E che, no?

domenica 12 luglio 2009

Psycho (di Alfred Hitchcock)


Il miglior amico è la propria madre.

sabato 11 luglio 2009

Parole celebri dalle mie parti (n.65)


"Lei mi dice di scrivere anche solo per me stesso. Ma non si scrive mai per se stessi; si scrive sempre per gli altri o almeno per UN ALTRO. Scrivere vuol dire confessarsi, e ci si confessa per avere l'assoluzione."

(Umberto Saba. Dalla lettera al dottor Edoardo Weiss del 6 aprile 1949)

giovedì 9 luglio 2009

Ormai solo un Dio ci può salvare

Il Tar del Veneto ha sospeso l'ordinanza con cui il sindaco di Venezia, il famoso filosofo Massimo Cacciari, aveva vietato, per motivi di ordine pubblico, l'Erotica Tour Millennium, fiera del sesso hard che vanta la presenza di grandissime artiste del porno all'italiana (Milly D'Abbraccio, Sofia Gucci, Vittoria Risi ed Elena Grimaldi: non so se rendo...) e attrazioni piccanti (direbbe il nostro Papi della Patria) come «big tetton».
Alla notizia il famoso filosofo ha reagito così: “Rispetteremo la sentenza, che altro posso fare? Se il Tar ha detto che si può fare, la faranno. Bisogna proprio avere il cervello all'ammasso per perdere il tempo su queste cose”.
Vedere quest'uomo barbuto e cogitabondo - abituato piuttosto a cimentarsi con Sein und Zeit o con le glosse al pensiero politico di Francesco Rutelli - colpito e affondato da «big tetton» riporta alla mente quello che accadde a Theodor Wiesengrund Adorno il 13 febbraio 1968, quando «il grande filosofo fu messo alla berlina da un centinaio di femministe che, provocatoriamente discinte, canzonandolo con lo “sceeeeemo” rituale, lo sottoposero a un corale abbraccio dei loro seni nudi” (devo a mia moglie E. questa magnifica suggestione tratta da Biografia del Sessantotto. Utopie, conquiste, sbandamenti di Giuseppe Carlo Marino).
E il povero professor Cacciari è stato pure svillaneggiato da (ma poteva mancare, visto il contesto?) Tinto Brass: «Mi fa piacere che il Tar abbia rimosso questo divieto che era solo figlio dell'ipocrisia tipica di tutti i poteri, di qualsiasi colore politico siano. Anche perché Venezia è una città-alcova, l'umida vulva d'Europa, come l'aveva chiamata Apollinaire».
Adesso potrei mettermi a maramaldeggiare alla grande, credetemi, sulla Geworfenheit (gettatezza) del famoso filosofo Massimo Cacciari in un mondo terribile, davvero tragico, dove Tinto Brass ti spernacchia proprio mentre le grandi attrici Valentine Demy e Sofia Gucci ti invitano, in quanto sindaco, a uno show (ma chiamiamolo heideggerianamente Ereignis, evento) che, come ha scritto il Comune di Venezia nell'ordinanza di divieto, potrebbe attivare “meccanismi di rimozione dei freni inibitori in capo agli intervenuti, dando luogo a conseguenti comportamenti inurbani”.
Potrei, ma non lo farò...
Pubblico invece un sonetto di Giorgio Baffo. E anche lui, dite un po': poteva mancare, visto il contesto?


Mona, cossa mai xestu, che ti ha tanta
forza, e vertù de far tirar i cazzi,
che ti fa deventar i savi pazzi,
e i coraggiosi in ti se perde, e incanta.


Quei, che d'esser gran teste se millanta,
per ti deventa tanti visdecazzi,
ti fa che i vecchi fazza de regazzi,
e che fazza peccai la zente santa.


Ti ti è quella, che fa che sti avaroni
deventa generosi in tu'un momento,
e che volta bandiera i buzzaroni;


per ti el più desperà torna contento,
per ti se perde onor, robba, e cogioni.
Mona, mo cossa mai gastu là drento?

martedì 7 luglio 2009

Al calduccio sotto le mie copertine (n.6)

Warren Zevon, Excitable Boy, 1978

Well, I went home with the waitress
The way I always do
How was I to know
She was with the Russians, too.

