
“...ha ferito il sentimento religioso di tante persone che nella croce vedono il simbolo dell'amore di Dio e della nostra salvezza, che merita riconoscimento e devozione religiosa.”
Avviso ai naviganti: blog vagamente di sinistra. Quindi molto (ma veramente molto, ostia!) distante dal popolo. Snobismo a pacchi, dunque: avrete inteso...


Proporrò quindi a TalpaCreative.com un paio di idee secondo me forti assai (oddio: molto italiane, se proprio vogliamo dirla tutta come sta e giace. E quindi non so quanto esportabili. Ma forse, lavorandoci un po' sopra, il team di sviluppo di De Mol riuscirà a dare alle mie intuizioni quel respiro internazionale che esse, a mio parere, meriterebbero ampiamente).
Seconda idea: forma la tua squadraccia e marcia di nuovo su Roma! Suona bene, no? A dieci donne e dieci uomini si daranno dieci giorni di tempo per formare delle squadre miste di venti persone al massimo che per tre mesi avranno licenza di bastonare zingari (rom o sinti è uguale) in giro per il Paese. Naturalmente verranno seguiti passo passo, nelle loro belle imprese, dalle telecamere. Poi, garona finale! Tutti a Roma, appuntamento in Piazza Venezia. Vincerà la squadraccia che giungerà per prima alla meta fatale, ovviamente. Ma solo se avrà incendiato campi nomadi in almeno quattro regioni.
Anche questa mia idea è forse un po' troppo italiana (d'altra parte, chi di gallina nasce, convien che razzoli), ma De Mol è un genio del nostro tempo (almeno, così dicono...) e saprà ben sviluppare e adattare, non ne dubito.
Cinquantamila dollari, vero?
(nella foto, Obama Laden)


E insomma, Pieroni e Gatteschi raccontavano il West. La frontiera. La Colt Navy. La Colt .45 Peacemaker. Il Winchester .44. I baroni del bestiame e le guerre per i pascoli. Abilene. Deadwood. Tombstone. La sfida all'O.K Corral. Wyatt Earp e Doc Holliday. Le grandi rapine ai treni. I linciaggi. Gli sceriffi. I cacciatori di taglie. Jesse James. I Dalton. Butch Cassidy e Sundance Kid. Il giudice Roy Bean. I Texas Rangers. Calamity Jane e Wild Bill Hickok. Pat Garrett e Billy the Kid.
Dovrei averlo già scritto, da qualche parte: io son venuto su guardando film western alla tivvù assieme al mio babbo (che era ed è un fan terminale di John Wayne) e leggendo Tex Willer, almeno fino ad una certa età. Poi, siccome presi a considerarlo alquanto ottuso, il capo bianco dei Navajos (e non solo lui, ma pure i suoi fedeli pards), decisi di tradirlo per Ken Parker e quella fu, decisamente, tutta un'altra storia (che, prima o poi, se avrete la pazienza di seguirmi, vi racconterò).
Insomma, Ad ovest della legge si trovò a germogliare su un terreno già profondamente arato e davvero molto fertile. Solo da grande (ero all'Università) sono riuscito a misurare con esattezza quanto quel libro avesse plasmato il mio immaginario. Quanto cioè avesse contribuito a fondarmi.

Ieri sera, gratta che ti gratta nella mia biblioteca, mi è capitato tra le mani un bellissimo testo di Michael Ondaatje, Le opere complete di Billy the Kid (The collected works of Billy the Kid. Left-Handed Poems), che lessi nel 1995, quando fu pubblicato per i tipi di Theoria. So che c'è in giro un'edizione Garzanti (Ondaatje dovrebbe essere tutto su Garzanti). Se, per dire, vi garba la scrittura (l'estetica...) di un Cormac McCarthy, è il libro che fa per voi. E perciò accattatevelo pure senza paura: soddisfatti o rimborsati, d'accordo? Ondaatje – narratore nato nello Sri Lanka nel 1943, ma canadese d'adozione – lo fece uscire nel 1970, in anni cioè di aperto revisionismo western. Revisionismo di celluloide soprattutto: da Arthur Penn a Sam Peckinpah passando per Sydney Pollack. Lo scrittore finge che sia il Kid a scrivere di sé e dunque Le opere complete di William Harrigan Bonney, il bandito conosciuto come Billy the Kid, sarebbero dunque un apocrifo. Left-Handed Poems, poesie scritte con la mano sinistra: un chiaro rimando al pistolero mancino e al film di Penn del 1958, The Left-Handed Gun (da noi, Furia selvaggia), con un Paul Newman in gran spolvero.

