
Vera o falsa che sia, è troppo bella.
Avviso ai naviganti: blog vagamente di sinistra. Quindi molto (ma veramente molto, ostia!) distante dal popolo. Snobismo a pacchi, dunque: avrete inteso...



Il senatore Giulio Camber (boss di Forza Italia a Trieste, Signore delle tenebre), che si accomoda accanto al ministro, va persino oltre: “Grazie, grazie per quello che hai fatto, per l'Italia e per il mondo”: testuale, ve lo giuro. “Il ministro Brunetta non è uomo da salotti (più volte evocati, nel corso della cerimonia, i famigerati salotti dove la sinistra, spocchiosa e parolaia, ordisce le sue trame contro chi lavora, n.d.r.), ma uomo per la gente: per la gente che lavora! Noi triestini lo conosciamo da tempo e abbiamo contribuito a mandarlo al Parlamento Europeo con ottomila voti. Voti che, rispetto agli altri ottantamila che ricevette, non son stati certo determinanti per la sua elezione ma comunque c'erano (sottinteso: io, Giulio Camber, sono stato capace di portare a 'sto dio in terra ben ottomila preferenze di triestini, n.d.r.) e fanno sì che il ministro sappia che noi triestini gli vogliamo bene. E noi sappiamo che lui ci vuole bene”.
Davvero. Se al posto del povero Baraldi a fare da interlocutore al ministro ci fosse stato Ciccio di Nonna Papera, non si sarebbe notata la differenza. Brunetta lo tratta da subito come un oppositore (come un nemico, via...) e lo rimprovera aspramente: “Avete scritto che quando facevo il parlamentare europeo ero un assenteista!”. Baraldi prova a ribellarsi e si becca del 'falso!': “Provate a riscriverlo, provateci. Fatelo. Io vi querelo, vi faccio neri!”.
Prima di spirare, Baraldi prova a dire che in fondo quella di Brunetta è solo “politica degli annunci”: “E allora? Intanto son calate le assenze per malattia, e non mi pare poco. Qualcuno dice che i fannulloni che ho riportato al lavoro se ne stanno in ufficio a fare niente? Intanto non sono a casa, intanto li ho riportati al lavoro, poi gli faccio un culo così (olèeeeee, n.d.r.). Il prossimo anno sappia che non ci saranno più consulenze nella Pubblica Amministrazione (olèeeee, n.d.r.). Ma lei si rende conto che in Italia abbiamo non so più quante polizie? Ma pensi a cosa si potrebbe fare se solo riuscissimo a superare le rivalità tra corpi separati, pensi! Ma quanto in meno spenderemmo? Io non ci dormo la notte (olèeeee, n.d.r.). I ricchi, vede, non hanno bisogno della Pubblica Amministrazione, perché se ne fanno una privata, parallela, se vogliono (olèeee, n.d.r.). E così per la sanità e la scuola: sanità privata e scuole per i figli all'estero (olèeeee, n.d.r.)”.
La platea urla il proprio disappunto e Brunetta pianta la sua ultima banderilla: “Ci sono troppi insegnanti, in Italia, in generale. E troppi insegnanti entrati senza concorso. Troppi insegnanti di qualità scadente. Chi ha dei figli lo sa bene!”. Boato di approvazione. “Ma cosa protestano, questi? Eppoi... Dai... I baroni. Quando io vedo i baroni che sfilano assieme agli studenti, dico che la cosa mi puzza... Mi puzza! A voi no?”. E qui ci sarebbe pure lo scoop, volendo: “E poi quella della Gelmini non è mica una riforma, su! Son solo dei punti...”, dice Brunetta. Strano: la Gelmini e Berlusconi parlano invece di 'riforma' della Scuola e dell'Università. Bisognerà avvisarli. Ma Baraldi è troppo spento per farlo rilevare. Sembra un Moai dell'Isola di Pasqua. Imbarazzante davvero.
Che altro dire? Sergio Baraldi è la stampa come non dovrebbe mai essere: muta e sorda. Ma pensateci un attimo: Brunetta afferma che le forze dell'ordine in Italia, per come sono organizzate, rappresentano essenzialmente uno spreco di risorse e il direttore del maggior quotidiano regionale non fa rilevare come sia quantomeno incoerente che, a fronte di un spreco di risorse conclamato (conclamato da un ministro della Repubblica...), la giunta regionale del FVG abbia deciso di stanziare, di suo, (proviamo a essere consequenziali, giusto?) ben 16,3 milioni di euro per la sicurezza. E pensate che l'assessore regionale alla Sicurezza, la signora Federica Seganti, era lì, seduta in prima fila...