I was gambling in Havana
I took a little risk
Send lawyers, guns and money
Dad, get me out of this.

lunedì 6 luglio 2009

Burn after reading

Sir John Sawers è stato da poco nominato capo del MI6, il servizio segreto di Sua Maestà britannica. Nome in codice: 'C'.
Bene. È di oggi la notizia che sua moglie, Lady Shelley Sawers, orgogliosissima - si suppone - di cotanto consorte, ha pensato bene di scodellare sulla propria pagina di Facebook tutto quanto lo scibile sull'illustre marito.
Chi è, il suo John? Chi è l'uomo meraviglioso che ha sposato?
Ecco le sue foto, ecco i nostri bellissimi figli (ma guardateli! Non sono un amore?), ecco la casa in cui viviamo assieme (per arredarla, sapeste... E della carta da parati che mi dite?), ecco chi sono i nostri amici (e, please, don't forget: non i migliori sono nostri amici, ma i nostri amici sono i migliori!), ecco la scuola che frequentano i ragazzi, ecco come trascorriamo il nostro tempo libero, ecco come passiamo le nostre vacanze. E mò schiattate un po'!
Ad accorgersi di tutto 'sto scialo di mulini bianchi e di pisciate fuori dal vaso è stato un giornale, il Mail di Londra, che ha immediatamente avvertito il Foreign Office.
Il ministero degli Esteri del Regno Unito non deve aver troppo gradito le esternazioni della Sawers se, tempo qualche ora, da Facebook era scomparso tutto quanto.
Una fonte del governo inglese consultata dal Mail ha affermato che “la sicurezza del capo del MI6 potrebbe essere stata compromessa”.
Secondo il mio quotidiano di riferimento, Lady Sawers ha messo su Facebook pure “un'annotazione rivolta al marito, un messaggio di ironiche congratulazioni: «Adesso i tuoi nipoti dovranno chiamarti Zio C». A causa dell'ingenuità della moglie, è possibile che i nipoti dovranno continuare a chiamarlo zio John”.
Che posso dire, adesso?
Giusto questo.
Per quanto ci riguarda, l'ardua sentenza dei posteri, fra quarant'anni, sarà probabilmente la seguente: “visti gli articoli eccetera eccetera del codice eccetera eccetera si dichiara l'umanità dell'anno 2009 responsabile del reato di coglioneria e la si condanna a essere presa per il culo nei secoli dei secoli”. Una cosa così.
Ma, dico io: pure il servizio segreto di Sua Maestà britannica deve andarsene in vacca, mò?
Era una cosa seria (drammaticamente seria, se volete), il MI6. Un'istituzione molto autorevole. Quindi un punto fermo, cazzarola.
Ma è mai possibile che la realtà, in questo nostro tempo grullo, finisca sempre per superare - ma che dico superare? 'Surclassare', è la parola - la fantasia?
Ma cos'è accaduto, nel nostro povero mondo? Cosa ci ha portati ad essere così impossibilmente fessi?
I media? Sono i media? Può essere?
Forse sì: solo ad un uomo politico cresciuto in tempi di spin doctor e di politica da talk show, come David Miliband (titolare del Foreign Office!!! Lo riscrivo: titolare del Foreign Office!!!), poteva venire in mente, difronte al disastro combinato dalla grottesca, pazzesca signora Sawers, di uscirsene così: “Adesso si sa che Sawers indossa un costume da bagno Speedo: non è un segreto di Stato”. Voleva minimizzare, il minimo Miliband, avete capito?
E qui viene in mente il vecchio Markus “Misha” Wolff, storico capo delle spie della DDR, che ai propri interlocutori non mancava mai di far presente che “il valore di un servizio segreto è il valore dei suoi committenti”.
Poor, poor MI6 (poor, poor England), con committenti come David Miliband.
Com'è che cantava, Leonard Cohen? “Give me back the Berlin wall”?
Sì, sì, sì...
Rivoglio il muro di Berlino, io.
Rivoglio Sir Fitzroy Maclean.

E rivoglio Kim Philby.
E pure Sir Anthony Blunt.
Quindi rivoglio il KGB.
E la CIA di una volta: quella di William Joseph Donovan ma a questo punto anche quella di James Jesus Angleton, nome in codice 'Kingfisher', imperatore del regno di Paranoia (pensate che nella lingua inglese esiste pure un aggettivo, 'angletonian', per indicare la dimensione psicotica di chi vive nel sospetto).
Ridatemi tutto questo, vi prego.

Che c'è? Problemi? Io chiedo solo di vivere in un mondo serio, in fondo: mica altro.
Poi, quando sarò morto, fatemi il funerale a Berlino.

domenica 5 luglio 2009

Dario Franceschini a Trieste, 5 giugno 2009.