Viene spesso in mente, leggendo Ondaatje, il Pat Garrett and Billy the Kid di Sam Peckinpah, del 1973. Uno dei film che il tenutario di codesto blogghe ama di più (io piango, sapete, quando vedo Katy Jurado che piange mentre guarda morire Slim Pickens, lo sceriffo Baker. E piango quando Alamosa Bill/Jack Elam, che non aveva mai imparato a contare, muore ucciso in duello dal Kid. Che ci volete fare? Io son fatto così...).
Come ha scritto Alex Shoumatoff nel suo in-cre-di-bi-le Leggende del deserto americano, il mito ha due epicentri nel Sudovest: la contea di Lincoln nel New Mexico, e Tombstone in Arizona. La contea di Lincoln è il posto in cui William H. Bonney, alias Billy the Kid, trascorse la maggior parte della sua violenta e breve vita. La cosa più straordinaria non sono gli eventi in sé, né la figura storica del Kid (secondo uno studioso, Billy aveva «il quoziente d'intelligenza di un quattordicenne semiritardato» ed era «un brutto adolescente con le adenoidi», alto un metro e sessantacinque, con un lungo mento praticamente attaccato al collo), bensì l'interesse che continuano a suscitare. (...) Come icona popolare ha ormai raggiunto lo status e la complessità epistemologica di Dracula, Topolino ed Elvis.
Di questa icona popolare, e del suo mondo, Michael Ondaatje ci dà un ritratto unico (e giunto a 'sto punto rubo qualche parola ad Ottavio Fatica, un po' perché non saprei dirle meglio, certe cose, un po' perché è tardi) “mescolando blocchi di prosa semidocumentaristica, primitiva, di frontiera, e sprazzi di poesia ancor più scarna, scarnificata, che sa cogliere e restituire quel che di brutale e pur poetico può esprimersi solo attraverso bravate, scorribande, bevute, orge, scannamenti, cavalcate senza meta. Con la sua originale proposta di raccogliere le «opere» di Billy the Kid, l'autore ha accolto ed è riuscito a vincere nel modo più singolare per uno scrittore la sfida del cinema, ritagliando in poche, sbilenche e dense, intense pagine, una figura solitaria e isolata, chiusa nel suo mistero come ogni leggenda e, come ogni leggenda, indimenticabile".
Sono più di 400 le tombe a Boot Hill. Occupano
Dopo aver sparato a Gregory
William è morto, poveretto
Ieri il suo giornale di provenienza, la Repubblica, così ha scritto: "Se c'è un tratto femminile nella linea che Concita – catalana d'origine, 45 anni – imprimerà è in quel che ripete spesso: «A me piace aprire e non stringere, allargare e non chiudere, la dialettica del pensiero è auspicabile, sempre che ci sia un pensiero...»".
Non mi pare proprio felicissima, come uscita. Cioè, va benissimo la dialettica del pensiero, niente da dire. Ma perché offrire il petto così spensieratamente ai colpi dei maschi sciovinisti sempre in agguato? Eddai, su, signora De Gregorio! Ti piace «aprire e non stringere, allargare e non chiudere»: ma si può?
Già è durissima, per le donne. Ovunque. Non mi pare il caso di farcisi infilzare gratuitamente, dalle banderillas dei mille toreri di turno.
Un solo dubbio: doveva fare più attenzione alle parole usate Concita De Gregorio o quello che è stato il suo giornale per diciotto anni?