La battuta è di quel grande umorista (e giornalista sportivo) che è stato Beppe Viola e mi serve per raccontarvi di un'incazzatura omerica.
Il signor Fabio Berti scrive al Piccolo del suo disagio nei confronti degli zingari e racconta che per tale motivo è stato “prontamente tacciato”, da alcuni suoi amici di sinistra, di “razzismo”. All'inizio si è arrabbiato, poi ha provato “un'accorata compassione” nei confronti di chi, a sinistra, non sa più ascoltare senza pregiudizi i discorsi “de privata” o “dela siora Maria” (parole sue).
E il riferimento alla “siora Maria” e alle private? Dai... Roba alla Joe l'Idraulico, quel simbolo della classe media ''impaurita dal piano di Obama di alzare tasse e uccidere posti di lavoro'' che si sono inventati i ferocissimi strateghi della campagna elettorale di John McCain.
Ma quante vittime della cattiva televisione ci sono, ormai, in questo Paese? Quante?
Sono stato buono, sono stato tanto, tanto buono con il signor Berti. Ma checcazzo... Perché io non sarei popolo?
Perché leggo qualche libro? Perché penso che “le ansie e le preoccupazioni della gente” siano di molto influenzate da telegiornali e programmi di intrattenimento scandalosi? Perché penso che la tivvù abbia un'enorme responsabilità nella diffusione della violenza, in questo Paese e altrove? Perché penso che la tivvù contribuisca ad innescare non solo meccanismi di emulazione della, ma anche – ed è persino peggio – meccanismi di assuefazione alla, violenza? Perché penso che la sovrapposizione continua tra dimensione reale e proiezione virtuale sia all'origine di quella sensazione di insicurezza vissuta da larghi strati della popolazione italiana? Perché penso che l'opinione di milioni di persone potrebbe pure essere una grandissima cazzata, alla facciaccia dei milioni di persone? Perché io so come si fa a inventare un capro espiatorio?
Ma vaffanculo, va: vaffanculo ai discorsi de privata e pure a tutte le sioremarie del mondo.

“Fede (...) era piccolo, sottile, fragile, con un viso allungato e trasparente, scintillante del brillio degli occhiali, un naso appuntito, diritto in mezzo alle guance pallidissime, come una sentinella in un campo coperto di neve. Sotto, si apriva una bocca minuta dalle labbra arcuate e carnose: il mento, robusto, era spaccato in mezzo da una fossa. Aveva un'aria concentrata, attenta, come di chi abbia per le mani una pistola carica; e, quando taceva, non pareva ascoltare o riposarsi, ma badare piuttosto a far sì che il grilletto della sua arma non scattasse inavvertitamente. E l'arma c'era davvero, e pericolosa; perché, quando parlava, non era un colpo di pistola, ma una scarica di mitragliatrice, anzi un fuoco multiplo e incrociato di tiri arcuati che non si capiva di dove venissero. Questa abilità, questa astuzia della mente, che lo portava a nascondere gli argomenti per tirarli fuori improvvisi nel momento più inaspettato, che lo faceva girare attorno ai concetti, attorcigliandoli in matasse e in gomitoli e sciogliendoli a un tratto, come un pescatore di trote che avvolge paziente la lenza sul verricello con mossa annoiata e monotona e poi lancia lontano, con subita violenza, gli era naturale. Ma la natura era rafforzata dalla volontà. Nelle sue meditazioni su quel cielo della politica dove ora spaziava, egli pensava di averne scoperte le leggi, immutabili e eterne; dure, machiavelliche leggi alle quali si confermava con sicurezza entusiasta, come un eroe di Stendhal.
Vittorio Foa se n'è andato.