C'ero anch'io.
Questa fotografia è stata scattata giusto un attimo prima che Franceschini, parlando dell'ottimo risultato elettorale che ci si prospettava, cadesse in acqua.
Riemergendo ha detto: "Mi sono buttato, non sono caduto: volevo farvi ridere!".
A quel punto, tutti i presenti hanno riso.
Poi si è buttato in acqua pure l'onorevole Rosato...

venerdì 3 luglio 2009

Questa mi era sfuggita...

"Alzi la mano chi di voi nelle ultime settimane non ha scritto a Debora Serracchiani".
Questo l'incipit dell'intervento della giovane Debora (del giovane avvocato Debora. Scusate...) alla manifestazione dei giovani quarantenni del famoso Partito democratico al Lingotto di Torino, sabato scorso.
Come potete notare, l'avvocato Serracchiani parla di sé in terza persona singolare.
Proprio come Gaio Giulio Cesare nel De bello Gallico.
Proprio come Diego Armando Maradona.
E' da queste piccole cose che lo si riconosce, un capo carismatico.

mercoledì 1 luglio 2009

La faccia nascosta della luna

Qualche tempo fa ho fatto un po' arrabbiare un caro amico dicendogli che, in my humble opinion, il veltronismo altro non è che la faccia nascosta della luna del berlusconismo: immagine, apparenza, produzione di narrazioni a mezzo di cazzate. O, se vi piace di più, attenzione maniacale al mondo dei simboli.
Occhio, ho scritto 'maniacale' per salvarmi in corner: non sono così grullo da non sapere che il simbolo è uno dei modi in cui gli esseri umani cercano di governare il proprio rapporto col mondo (un filosofo direbbe “governare la relazione tra essere e pensiero” o “la relazione tra identità e alterità”). Io sono un animal (per tanti motivi: chiedere alla mia povera moglie...) symbolicum, insomma, e lo siete pure voi che mi leggete.
Diciamolo con Franco Volpi (gli sia lieve la terra).

“Di fronte allo stupore che segnala che l'essere non è come appare e il mondo non è quello che sembra, il simbolo è una strategia per ridurre la contingenza, per congiungere le parti in un intero e «ricomporle» (in greco: symballein). Il simbolo ha la forza di conferire un senso condiviso alla realtà e di «rimettere in ordine il mondo». Ma non appena fissato e stabilito, esso tende a irrigidirsi in forme, occultando la dinamica vivente da cui sorge”.
Il simbolo serve a conferire senso, dunque a tenere la barra del timone dritta, a non perdersi nella foresta, ma può anche nascondere al nostro sguardo il mondo in cui viviamo. Fino a farcelo dimenticare completamente.
Gli esseri umani rinunciano infatti molto più volentieri a una realtà che non ai simboli che la rappresentano, lo sappiamo (e qui potrei senz'altro mettermi a maramaldeggiare sulle tristissime vicende occorse ai comunisti italiani, ma volentieri me ne astengo...).

Silvio Berlusconi ha venduto simboli per anni annorum, in ogni contrada di questo sventurato Paese. Anzi, è proprio vendendo simboli che Berlusconi è diventato Berlusconi, simbolo lui stesso fate voi di cosa. Papi Silvio - una delle tante maschere della nostra eterna commedia dell'Arte, mica altro - “non ha rivali nel sapersi indirizzare al (suo) popolo” interpretandone “le pulsioni elementari con argomenti e atteggiamenti esemplari, idonei a metterlo in movimento al suo seguito” e “dispone anche di strumenti persuasivi che nessuno può neanche lontanamente sognarsi”.