Comunque, scrivendo del compagno transgender che accetta di partecipare all'Isola dei famosi "per parlare di diritti civili", la giornalista (?) Stefania Culurgioni è stata davvero impagabile: "Lei è mezzora in ritardo perché sta aggiustando il trucco, e quando arriva sfoggia un vestito di seta. Arancione e scollatissimo sulle cosce".
Quelli che cercavano la letteratura (il ministero dei casi speciali; serpente nel grano; ballard credo niente; cortazar montparnasse; daniel woodrell; giorgio caproni non sono mai partito; l'informazione martin amis critica), quelli che cercavano la musica (idiot wind - questo era sulle tracce di una delle più belle canzoni di Dylan, quindi di una delle più belle canzoni che siano mai state scritte, e si è imbattuto in me: lo considero un onore e un privilegio; grace slick testi; i'll take the spokes from your wheelchair - è un verso tratto da Kentucky Avenue, di Tom Waits; mister tambourine man + byrds; chi scrisse sweet home alabama - ah, ostia: questo tapino è capitato in talkischeap cercando i Lynyrd Skynyrd e invece ci ha trovato i leghisti, bestionissimi as usual), quelli che cercavano il cinema (serge daney; jacques rivette abiezione) e cose culturali in generale (andré glucksmann e bernard henry levi israeliano - israeliano? E vabbé; cinici "socrate impazzito"; effetto baumol; elogio della ghigliottina gobetti; marc bloch re. Ma anche a giacomo leopardi di angelo manna; alan ford pciu - pciu?; edie sedgwick; marcello alessandri vietnam - non per tutti, questa) li ho capiti, non era difficile.
E adesso fatevi un po' un giretto in rete e verificate quante volte compaia questa citazione. Vi imbatterete in essa nei luoghi più impensati, ve lo garantisco... Una spia dell'inquietudine dei moderni?

Là! Tutto d'un fiato. Proviamo a metter meglio a fuoco, se non a tradurre? Che ne dite?
Il berlusconismo rappresenta la devastazione dello spirito pubblico di una nazione che si ritrova, spesso, a vedere cancellati i confini di sé: il valore della legalità, della verità, della coerenza, del primato dell'interesse pubblico su quello privato. Ieri non esiste e domani non dipende da te. Non sei un cittadino, ma uno spettatore. Non sei un cittadino, ma un consumatore della società. Con queste certezze il nostro tempo finisce col farsi vuoto di senso. E con il lasciare spazio a paure parossistiche, quasi ancestrali. E ad egoismi eccessivi, quasi infantili.
Quando parla di paure parossistiche, Veltroni si riferisce, in generale, a tutto l'ambaradàn montato dai media italiani (per ordine del loro signore e padrone, Silvio Berlusconi) sulla ormai famosissima 'emergenza sicurezza'.
Quando parla di paure quasi ancestrali, Veltroni pensa, in particolare, all'ignobile caccia allo zingaro che si è scatenata in 'sto Paese di merda dopo che Silvio Berlusconi e suoi alleati hanno vinto le elezioni politiche.
Quando parla di egoismi eccessivi, quasi infantili, Veltroni pensa invece (ma questo prendetelo con beneficio di inventario) alla famosa “questione settentrionale”, che non è altro che l'incazzatura feroce di gentaglia che ha la panza piena da sc'iopare ma fa finta che non sia così e, con altissimi lai, piange il morto per fottere il vivo. E fanculo alla sociologia, per usare un francesismo.
Tutto ciò Veltroni lo ha detto avendo ben presente che il suo ruolo di segretario del Piddì è ormai messo apertamente in discussione: proprio per questo egli afferma che è a lui e a quelli che gli vogliono bene che spetta, in primo luogo, il coraggio di essere sé stessi quando questo appare più difficile. Proprio per questo egli sente (semmai...) il bisogno di rendere sempre più chiara, per il bene della nostra nazione (e certo: mica per il bene del Granducato del Lussemburgo...), l'alternatività di valori e di progetti sociali che rendono differenti gli schieramenti e le culture politiche. Tanto più ora. Quindi Enrico Letta può andare in giro a dire quello che vuole, ma col ciufolo che l'antiberlusconismo è finito. Omologarsi come Zelig, piegarsi al nuovo pensiero unico, sarà pure facile e vantaggioso ma è un atto di rinuncia, una manifestazione di sfiducia nelle proprie ragioni e, talvolta, persino nella propria storia. Cazzo vuole, 'sto Letta, dunque?