Per me Ronda è una bellissima cittadina andalusa a 740 metri sul livello del mare.
Si erge su un dirupo a picco sul Guadalevin, è tagliata in due da un orrido impressionante (ma i leghisti sono più orridi ancora, e molto più impressionanti) che i nativi chiamano, appunto, el Tajo , attraversato da un ponte a tre arcate, el Puente Nuevo, una costruzione del XVIII secolo: lo stesso periodo in cui fu edificata l'arena cittadina che è, quindi, la più antica di Spagna (1785).
Probabilmente è a Ronda e al Tajo che fa riferimento Hemingway nel capitolo X di Per chi suona la campana, raccontando un episodio molto cruento della Guerra Civil.

“Be', avevo quella borsa di studio per Harvard.
Eppure, anche con tutte le mie favoleggiate ricchezze yankee, non mi sarei mai convinto a uscire nell'arena, davanti alle corna ricurve di becerros (torelli) che parevano cattedrali - e davanti a pubblici ipercritici e impazienti, composti di provinciali andalusi esperti di corrida - se davvero ci avessi tenuto.
“Orson Welles è un gigante con la faccia da bambino, un albero pieno di uccelli e di ombre, un cane che ha rotto la catena ed è andato a dormire sul prato in mezzo ai fiori. E' un attivo perdigiorno, un saggio pazzo, una solitudine circondata di umanità”.
Magari in futuro, magari scrivendo di Terry Gilliam e di Lost in La Mancha.
Si chiama venta una casa di campagna dove, in passato, si poteva sostare per rifocillarsi e dormire (lo faceva pure il Cavaliere della triste figura).(nella foto: Tic nell'arena)

Io invece considero Berlusconi una mezza sega. Sarà mica per questo motivo che un po' di paura ce l'ho?

Tutto questo per dire che in Italia non cambia mai un cazzo in saecula saeculorum.
Topolin, Topolin, viva Topolin!

Qualche giorno fa il Bokassa del Viagra se n'è uscito così: «Se dormo tre ore, poi ho ancora energia per fare l'amore per altre tre. Vi auguro di arrivare a settant'anni nello stato di forma in cui ci sono arrivato io».
Pazzesco.
Ma ora basta! Basta parlare di politica, ostia!
Adesso magari dovrei provare a farvi capire perché talkischeap esiste...
P.S.

Pinocchio è uno dei libri cruciali della nostra storia letteraria.
Basta, non si può demonizzare un uomo così perbene come Silvio Berlusconi!
E questo carro lo tiravano «dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame». E non sono proprio così tutti quei bravi asinelli che stanno aggiogati al Carro di Berlusconi e lo mandano avanti? Grande varietà (Gran Varietà) ma solo apparente: tutti lì legati insieme con la stessa mansione di tirare lo stesso carro: «Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati a uso pepe e sale, e altri rigati a grandi strisce gialle e turchine» (maglie da calciatori? casacche da carcerati?).
(...) E poi c'è Lucignolo, il turbolento Umberto Bossi, il ragazzo indisciplinato, «quella birba di Lucignolo» Bossi. Chi l'avrebbe detto? Basta una promessa dell'Omino di Burro e ogni turbolenza si acquieta: «Appena il carro si fu fermato, l'Omino si volse a Lucignolo e, con mille smorfie e mille maniere gli domandò sorridendo: “Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?”».
Giorgio Manganelli nel suo Pinocchio: un libro parallelo (magnifica rilettura, diabolicamente rivelatoria dei doppi e tripli fondi del testo di Collodi) se n'era già accorto: l'Omino “per la foggia, la statura pare partecipare della natura vessatoria e astuta dell'adulto, e della indole serpentesca e menzognera dell'infanzia. Costui, per le notturne leggi del male, ha licenza di percorrere una strada infantile e rovinosa, anzi di esercitarvi un potere di corruttore e di perverso educatore. Forse, alle sue spalle, sta un oscuro, occhiuto committente".