Così Gustavo Zagrebelsky perché io non avrei saputo dirlo meglio.
Walter V. non dispone, come è noto, di “strumenti persuasivi”. Sì, certo: conosce un sacco di gente in RAI (da Minoli all'ultimo degli uscieri) perché ha fatto politica in RAI, e solo in RAI, per tutta la sua vita, ma per avere la meglio sul dulcamara nazionale questo non basta, non basta proprio.
Qualche mese fa, in un editoriale davvero memorabile su la Repubblica, Nadia Urbinati se ne uscì così: “La docilità è una qualità che si predica degli animali, non degli uomini; è un obiettivo che i domatori si prefiggono quando cercano di abituare un animale a fare meccanicamente determinate cose. Al moto della mano del padrone il cane sa quel che deve fare e lo fa. Docilità significa non avere una diversa opinione di come pensare e che cosa fare rispetto all'opinione preponderante; significa accettare pacificamente quello che il padrone di turno, per esempio l'opinione generale di una più o meno larga maggioranza, crede, ritiene e vuole. Sono ancora una volta i liberali (sempre pensato che i liberali siano i meglio fichi der bigoncio, sempre pensato, n.d.r.) che ci hanno fatto conoscere questo lato inquietante del potere moderno. Un lato che si è mostrato quando il potere è riuscito ad avvalersi di strumenti nuovi”, gli "strumenti persuasivi" di cui parla Zagrebelsky, i media, quelli che Berlusconi controlla e Walter V. invece no sebbene sia tanto amico di Minoli e di Fabio Fazio.
“Il moderno potere fondato sull'opinione non ha più bisogno di usare la violenza diretta (...); usa invece una specie di addomesticamento che produce, come scriveva Mill, una forma di “passiva imbecillità”. I cittadini docili assomigliano a una massa di spettatori: in silenzio ad ascoltare e, semmai, giudicare alla fine dello spettacolo, con applausi o fischi”.
I regimi politici di quello che una volta si chiamava “l'Occidente” (bei tempi, altroché: bei tempi!) hanno subito una profondissima trasformazione, nell'ultimo quarantennio: dopo quella famosa sudata di Richard Nixon davanti alle telecamere è andata pian piano affermandosi la democrazia del pubblico e dell'opinione, quella in cui il ruolo dei leader politici è decisivo.

E io lo capisco, certo: mi fa cagare veramente di gusto, ma lo capisco.
Il politico moderno opera in un mondo in cui la comunicazione è tutto, un mondo nel quale spesso e volentieri l'apparenza è più importante della realtà. Qualcuno, ma non ricordo chi (forse Timothy Garton Ash?), ha scritto che ormai nelle nostre società ricche ed evolute (ehm...) la politica non è “né factfiction, ma faction. Un dramadocumentary. Un mondo condiviso, in un sottile e abituale gioco di relazioni, da politici, spin doctor, pr e giornalisti che lavorano per le corporation dei media a Londra, Berlino, Parigi o Washington”. Detto ciò, l'accesso ai media, nelle democrazie liberali più evolute (ovvero a Londra, Berlino, Parigi e Washington) è in genere regolamentato, più o meno bene. Nelle democrature come l'Italia invece no. E vale forse la pena di ricordare, en passant, che nelle democrazie liberali più evolute un tycoon dei media non avrebbe mai potuto eccetera eccetera eccetera...

E' vero che la tivvù è stata (almeno, a me questo pare incontestabile) un mezzo di democratizzazione della politica perché ha permesso a tutti, ma proprio a tutti, di avvicinarsi al dibattito politico. Per questa democratizzazione, però, abbiamo pagato e stiamo pagando dei prezzi molto salati: la superficialità, lo svuotamento di ogni discorso appena appena un po' complesso, la sua riduzione a chiacchiera quando non a pettegolezzo. Mettiamoci poi la tendenza dei peggiori tra i politici (i più...) a rivolgersi ai cittadini-spettatori dicendo solo quello che i cittadini-spettatori vogliono sentirsi dire e siamo a posto, direi: la politica non è più educazione (indicazione di un percorso, di un orizzonte), è diventata seduzione.
Il nostro problema è che gli italiani leggono poco i giornali e guardano molto la tivvù.
E le cose che passano in tivvù sono quelle che il Papi della Patria vuole che passino, visto che la tivvù, giova ripeterlo, la controlla lui. Lasciamo perdere le riserve indiane che pure ci sono (e che comunque fanno pena), è così e punto.
In questa situazione, la parte politica che nel cuor mi sta non ha la minima possibilità di giocarsela sul piano della democrazia dell'opinione. Dovrebbe cercare di fare altro, di essere altro.
Il problema della sinistra italiana, in generale, è di non aver mai voluto affrontare sul piano culturale (che è altra cosa dal battersi ora contro l'enorme conflitto di interessi di cui Berlusconi è portatore, battaglia comunque – ovviamente – sacrosanta) la questione del quinto potere e dei suoi limiti in una società come la nostra, culturalmente e civilmente arretratissima; il problema di Walter V., maniacalmente perso tra i suoi simboli, è di essersi sempre rifiutato di prenderne atto.
Dove pensa di vivere, il signor Veltroni?
L'unica riflessione di cui la sinistra è stata capace sul modo di fare informazione in questo Paese ridicolo è quella che l'ha portata a mettere un Curzi di qua, un Freccero di là e un Santoro lassù, illudendosi che questo bel giochino fosse sufficiente a pararsi il culo. Di questo modo di far politica, sciocco, futile e autolesionista, Walter V. è stato da sempre l'interprete più pregiato: di più, ne è stato il campione indiscusso (e il compagno D'Alema, va detto, ha sempre – togliattianamente, ovvio – condiviso).
In questa situazione, però, gli item che passano (che stan passando da un quarto di secolo, va) nei televisori degli italiani non possono che essere quelli del signor Berlusconi, e solo quelli del signor Berlusconi. Noi possiamo solo seguire, mai proporre qualcosa d'altro; giocare di rimessa e basta, e sempre sul terreno scelto dal nostro avversario.
Vivendo nel suo mondo, le nostre parole d'ordine non possono che assomigliare alle sue. Anzi, non possono che essere le sue.
Un esempio? Se l'imprenditore, l'uomo del fare, è meglio del politico di professione che non fa un cazzo da mane a sera in quelle aule sorde e grigie (in Italia ce ne sono stati di pessimi, è vero, di politici di professione: ma pure De Gasperi, Nenni, Ugo La Malfa ed Enrico Berlinguer sono stati professionisti della politica, nevvero?), ecco la sinistra inventarsi gli Illy e i Soru, eccola candidare al Parlamento i Calearo e i Colaninno figlio. Non entro nel merito di cosa poi abbiano fatto concretamente Illy e Soru. E' su cosa Illy e Soru hanno simboleggiato che trovo molto da eccepire.