Cambiare sé stessi, bisogna, invece! Ma senza rinunciare a testimoniare la grandezza di un percorso umano e senza rinunciare a immaginare e costruire, attraverso proposte realistiche, un presente e un futuro migliori. Cambiare sé stessi e rimanere sempre là, al timone, sul ponte di comando e i quarantenni rampanti, nipoti di, si facciano pure sotto, se hanno coraggio. Fino a ieri Silvio Berlusconi manco lo si nominava: per Veltroni era solo “il mio principale competitore”. Mò si cambia, gente, ma senza rinunciare a cambiare sé stessi perché nulla cambi mai veramente, come scrisse una volta, più o meno, il tizio qui sotto e se non sapete chi è peggio per voi.

Isidoro Gottardo - con la serietà, la concretezza e l'incisività che l'hanno sempre contraddistinto - sostiene perciò che è necessario "fare in modo che chi ha responsabilità primarie risieda nello stesso luogo dove esercita la propria funzione e quindi condivida con la propria comunità un medesimo sentire". Tutto ciò, secondo lui, serve ad avvicinare i cittadini alle istituzioni e a farli sentire meglio rappresentati. Quindi il requisito della residenza è semplicemente "una misura di buon senso" e non rompeteci i coglioni, che non è in corso alcuna crociata antimeridionale e noi non siamo mica xenofobi, checcazzo. Au contraire: "le crociate sono del Pd a difesa di una realtà che ha dimostrato di non funzionare".
Ma proviamo a farla semplice, dai, perché E' semplice e c'è poco da almanaccare: quello che dice l'ex Guardasigilli rivela un indirizzo politico che possiede almeno il pregio della chiarezza, vivaddio. Ci sono interessi economici (precisamente quelli che la Lega ambisce a rappresentare) che hanno tutto l'interesse a minimizzare le deroghe alla prevenzione antinfortunistica che si verificano nelle aziende e nei cantieri italiani (o solo in quelli padani?), quelle deroghe che spesso (ogni giorno...) omaggiano graziosamente i lavoratori di ampi spazi in cronaca nera. Castelli dichiara infatti che "è il momento di smetterla di criminalizzare gli imprenditori" e la Sinistra italiana (quello che ne rimane) io credo dovrebbe, a questo punto, ringraziarlo di cuore per la sua limpidezza d'intenti e proporre un bel brindisi alla salute dei famosi operai che votano Lega.



Peccato che Bombolo abiti ormai il mondo dei più.
Come portavoce di un Piddì nazional popolare, beh... Bombolo se lo sarebbe magnato, a Baudo! Con Bombolo a portar la nostra voce in giro per il bel paese ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe vincevamo a man bassa, noi nazional popolari, dico io. Garantito.
A Berluscò! Ts ts ts... Mortacci tua!

Nella foto, l'assessore alla polizia locale del comune di Voghera, Vincenzo Giugliano o il vicesindaco di Voghera, Graziano Percivalle. Vedete voi di chi si tratta, per me fa lo stesso.
Van.
E, ehm... Beethoven.
Avete colto, si? Scusate, eh, se son stato un po' didascalico...
La prima volta che ebbi modo di ascoltarli fu nel lontano 1985, l'ultima è stata qualche ora fa.
E' uscita da poco una loro antologia, Popular Songs of Great Enduring Strenght and Beauty, che contiene esattamente quello che il titolo promette: canzoni di grande e duratura forza e bellezza.
Cinque gli album firmati dai Camper Van Beethoven in quei terribili anni Ottanta dai quali – anche grazie a loro, perdio! Anche grazie a loro – io sono riuscito ad uscire vivo. Il loro capolavoro - forse non il loro disco più fresco ed entusiasmante, ma senz'altro quello più maturo - si intitola Our Beloved Revolutionary Sweetheart, uscì giusto vent'anni or sono e per il ventenne tic fu una folgorazione (voi non potete avere idea del magone che mi sovrasta, in questo momento... Aiuto!).
Ha detto bene Gianluca Testani sull'ultimo numero del Mucchio: “di tutta la musica incisa in quel decennio di straordinari neo-qualcosa e pessime sonorità, quella dei Camper è tra le poche invecchiate bene. Uh, benissimo”.
Che musica facevano? Beh, che vi posso dire, come posso spiegare? Vediamo un po'... Ecco, trovato! Mi faccio aiutare da Tom Waits.
“C'è (...) un posto dove la Nigeria confina con la Louisiana, ci sono cose nella musica che accadono spontaneamente e così ti sposti verso luoghi con i quali non avevi connessioni. Se suoni un certo ritmo e ti muovi un poco, quel ritmo può diventare un valzer dei Carpazi, ti spingi ancora più in là e ottieni un'altra traiettoria. La musica crea una propria geografia”.
I Camper Van Beethoven abitavano (e abitano... Si sono riformati da qualche annetto, hanno inciso qualcosa di nuovo e girano parecchio) quel posto di cui parla Waits, una terra di paesaggi sonori continuamente cangianti, dall'hardcore punk (perché era gente che veniva dal punk e sempre sia benedetto, il punk. Nel loro primo disco c'è una versione country – sic - di Wasted dei Black Flag...) ad una psichedelia alla Grateful Dead o alla primi (fossero stati gli ultimi...) Pink Floyd (una cover di Interstellar Overdrive, nel loro secondo lavoro) passando per l'hillbilly, la musica tex-mex, lo ska e il rock-steady, il folk dell'Est europeo e del Medio Oriente, i raga indiani e il rock'n'roll, la polka e il garage rock, il surf e il cajun: tutto questo centrifugato da una creatività ed un sense of humor incredibili. Per darvi solo un'idea dello spiritello che animava e anima questo incredibile minstrel show surrealista, eccovi qualche titolo di canzone da Popular Songs...: The Day That Lassie Went To The Moon, Border Ska (che è proprio uno ska suonato come potrebbe farlo qualcuno dalle parti del confine tra il Messico e gli States), Take The Skinheads Bowling (per lungo tempo al primo posto, in my private hit parade), Pictures Of Matchstick Men (una cover, ostia di un'ostia, degli Status Quo!), ZZ Top Goes To Egypt (...), Sad Lovers' Waltz (che è proprio un bel valzerone. Da bovari innamorati). E ci metto anche (ma non hanno trovato posto nell'antologia, ahimé) la leggendaria Mao Reminisces About His Days In Southern China. E poi Yanqui Go Home. E poi Joe Stalin's Cadillac. E poi Colonel Bermudez. E poi i cosacchi del Don che arrivano al galoppo sulle note di Vladivostock e di Balalaika Gap. E poi Torquoise Jewelry. E poi mi fermo, o rischio di mettercele un po' tutte.
Queste magnifiche canzoni - che in tre minuti tre vi portano dagli Appalachi al Bosforo passando per la Giamaica - riuscivano a sposare steel guitar e organetti sghembi, balalaika e banjo, mandolini e violino (che, suonato da un grandissimo musicista che si chiama Jonathan Segel, era un po' il perno di tutto 'sto mis mas), elettrico e acustico, hard e folk: e, chissà come, erano tutte unioni che funzionavano alla grande.
Faccio chiudere a Testani, che è uomo d'onore: “La gente comune non riesce manco a pensarle certe cose, figuriamoci farle. Il giorno che Lassie andò sulla luna. Ma dai. Vent'anni fa potevi entrare in un negozio e portarti via un disco grosso così fatto da gente grossa così. Poi dice che uno fatica a entusiasmarsi per l'ultima sensation indie del 2008”.
Se potete comprare un solo cd, quest'anno, date retta a tic: accattàtevi questo.


“A cosa devo la sua visita, Eccellenza?”, domando, la voce che (comprensibilmente: avrei voluto vedere voi!) trema un po'.
“Ad un post di talkischeap...”, sibila タイガー・マスク (Taigā Masuku). E gli brilla, sinistramente, l'occhio.