Oggi ci è messa pure la miracolata da YouTube, al secolo Serracchiani Debora, il fenomeno del nostro tempo alla cui mitopoiesi pure io, nel mio piccolo, ho contribuito.

Grandiosa quando a Curzio Maltese, che le chiede “perché ha scelto di stare dalla parte di Franceschini?”, risponde: “Perché è il più simpatico”.
Ma ancora più grande quando, pavlovianamente docile (come ha scritto l'Urbinati? “Al moto della mano del padrone il cane sa quel che deve fare e lo fa. Docilità significa non avere una diversa opinione di come pensare e che cosa fare rispetto all'opinione preponderante; significa accettare pacificamente quello che il padrone di turno, per esempio l'opinione generale di una più o meno larga maggioranza, crede, ritiene e vuole”. Ecco...), sostiene che non appoggerebbe mai un leader del PD proveniente dal funzionariato politico e perciò l'uomo adatto alla bisogna sarebbe proprio (rullo di tamburi!!!) l'attuale segretario, il povero Dario Franceschini, “un mio collega, un avvocato”. Capito qual è l'immaginario della ragazza? Di qua l'uomo del fare (un avvocato, perbacco: come Gianni Agnelli) che può aiutare l'Italia a risollevarsi, di là i professionisti della politica (la casta, ve la ricordate la casta?) che han portato l'Italia alla rovina. Vi ricorda qualcosa? Vi ricorda qualcuno?

E tiene molto a precisarlo, la giovane Serracchiani che combatte il vecchio in nome del nuovo: “non vengo da tutta una vita di sezione”. Sapete, io ci ho incontrato un sacco di bella gente, nelle sezioni del mio vecchio partito, i DS. Gente che spendeva volentieri il proprio tempo libero facendo politica gratuitamente, battendosi per una causa in cui credeva profondamente. Gente in genere molto civile e attenta agli altri, in special modo agli altri che hanno di meno. Gente, tra le altre cose, con un'elevatissima soglia di sopportazione per le cazzate. Perché ne sentiva, di cazzate, dai leader (sempre gli stessi da sempre): ostia, se ne sentiva... Questa è la mia esperienza delle sezioni di partito. A Debora Serracchiani tutto ciò deve fare un po' schifo.
Fortuna solo che la signora non ha detto che con lei c'è l'Italia che ama e dall'altra parte c'è invece l'Italia che odia, ma ci è mancato tanto così.
E io alla fine devo confessarvi che non ce la faccio proprio più, con questo nuovismo acchiappacitrulli (ve lo ricordate, sì, che Walter Veltroni non è mai stato comunista “perché si poteva stare nel PCI senza essere comunisti”?), con queste favolette per allocchi, con questo apparato simbolico da vorrei ma non posso (I care, do you remember?) che però ha la magnifica colonna sonora di Nicola Piovani (uno dei taaanti amici di Walter nostro...) ad accompagnare e sottolineare: roba da Oscar, ostia de un'ostia!
Insomma, sotto la (simbolica!) frangetta niente, fioi. Però un niente nuovo di pacca. Proprio come Veltroni, uguale uguale.