Immediatamente realizzo (perché io non sarò propriamente una cima, ma comunque non dò nemmeno il mio voto alla Lega Nord) a quale post in particolare io debba la visita del famoso lottatore mascherato e, ve lo confesso, un milione di formiche impazzite cominciano a correre lungo la mia spina dorsale.
Il 14 giugno ultimo scorso, in un pezzo che si intitolava Il percepito, scrissi che “se proprio si vuole che la città di M. ce l'abbia, alla fine, il suo ricco assessore alla Sicurezza, si chiami al cimento uno che sia difficile da attaccare. Uno duro da cuocere. Uno specialista, intendo”.
E, dopo essermi querelato del fatto che Maurizio Merli e il generale G.A. Custer fossero ormai da tempo passati a miglior vita (e, nel caso di Custer, la perdita è stata davvero incommensurabile: con tutti gli indiani che ci sono, a M., immaginatevi un po' il contributo di esperienza che il generale avrebbe potuto portarci in dote...), proponevo per la carica i nomi di Bud Spencer, Axel Foley, Chuck Norris, Frank Castle il Punitore, il tenente Frank Drebin e, last but not least, il ranocchio Kermit del Muppet Show. L'Uomo Tigre ritenne, allora, di dover intervenire e lo fece a strettissimo giro di posta: “Trovo imperdonabile che non abbia pensato al sottoscritto”.
Ieri sera, perciò, al suo cospetto, ho cominciato a balbettare delle miserabilissime scuse. A raffica: “Mi perdoni, Eccellenza. Mi perdoni!”.
“Mi son sentito come se fossi il figlio della serva, cane occidentale! Ma forse puoi rimediare...”.
“Mi dica solo come, Taigā Masuku San! Mi dica solo come!”.
“In questa città le forze del male si sono scatenate, ullallà, ed io non posso proprio fare a meno di combatterlo, il male, lo sai...”.
“Certo che lo so, certo. Come no!”. E inizio a cantare, a squarciagola: “E' l'Uomo Tigre che lotta contro il male/ combatte solo la malvagità/ non ha paura, si batte con furore/ ed ogni incontro vincere lui sa”.
“Ecco, bravo, bravo...”, taglia corto lui. “Ora, siccome sei uno del giro, vedi di metterci una buona parola col sindaco di M. (un bell'uomo, va detto): l'Uomo Tigre vuole essere nominato assessore alla Sicurezza!”.“Ehh? Ma, Eccellenza, devono averLa male informata... Io non posso fare nulla, per lei: ma proprio nulla. Sono fuori dal giro che conta, e da tempo! Posso solo sparare qualche cazzata in talkischeap, ormai. Io, al sindaco di M. (un bell'uomo, va detto), non posso più chiedere manco che ora è. E quindi non posso nemmeno mettere una buona parola per Lei, Taigā Masuku San, che mi vuole diventare assessore alla Sicurezza del comune di M.!” (sia io che タイガー・マスク la pronunciavamo con la lettera iniziale maiuscola, la parola 'sicurezza', avrete notato, n.d.r.).
“Cheeeeeee? Che cosa mi stai dicendo? Non lo puoi fare?!? Ma tu lo devi fare!!! Se non riuscirò a essere l'assessore alla Sicurezza di M., io sarò disonorato: non avrò più il coraggio di guardare in faccia Baba e Inoki!!!”.
“Ma no, Taigā Masuku San, davvero no: io non lo posso fare! No no no!”.
“Ahhh! Ma io ti distruggo, cane occidentale!!!”.
E qui タイガー・マスク mi afferra e mi mette K.O. con una bella chiave articolare delle sue.
Poi ruggisce forte: "GRAURR..."
E, sempre ruggendo forte ("GRAURR..."), se ne va.
Tutto vero, eh!
Perciò, vedete, credo che non mi occuperò per un bel pezzo dell'Allarme Sicurezza nel comune di M.
Mi è passata la voglia, dopo quella chiave articolare.
Come dite? Che sono un pavido?
Avrei voluto vedere voi, avrei voluto...